Arrow 3×23 – My Name Is Oliver QueenTEMPO DI LETTURA 5 min

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My name is Oliver Queen. After five years in hell, I returned home with only one goal: to save my city. And I did. I became a hero who helped people. But now it is time for me to be someone else. It is time for me to be.. something else.

“My Name Is Oliver Queen” è un episodio dannatamente difficile da recensire sia da un punto di vista seriale, sia da un punto di vista formale. Quando si parla di aspetto seriale ci si riferisce alla valenza che l’episodio ha in rapporto all’intera stagione e/o serie ed in questo caso è un season finale che rappresenta anche la fine di un’era visto e considerato tutto ciò che accade. Considerarlo quasi come un series finale infatti non sarebbe del tutto errato. Trattando invece l’aspetto formale, anche volendolo, non si può nascondere l’esistenza delle evidenti lacune narrative che hanno fatto storcere il naso in più occasioni durante la visione.
Questa stagione ha visto prendere piede nella serie dei lati “fumettosi” che fino ad ora erano stati molto limitati. L’utilizzo di espedienti per risolvere situazioni altrimenti impossibili da spiegare si è fatto largo per tutta la stagione evidenziando un distacco netto rispetto al passato, diventando una cosa che è entrata a far parte del modus operandi degli sceneggiatori di Arrow. Abbiamo assistito a vuoti di memoria giustificati dall’uso di erbe mistiche (Thea che uccide Sara); resurrezioni sparse lungo tutta la stagione grazie al Pozzo di Lazzaro (Thea), a farmaci che rallentano il metabolismo fino a far sembrare il corpo defunto (Roy per fingere la sua morte in carcere), riabilitazioni grazie a misticismo e tanta buona fede (Oliver dopo lo scontro con Ra’s nel midseason) o anche la scontata sopravvivenza di tutti i character all’esposizione al virus Omega di questa puntata. La serie si è evoluta lungo una direzione più soprannaturale rispetto allo stile urban delle prime due stagioni (nonostante certe eccezioni dettate dalla necessità di rendere Slade un superuomo) e questo è dovuto anche all’espansione dell’universo narrativo che The CW sta effettuando con i vari spin-off di The Flash ed il futuro Legends Of Tomorrow. Bisogna prendere atto che le storie narrate da 1 anno a questa parte hanno perso di realismo e di conseguente veridicità anche per questi stravolgimenti a livello macroscopico, può sembrare una spiegazione banale ma purtroppo è semplicemente una presa di coscienza di ciò che sta accadendo, se non ci credete vi basterà osservare la comparsata di Barry Allen a Nanda Parbat ad inizio episodio per risolvere in tempi rapidi l’ennesima situazione di stallo.
Chiarito questo passaggio fondamentale della gestione della serie, si può guardare con occhi diversi all’enorme mole di eventi che si sono verificati in questo season finale. Innanzitutto è bene chiarire che il trio di showrunner ha esagerato in quantità e peccato in qualità perché, come spesso accade in queste situazioni, “chi troppo vuole nulla stringe”. In 40 minuti son stati condensati un quantitativo di eventi che serie come Supernatural avrebbero diluito in 3 stagioni e, proprio a causa di questo, sono saltate subito agli occhi delle falle logiche nell’evoluzione degli eventi che forse non si sarebbero viste con più tempo a disposizione. Il primo, e magari più evidente, è la location di Nanda Parbat, teoricamente posizionata in una non meglio specificata zona del Tibet e quindi decisamente distante da quella Starling City che idealmente è collocata nella costa ovest degli States. Per tutta la stagione abbiamo visto la facilità o la difficoltà ad arrivarci a seconda delle necessità della storia ma qui, con Flash, si supera ulteriormente quella barriera di incoscienza chiedendo di fatto allo spettatore di non porsi troppe domande, cosa che noi faremo perché non vogliamo farcene ora, così come non ce ne siamo poste durante la stagione.
“My Name Is Oliver Queen” è un season finale che si lascia guardare per la sua scorrevolezza, è fluido, divertente, colorato, tutto ciò che si potrebbe desiderare da un episodio normale. Purtroppo però, come tutti gli episodi che evolvono la trama orizzontale, deve rendere conto della maniera con cui si porta avanti la trama stessa e qui nascono le incongruenze. Se ad una prima, fugace, visione si possono non notare certe cose, ripensandoci risulta difficile non rimanere allibiti al “benestare di Oliver” per il ruolo di Speedy/Arsenal 2 di Thea, così come ci si fa qualche domanda sul repentino cambio d’umore di Felicity, totalmente piegata alle emozioni da scolaretta in primavera. Chiariamoci: sono tutte cose che avrebbero avuto bisogno di più tempo per essere spiegate ed analizzate ma che invece sono arrivate una di seguito all’altra senza tante spiegazioni, spiegazioni che però sono veramente necessarie.
È veramente un peccato assistere ad un season finale di questa portata che si svilisce da solo per la troppa carne al fuoco, errore, questo, da principianti del mestiere. “My Name Is Oliver Queen” è talmente forte nel suo ruolo di season finale da assurgere a potenziale series finale, cosa che però non è, fortunatamente. Rimane però l’ultima puntata di un’era, fatta di Arrow, Arsenal, Ra’s Al Ghul e Diggle, che si è fatta amare per molte cose, quanto disprezzare per altre come quelle descritte sopra. Le premesse per una nuova era della serie ci sono tutte, specialmente considerando come l’identità di Arrow ora sia inutilizzabile. Con più attenzione e tempo la serie potrà rinascere dalle proprie ceneri più forte di prima, se lo vorrà, per ora rimane solo una conclusione non degna dei tempi passati.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Evoluzione e premesse future
  • Diggle coerente con sè stesso
  • Breve team-up con Flash
  • Merlyn come Ra’s Al Ghul
  • Errori di basso rango
  • Nanda Parbat come location aleatoria
  • Fretta ed eccessiva compressione degli eventi

 

È la fine di un’era e non era proprio come la si immaginava. Errori evitabili e troppa concentrazione degli eventi hanno creato più superficialità che altro e la cosa a lungo andare si vede bene nella puntata. Peccato, un’ottima occasione gettata alle ortiche.

 

This Is Your Sword 3×22 2.54 milioni – 1.0 rating
My Name Is Oliver Queen 3×23 2.83 milioni – 1.0 rating

 

 

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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.

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