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Lungi dal volersi accontentare del solo mercato statunitense, da qualche tempo a questa parte Netflix sta puntando anche su produzioni di altre nazionalità: così abbiamo avuto, solo per citare qualche esempio recensito qui sul nostro sito, le italiane Suburra e Baby, le indiane Sacred Games e Ghoul, le tedesche Dark e Dogs of Berlin la danese The Rain, la spagnola Elite, la polacca 1983, la francese The HookUp Plan, la turca The Protector. Il risultato è che così facendo si crea un catalogo un po’ più variegato e magari appetibile per un pubblico che non vuole sempre e solo le “americanate”, ma nel contempo si fa risaltare ancora di più l’abisso che c’è tra il mondo seriale a stelle e strisce e quello del resto del mondo (Regno Unito escluso, of course!), un abisso non tanto a livello di risorse economiche ma di qualità della scrittura. Sia chiaro, anche tra le serie netflixiane made in USA ci sono delle belle schifezze e roba sopravvalutata, ma anche ottimi prodotti. Ovviamente nemmeno la terra dei canguri e degli ornitorinchi poteva rimanere al sicuro dai tentacoli del colosso dello streaming: così, dopo una mezza dozzina di co-produzioni con la Australian Broadcasting Corporation, arrivano i dieci episodi di Tidelands, che tenta di unire crime, horror e fantasy con una rilettura in chiave più cupa e oscura della figura mitologica della sirena. Curioso che nell’ultimo anno siano state mandate in onda altre due serie sulle donne con la coda di pesce, l’italiana Sirene e l’americana Siren: dobbiamo forse temere un’invasione dei palinsesti televisivi come quella dei vampiri di qualche anno fa?
Ma concentriamoci sull’oggetto della recensione, il primo episodio di Tidelands. L’idea alla base della storia non è male: la protagonista Cal McTeer torna dopo dieci anni di detenzione nella natia Orpheline Bay, un piccolo villaggio sulla costa abitato da pescatori che contrabbandano droga per sfuggire alla miseria e dalla misteriosa razza dei Tidelanders, per metà sirene. E’ una premessa dal sapore lovecraftiano, perché la mente non può non correre a uno dei capolavori dello scrittore di Providence, The shadow over Innsmouth, in cui un’apparentemente tranquilla cittadina del Massachusetts si rivela in realtà il covo di mostruosi ibridi tra gli umani e gli orridi Deep Ones. Scordatevi però gli autoctoni “con i nasi camusi, occhi gonfi e immobili che non sembrano mai chiudersi e la pelle rovinata” di cui parla Lovecraft, scordatevi la disgustosa e raccapricciante “maschera di Innsmouth” che nel racconto connota tutti i discendenti degli ibridi uomo-mostro, perché in Tidelands le mezze sirene sono una più gnocca dell’altra e in generale il cast sembra essere stato scelto guardando molto alla componente esteriore, secondo una tradizione assai consolidata nei teen drama. Tra i personaggi maschili, per esempio, spicca subito Aaron Jakubenko, belloccio già visto in The Shannara Chronicles e strategicamente mostrato in tre quarti delle scene a petto nudo, mentre noi maschietti tra Charlotte Best, Elsa Pataky e diverse altre attrici secondarie possiamo rifarci non poco gli occhi. Certo, se magari ogni tanto si cercassero anche attori e attrici e non soltanto modelli e modelle sarebbe un bene, perché una serie televisiva vive innanzitutto di recitazione e arrivati al 2019, quando ormai la televisione non è più la sorella povera del cinema, faremmo volentieri a meno di queste dozzinali prove attoriali.
