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Tales From The Loop 1×05 – ControlTEMPO DI LETTURA 4 min

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“Houston, we have a problem.”

 

Non è facile parlare di “Control”. Se si valutasse solo la forma, ossia la qualità della regia, delle inquadrature, della recitazione, delle atmosfere e degli effetti speciali, non si potrebbe che riconoscerne l’altissimo livello, così come in tutti gli altri episodi di Tales from the Loop.
Il problema è che una serie televisiva, così come un film, non è fatta solo di scene in cui registi, attori e tecnici mostrano quanto sono bravi: devono esserci anche una storia, un ritmo, dei personaggi, insomma un “contenuto” che susciti interesse ed empatia, che mantenga alta l’attenzione, che funga prima di tutto da intrattenimento. Se poi c’è una morale da insegnare o una perizia tecnica da sfoggiare nella messa in scena, tanto meglio; ma la componente intrattenente non va sacrificata, pena la trasformazione di quella che dovrebbe essere una piacevole visione in un surrogato del sedadavo sedativo.
E con ciò non si vuole fare l’elogio delle narrazioni fracassone e al cardiopalma, quanto piuttosto far notare che esiste una linea tremendamente sottile e fragile tra lentezza e noia, tra placidezza e immobilismo; una linea che molti prodotti recenti hanno varcato, quasi fosse diventato di moda ammorbare il povero spettatore con sequenze allungate all’inverosimile, tempi morti e virtuosismi fini a se stessi, e Tales from the Loop non fa eccezione. Forse è tutto studiato per avvicinarsi quanto più possibile alla staticità dei quadri di Stålenhag ma, se così fosse, tanto varrebbe ammirare le suddette opere dell’artista svedese e risparmiarsi ore e ore di visione.
In verità, la storia raccontata in “Control” non è neanche così malvagia. Ricorrendo alla solita concatenazione degli episodi, si riparte dalle vicende di “Transpose” per raccontare le conseguenze del coma di Jakob-nel-corpo-di-Danny sulla famiglia Jansson: protagonista a questo turno è dunque il pater familias Ed, devastato dall’incidente che ha colpito quello che ritiene essere suo figlio, ma ancor di più roso dai sensi di colpa e dalla paura di non riuscire a difendere il resto della famiglia. Ne risente in primis il rapporto con l’altra figlia, la sordomuta Beth, verso la quale Ed sviluppa un amore paterno sempre più asfissiante e iperprotettivo: e se in parte ciò è giustificato già a monte dall’handicap della ragazzina, è altrettanto palese che proprio la sciagura capitata al primogenito lo spinga a comportarsi in questo modo. Paradossalmente sono le visite notturne di Danny-nel-corpo-di-Jakob alla sorellina a scatenare la sua decisione di acquistare un robot bipede, come ulteriore difesa per la propria casa; ma da qui in poi le paranoie avanzano, si rafforzano, crescono finché non si verifica l’ennesimo grottesco paradosso, ossia Ed nel tentativo di difendere la figlia quasi la uccide.
L’episodio non a caso si apre con l’immagine di un uovo caduto dall’albero e ridotto in pezzi: un dettaglio sulle prime insignificante, ma che finisce con l’essere letto come metafora del destino che attende la famiglia Jansson, proprio a causa delle azioni di Ed. E quando, quasi una cinquantina di minuti dopo, in una scena decisamente surreale, l’uovo si ricompone e torna sull’albero da cui era caduto, il messaggio sottinteso sembra essere quello della possibilità di ricucire i rapporti, di ricomporre le fratture, finché si è in tempo: dopo quel momento, infatti, Ed decide di rivendere il robot, ripara un guasto elettrico che la moglie gli faceva notare da tempo ma che non aveva mai voluto sistemare, e infine telefona proprio a questa per chiederle di tornare a casa. Probabilmente la serenità in casa Jansson non durerà a lungo e non sarà mai una pace perfetta, ma si presagisce un cambiamento, seppur minimo, seppur temporaneo nelle vite di Ed e di Kate, sotto lo sguardo di una sorridente Beth che pur incapace di udire i suoni capisce il riavvicinamento dei genitori.
Purtroppo, ancora una volta la trama si presenta esile, risolvibile in 20-30 minuti, ma viene allungata e appesantita all’inverosimile per arrivare ai fatidici 50 e passa minuti. Si crea un’evidente inconciliabilità tra il minimalismo della narrazione (pochi personaggi colti nella loro routine quotidiana) e la necessità di riempire un contenitore temporale troppo grande. Il risultato è ancor più deludente che in altri episodi: la storia di Ed, padre sofferente e involontario distruttore della propria stessa famiglia, potrebbe davvero far breccia nel cuore degli spettatori, ma il braccio di ferro che si instaura tra la volontà di rimanere svegli e attenti e l’inevitabile calo delle palpebre soffoca qualsiasi scintilla di empatia. Come già detto in altre sedi, un minutaggio minore avrebbe garantito una maggiore godibilità della storia.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • La forma è sempre impeccabile…
  • Ed padre devastato dal coma del “figlio” ma anche involontario distruttore dell’equilibrio familiare
  • Il simbolismo delle uova e delle riparazioni
  • Il “lieto” fine
  • …ma la sostanza è inadatta a episodi così lunghi
  • Abbondanza di scene prolungate all’inverosimile e di tempi morti che soffocano qualsiasi godibilità dell’episodio

 

Duole dare un voto così basso, ma “Control” è una visione pachidermica che spreca ancora una volta uno spunto intrigante ma minimale, inadatto a un episodio così lungo. Perlomeno, se l’obiettivo di Nathaniel Halpern era di riprodurre su schermo l’immobilismo delle illustrazioni di Simon Stålenhag, ci sta riuscendo alla perfezione.

 

Echo Sphere 1×04 ND milioni – ND rating
Control 1×05 ND milioni – ND rating

 

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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.

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