Sacred Games 1×01 – AshwatthamaTEMPO DI LETTURA 6 min

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“Allora, credi in Dio?”

Quando si pensa all’India spunta irrimediabilmente fuori l’immagine di vacche sacre immerse in fiumi e una religiosità che fonda natura e credenze mistiche. Allo stesso tempo c’è anche però l’immagine dell’India tecnologica che sforna laureati in materie tecnico-scientifiche.
Questa doppia anima ha sempre contraddistinto il paese che ha dato i natali rispettivamente al Mahatma Gandhi e ad Aishwarya Rai e ne rappresenta sicuramente l’aspetto di maggiore fascino.
Così come il gusto per le messinscena volutamente kitsch, i balletti sfrenati e le coregortafie eleborate unite a trame da soap-opera di serie B, e tutto quello che rientra sotto l’etichetta “Bollywood”.
Era perciò naturale avere paura per questa serie televisiva che, già dal trailer, prometteva una certa dose di trashaggine tale da compromettere i già tanto gravati neuroni degli spettatori seriali.
Fortunatamente Sacred Games si rivela un prodotto notevole e per nulla scontato, pur con tutti i difetti del caso.
Protagonista delle vicende è Sartaj Singh, solerte poliziotto indiano che viene presentato fin da subito come il classico eroe da hard-boiled americano. Cinico, disilluso dalla vita e tormentato per la criminalità diffusa a Mumbai, ma soprattutto per la corruzione che impera in tutti i gradi della scala sociale indiana, è il tipico anti-eroe idealista dai tratti profondamente umani, in cui è impossibile non riconoscersi.
Una sera viene contattato al telefono da uno sconosciuto che gli pone una semplice, ma allo stesso tempo ambigua, domanda: “Credi in Dio?
Lo strano individuo rivela al poliziotto alcuni elementi che portano a identificarlo con Ganesh Gaitonde, terrorista indiano autore di numerosi delitti, creduto morto e scomparso da anni. Il quale annuncia che entro 25 giorni avverrà qualcosa di grosso a Mumbai, una specie di “fine del mondo”.
Da qui inizia un’intenso rapporto “tra gatto e topo” dove Sartaj cerca di far parlare più a lungo l’individuo (che pare sapere tutto di lui ed essere molto amico di suo padre) per riuscire a trovarlo e impedire una possibile nuova strage.
Il che sembra essere una cosa veramente difficile pur avendo a disposizione i migliori mezzi informatici del mondo e un’equipe d’individui (forse i servizi segreti indiani?) che compaiono in alcune scene e che riescono, in meno di un secondo, a localizzare il cellulare di Sartaj ma non quello del misterioso individuo.
Il che è abbastaza realistico,qui in realtà un po’ troppo per una serie procedural poliziesca dove, in genere, questo tipo di operazioni richiede da 1 a 2 secondi (ma evidentemente la polizia indiana non è la CIA o l’FBI).
Tuttavia questo non è l’unico aspetto negativo della serie.
Se, infatti, da una parte risultano ottimi l’impianto thriller che viene impostato dagli autori della serie e la struttura episodica della telefonata di Gaitonde, dall’altra le tempistiche che portano al cliffhanger finale, avvenute tutte in una sola notte, risultano parecchio forzate.
Soprattutto nel finale dove tutto viene accelerato fino ad arrivare al presunto “suicidio” del terrorista. Suicidio che rimane tuttavia avvolto nel mistero, per cui probabilmente le successive puntate risolveranno tutte le domande che il cliffhanger finale lascia in sospeso, compreso se Gaitande è effettivamente un dio o no, e questo non è affatto un dubbio retorico alla fine dell’episodio.
È indubbio che proprio Gaitande è il personaggio più carismatico della serie finora. L’alone di mistero che campeggia sulla sua figura lo rende un perfetto co-protagonista dello show.
La struttura con cui sono narrati i flashback relativi alle sue vicende (che seguono passo per passo le vicende politiche dell’India contemporanea dagli anni 60 ad oggi), strutturati come tante favole separate tra loro ma legate dal filo comune della vita di Gaitonde.