Poco male, una serie è fatta anche di contenuti e se la recitazione non convince ci si può sempre rifare con la trama, con i dialoghi, con la caratterizzazione dei personaggi. Peccato che per ora Tidelands non offra niente di memorabile nemmeno su questo versante, annegando quel poco di buono che c’è in un abisso di mediocrità. Si è portati a chiedersi perché Netflix finanzi certe robe e poi scelga di non salvare prodotti più meritevoli come, che so, Dirk Gently. Il ritorno a casa di Cal dopo un decennio potrebbe offrire spunti interessanti, ma tutto si riduce alle sue richieste di denaro e ai soliti rapporti conflittuali con il genitore superstite. La questione dei cocci che Adrielle colleziona fa a malapena sollevare il sopracciglio per un abbozzo di interesse, ma non è uno di quei misteri che ti tiene incollato allo schermo e ti spinge a visionare subito l’episodio successivo per scoprire cosa c’è dietro. La storia d’amore tra la protagonista e il vecchio amico d’infanzia ora poliziotto è praticamente già scritta, soprattutto dopo l’immancabile scena del salvataggio da un corteggiatore insistente che fa tanto “donzella in pericolo salva dal principe azzurro in armatura scintillante”. E rimanendo sempre in tema di cliché, è praticamente certo che alla fine Cal si salverà dall’annegamento rivelandosi anche lei una Tidelander, riproponendo così per la miliardesima volta lo stereotipo dell’eroe per caso ignaro dei suoi poteri finché una situazione di grave pericolo lo spinge a servirsene per la prima volta.
Poco male, una serie è fatta anche di contenuti e se la recitazione non convince ci si può sempre rifare con la trama, con i dialoghi, con la caratterizzazione dei personaggi. Peccato che per ora Tidelands non offra niente di memorabile nemmeno su questo versante, annegando quel poco di buono che c’è in un abisso di mediocrità. Si è portati a chiedersi perché Netflix finanzi certe robe e poi scelga di non salvare prodotti più meritevoli come, che so, Dirk Gently. Il ritorno a casa di Cal dopo un decennio potrebbe offrire spunti interessanti, ma tutto si riduce alle sue richieste di denaro e ai soliti rapporti conflittuali con il genitore superstite. La questione dei cocci che Adrielle colleziona fa a malapena sollevare il sopracciglio per un abbozzo di interesse, ma non è uno di quei misteri che ti tiene incollato allo schermo e ti spinge a visionare subito l’episodio successivo per scoprire cosa c’è dietro. La storia d’amore tra la protagonista e il vecchio amico d’infanzia ora poliziotto è praticamente già scritta, soprattutto dopo l’immancabile scena del salvataggio da un corteggiatore insistente che fa tanto “donzella in pericolo salva dal principe azzurro in armatura scintillante”. E rimanendo sempre in tema di cliché, è praticamente certo che alla fine Cal si salverà dall’annegamento rivelandosi anche lei una Tidelander, riproponendo così per la miliardesima volta lo stereotipo dell’eroe per caso ignaro dei suoi poteri finché una situazione di grave pericolo lo spinge a servirsene per la prima volta.
Immancabile, inoltre, è il tentativo di conferire una patina pruriginosa e promiscua alla serie con una bella dose di nudi, festini orgiastici, scene lesbo e amplessi ficcati a forza nella narrazione, che cerca di solleticare gli appetiti più bassi del pubblico e di sfruttare il fascino della trasgressione. La scena in cui Adrielle, il capo delle famigerate donne-sirene, va da Augie, il capo dei pescatori/contrabbandieri, per mettere in chiaro chi comanda è una delle cose più trash e dei punti più bassi raggiunti dalla serialità negli ultimi anni, scritta probabilmente da questi sceneggiatori. Il problema, sarebbe inutile precisarlo ma è meglio farlo, non è che ci sia del sesso in una serie ma la sua immotivata sovraesposizione, il suo uso superficiale che finisce per dar vita a sequenze ridicole e per sminuire ulteriormente la fiducia che lo spettatore ha nei confronti del prodotto.
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Se il buongiorno si vede dal mattino primo episodio, con Tidelands siamo di fronte all’ennesima serie che dà ragione a quanti insinuano che Netflix stia sacrificando un po’ troppo la qualità in favore della quantità e del successo. Manzi e gnocche, tette e scene di sesso assicurano sicuramente una certa presa sul pubblico medio di bocca buona e qualcosa di salvabile c’è, ma può bastare in un’epoca in cui escono centinaia di serie all’anno e bisogna ponderare con attenzione a quante dedicare il proprio tempo?
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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.