The Studio, che ha fatto della messa in discussione dell’industria cinematografica il proprio motore narrativo, sceglie ora di affondare il colpo proprio laddove brucia di più: nel confronto tra il mondo dell’intrattenimento e quello della vera emergenza sociale. “The Pediatric Oncologist” si propone infatti come la rappresentazione grottesca e dolente di una Hollywood che, pur provando disperatamente a darsi un senso, viene puntualmente ridimensionata dal confronto con il reale.
Si tratta di un episodio costruito su un asse di umiliazione e frustrazione che accompagna il protagonista Matt per tutta la sua discesa, verso un’umiliazione tanto comica quanto esistenziale, mescolando il surreale con il drammatico e proponendo un confronto che smonta sistematicamente qualsivoglia romanticismo hollywoodiano.
DUHPOCALYPSE!
A partire dal contrasto tra la natura dell’evento mondano, una serata di beneficenza a favore della ricerca oncologica infantile e l’oggetto del dibattito professionale in corso, un film intitolato “Duhpocalypse“, in cui gli zombie infettano le persone attraverso esplosioni di diarrea, The Studio mette in campo una dialettica tagliente tra alto e basso, tra senso di responsabilità civile e logiche dello spettacolo. Non è la prima volta che la serie flirta con l’idea di una Hollywood autoreferenziale e scollata dal mondo reale, ma è forse la prima occasione in cui questa distanza viene problematizzata attraverso un senso di vergogna, più che di complicità. Il risultato è un episodio più cupo e malinconico del solito, dove anche la comicità slapstick finisce per servire un racconto profondamente umano.
Il film di Johnny Knoxville e Josh Hutcherson, assurdo anche solo nel concept — uno zombie movie che fa leva sul potenziale comico delle esplosioni rettali — diventa il campo di battaglia su cui Matt prova, in tutti i modi, a giustificare l’esistenza di una forma d’arte popolare che viene sistematicamente derisa e sottovalutata. Non è un caso che, in questa puntata, la gag visiva più efficace sia quella che trasforma il corpo stesso di Matt in oggetto comico: tra la rovinosa caduta e il dito rotto, il suo tentativo di rivendicare l’arte si scontra con l’impossibilità fisica e psicologica di reggere il confronto con chi, nella narrazione, viene inquadrato come “moralmente superiore”.
Lo scontro con i medici, in particolare durante la cena di beneficenza, è emblematico di un conflitto culturale mai del tutto risolto: chi lavora nel cinema è spesso accusato di produrre solo intrattenimento effimero, mentre chi si occupa di salute è elevato a baluardo di etica e utilità. The Studio problematizza questo schema mostrando quanto anche i medici possano essere frivoli, cinici, perfino crudeli nel loro snobismo. La loro superiorità morale è infatti declinata in chiave arrogante, facendo emergere un doppio binario di superficialità: da una parte chi tratta la malattia come una passerella per il proprio status, dall’altra chi difende l’arte come forma di redenzione personale, senza accorgersi della sua irrilevanza nel contesto.
WE MAKE LIFE WORTH LIVING
La caduta finale di Matt, sia in senso letterale che metaforico, è la sintesi perfetta di un episodio che non concede alcun riscatto. Dopo lo svenimento durante la cena e il trasporto in ambulanza, The Studio si chiude su una nota ancora più beffarda: Matt, a letto con una collega che critica apertamente la qualità dei suoi film, ma che almeno gli riconosce il merito per l’originalità del franchise, prova a rialzarsi dalle macerie proponendole di uscire di nuovo. La sua risposta — un secco rifiuto — sigilla una parabola narrativa che si muove tra il rifiuto sociale e il desiderio di connessione, senza mai trovare una vera soluzione.
Rispetto ad altri episodi, “The Pediatric Oncologist” si distingue per un tono più malinconico e una comicità più sottile, in cui la risata nasce dal disagio e non dall’assurdo, e l’assenza di Sal e Quinn, relegati sullo sfondo dopo il loro clamoroso showdown nell’episodio precedente, permette di concentrarsi quasi interamente su Matt e sulla sua crisi identitaria.
The Studio dimostra ancora una volta la sua abilità nell’analizzare la cultura popolare da un punto di vista cinico e autoironico, variando continuamente registro senza mai perdere coerenza, e portando avanti un discorso metatelevisivo che ha il coraggio di mettere in discussione il ruolo stesso dello spettatore: ridere delle miserie di Matt è ancora accettabile, quando quelle miserie diventano specchio di una condizione esistenziale che riguarda chiunque cerchi di trovare un senso nel proprio lavoro?
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“The Pediatric Oncologist” si conferma come un episodio di alta qualità, ma con un approccio narrativo più intenso e riflessivo, che preferisce analizzare la debolezza e l’umiliazione dei suoi personaggi piuttosto che il puro divertimento. La serie continua a mantenere il suo tono distintivo, affrontando temi universali con una miscela di ironia e malinconia che, purtroppo, non sarà apprezzata da tutti. Tuttavia, per chi cerca una visione più profonda dell’industria cinematografica e della sua interazione con la realtà, questo episodio non deluderà.
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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.