Probabilmente quasi la totalità del fandom di Black Mirror, persone che ormai più di dieci anni fa si erano avvicinati al prodotto di Channel 4 scoprendo una perla rara nel panorama seriale, aveva perso le speranze. Tutti sanno della discesa che ha avuto il prodotto di Charlie Brooker da quando il più grande colosso dello streaming ha messo le manone su quello che era uno show con un certo standard. Perciò, a partire da un’altalenante terza e quarta stagione, sorvolando sull’esperimento interattivo, le ultime due uscite di Black Mirror si erano rivelate gravemente insufficienti.
Eppure, proprio quando sembrava che Brooker avesse esaurito le idee, che Black Mirror non avesse più cartucce da sparare, o che paradossalmente il mondo reale avesse superato la fantasia distopica che lo descriveva, arriva un segnale di speranza. “Common People“, l’episodio con cui si presenta questa nuova settima stagione di Black Mirror, non è affatto male. Lo show sembra infatti tornare ad avere quella brillantezza nel pescare tra le tecnologie più innovative per porre lo spettatore di fronte a dilemmi etici, dubbi morali da affrontare e su cui rimuginare nelle ore successive alla visione.
LAVORARE PER SOPRAVVIVERE
Mike e Amanda (Rashida Jones, per tutti coloro che vedono un volto noto è la Karen Filippelli di The Office) sono una coppia felicemente sposata che cerca da un po’ di tempo di avere un bambino. Una situazione tutto sommato tranquilla che viene sconvolta dalla drammatica notizia di un tumore al cervello di lei. L’occasione perfetta per introdurre l’elemento tecnologico: una startup è capace di sostituire la massa tumorale nel cervello con una “sana” ex novo, alimentata via wireless dai dati del suo attuale cervello. Piccolo dettaglio, l’afflusso di dati non è ovviamente gratuito (mentre l’intervento lo è, e già qua bisognava annusare la trappola), e per mantenerlo attivo bisogna abbonarsi a RiverMind, a soli 300 $ al mese.
Difficile fare una scelta diversa da quella di Mike, che davanti alla possibilità di salvare una vita scegliere di pagare per tutta la vita 300 dollari a coloro che stanno realizzando un miracolo. Quella che si presenta come un’opportunità eccezionale, da cogliere a qualsiasi prezzo, si rivelerà presto – ovviamente – una sliding door, su cui si svilupperanno dinamiche disturbanti e su cui far riflettere. A partire dal fatto che Mike inizierà a fare doppi turni ogni giorno, dormendo poche ore a notte e lavorando l’intero giorno, per permettere a sua moglie di sopravvivere, senza mai poter vivere al suo fianco, a causa del riposo forzato di lei. D’altronde i server non possono mica essere stressati.
RINNOVI E PIANI STANDARD
Come in ogni episodio che si rispetti di Black Mirror, lo status quo non fa che peggiorarsi quando l’elemento tecnologico inizia a prendere il sopravvento. RiverMind è una startup in ascesa, e il piano proposto inizialmente di 300 dollari era solo un’offerta per creare un bacino di utenti. Ben presto Amanda inizia a trasmettere alcune pubblicità, chiaramente aderenti al tema della discussione che si trova ad affrontare. Una ferocissima satira al sistema capitalistico che da sempre Black Mirror ha abbracciato, qui realizzata portando in scena un’idea geniale.
Coraggiosa anche Netflix (ma non è certo la prima volta), che permette a Brooker di scherzare sulla questione degli aumenti e di piani standard/premium, che negli anni ha fatto inferocire orde di abbonati. Il piano inizialmente sottoscritto diventa chiaramente un piano non sufficiente a vivere un’esperienza completa (che nell’episodio sarebbe la vita stessa), e per questo è necessario andare oltre le proprie possibilità divenendo schiavi di RiverMind e delle sue politiche commerciali. Prima danno un assaggio del prodotto, poi però non è possibile usufruirne, se non divenendo dei veicoli promozionali per l’azienda.
Amanda: “What’s your next little trick? You gonna make my asshole whistle jingles?”
Gaynor: “No, that’s not part of our development cycle.”
SEGNALI INCORAGGIANTI
Dopo anni di buchi nell’acqua e stagioni che hanno rischiato di infangare il buon nome di Black Mirror, ci sono dunque delle speranze per far tornare il gioiello di Charlie Brooker per lo meno ad un livello accettabile. Questa consapevolezza sopraggiunge con l’inserimento in “Common People” di un elemento sociale come la piattaforma Dum Dummies, ad abbinarsi a quello tecnologico di RiverMind. Dum Dummies è l’estremizzazione degli show in streaming in cui le persone fanno “cose” in cambio di denaro.
Un concetto anch’esso attuale che si abbina perfettamente con la dinamica da “strozzino” degli aumenti delle piattaforme tramite cui non si possiede sostanzialmente mai nulla, ma si è solo schiavi di qualcun’altro. Mike si vede costretto a fare atti osceni, sotterrando la sua dignità ben oltre il fare doppi turni al lavoro per godersi un minuto di sua moglie da sveglia. Ogni passo in più fatto da Mike è infatti accolto da un misto di compassione e orrore dallo spettatore, che non vorrebbe mai trovarsi a dover fare scelte come quelle fatte dal personaggio di Chris O’Dowd.
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Torna Black Mirror e lo fa con il piede giusto, mettendo forse una bella pietra sulle ultime stagioni al di sotto delle aspettative, e puntando su quello che ha sempre saputo fare meglio: far sorgere domande negli spettatori e farli riflettere.
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Giovane musicista e cineasta famoso tra le pareti di casa sua. Si sta addestrando nell'uso della Forza, ma in realtà gli basterebbe spostare un vaso come Massimo Troisi. Se volete farlo contento regalategli dei Lego, se volete farlo arrabbiare toccategli Sergio Leone. Inizia a recensire per dare sfogo alla sua valvola di critico, anche se nessuno glielo aveva chiesto.