Come un’abile Sherazade, il presunto ex-terrorista riesce nel suo tentativo di catturare l’attenzione del suo interlocutore e, in maniera meta-televisiva, dello spettatore, grazie ai flashback sulla sua infanzia e adolescenza. Una vita che fin da subito rivela una vocazione precoce per il crimine ma anche per le rivendicazioni sociali, quasi una sorta di Romanzo Criminale in salsa indiana (o volendo, in salsa curry).
I flashback sono un pretesto poi per rilasciare numerosi indizi su quello che probabilmente è il piano finale di Gaitonde, un mistero che si scoprirà solo alla fine delle 8 puntate di cui si compone lo show.
Una struttura intricata e complessa in cui perdersi è un viaggio affascinante verso l’ignoto e i misteri della giungla nera, una giungla chiaramente urban e moderna, ma che rimane pur sempre giungla.
In tutto questo però rimane (ed era inevitabile) un certo gusto per i toni melodrammatici e forzatamente soapish che allunga eccessivamente l’episodio e che rischia di renderlo inguardabile per lo spettatore che non c’è abituato.
Inoltre, anche se non sono presenti balletti, rimane in sottofondo un’inconfondibile musica indiana che appare (almeno alle orecchie occidentali) in contrasto con quanto narrato, dando alla visione un particolare effetto comico.
La parte iniziale poi è quanto di più in contrasto con quello che accade dopo: da un cane che si getta da una  finestra e si spiaccica sul terreno (si spera che non sia per aver visto la serie) si passa a una serie di morti e uccisioni varie realizzate in stile tarantiniano. Una partenza col botto, insomma, peccato che poi tutto rallenti per mantenere l’atmosfera thriller della storia, dimostrando uno stile a tratti schizofrenico e poco convincente.
L’episodio dell’adolescenza di Gaitonde che riguarda Salim Kaka (“lo schiacciapalle”) si candida poi ad essere la scena più trash mai vista in una serie Netflix (e anche la più disturbante soprattutto per il pubblico maschile).
Nonostante questi difetti Sacred Games riesce, almeno in questa prima puntata, a far appassionare lo spettatore alla vicenda narrata. Il tutto però sta nel vedere come proseguiranno, da qui in poi, le vicende, dal momento poi che il cliffhanger finale lascia il tutto in un vicolo cieco da cui sarà molto difficile uscire. Oltretutto si presuppone che i flashback saranno molto più rari da ora in poi, e per molti versi rappresentano la vera ossatura della trama, per cui sarà interessante vedere come questi nodi cruciali della storia verranno poi ripresi e uniti tra loro.
Tra passato e presente, comunque, la puntata funziona e, almeno per curiosità, vale la pena vedere come andranno a finire le vicende di Gaitonde-Sherazade.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Thriller noir in salsa indiana
  • Protagonista e villain (co-protagonista)
  • Riferimenti alla storia contemporanea indiana
  • La musica indiana in sottofondo non riesce a conferire la giusta serietà al tutto
  • L’unico serial poliziesco dove ci mettono anni per localizzare una telefonata
  • Salim Kaka “lo schiacciapalle

 

Netflix presenta la sua prima co-produzione indiana. Nonostante l’ambientazione molto kitsch, e un gusto per il melodrammatico tipicamente indiano, questa serie thriller/noir non è da sottovalutare e potrebbe risultare adatta per chi cerca qualcosa di nuovo da vedere.

 

Ashwatthama 1×01 ND milioni – ND rating

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Laureato presso l'Università di Bologna in "Cinema, televisione e produzioni multimediali". Nella vita scrive e recensisce riguardo ogni cosa che gli capita guidato dalle sue numerose personalità multiple tra cui un innocuo amico immaginario chiamato Tyler Durden!

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