Su Netflix approda, dopo quasi sei mesi dalla prima messa in onda, una serie tv israeliana di sicuro interesse che riesce a comprimere al suo interno sia le tematiche prettamente correlate ai teen drama, sia quelle più “adulte” che fanno assomigliare lo show ad archetipi narrativi quali Homeland e 24. Il risultato è uno show che, in questo primo episodio, funziona egregiamente e mantiene incollato allo schermo lo spettatore.
Punto di commistione tra 24 e teen drama? Presto detto: una scuola.
Durante una celebrazione commemorativa all’interno di un istituto superiore un gruppo imprecisato (3-5 persone sembrerebbe), in tuta nera e col volto coperto da una maschera d’unicorno, si introduce in quella che sembra essere l’aula magna e inizia a sparare in direzione dei giovani ragazzi seduti durante il momento evocativo uccidendone quattro e ferendone molti altri. I successivi, concitati, attimi mostrano il terrore dei giovani che, presi dal panico, cercano di trovare rifugio in qualsiasi modo e luogo. Forse un maggior utilizzo della camera a mano avrebbe aiutato nel rendere ancora più concreto e “vero” il terrore, restituendo allo spettatore una sequenza carica di pathos e panico senza eguali. Il risultato comunque non fa sfigurare minimamente lo show e anzi incita il pubblico a crearsi aspettative sempre più alte via via che la puntata procede.
NED-SCUOLA DI SOPRAVVIVENZA, MA VERSIONE ACTION
Aspettative che cozzano poco più avanti quando, una volta sopraggiunta la polizia, i ragazzi vengono mostrati a tratti agitati e presi dal panico (solitamente in presenza di feriti), in altre circostanze talmente in controllo della situazione da risultare dei veri e propri automi (il gruppo di ragazzi che, chiusi in un’aula, si affaccia nel corridoio con l’arrivo della polizia chiedendo il via libera).
Black Space non cerca di avvicinarsi a pellicole quali, per esempio, Polytechnique (2009) in cui Villeneuve raccontava il massacro del 1989 all’École Polytechnique di Montréal: non c’è visione di un carnefice, non ora. C’è il mistero e c’è il dubbio attorno a chi sia stato e al perché un tale gesto sia stato compiuto.
La storia, più per “giocare” con la politica che per interesse vero e proprio, vira sulla possibilità che l’attacco sia stato orchestrato da un gruppo di operai (palestinesi, per dare spazio alla possibilità che si tratti di terrorismo) arrivati il mattino e successivamente trovati nascosti in cima all’edificio scolastico. Eppure non ci sono prove, non ci sono armi, non ci sono i fantomatici costumi e maschere da unicorno. I killer sembrano essersi volatilizzati. Una possibilità, chiara e limpida, si fa sempre più strada nella mente dello spettatore e diventa tangibile solo in conclusione di puntata quando il protagonista, il detective Rami Davidi (a cui sarà dato sicuramente maggiore spazio per approfondire la propria vita privata) giunge alla conclusione: i tre operai sono innocenti ed i carnefici sono da ricercare all’interno dei ragazzi della scuola che, inosservati, hanno avuto modo di agire indisturbati e successivamente confondersi con il resto del gruppo fingendosi atterriti e, perché no, feriti.
Un colpo di scena che rimescola le carte e che fa presagire una caccia all’uomo/donna senza esclusione di colpi in cui il detective dovrà riuscire a scovare i colpevoli all’interno di un nutrito gruppo di giovani. E, soprattutto, riuscire a ricomporre un puzzle dandogli una motivazione, cercando di spiegare il perché di una tale violenta azione.
FLASHBACK E DOPPIAGGIO
Una storia che cattura, che si presenta dinamica e che non annoia se non in alcuni frangenti puramente ornamentali (la videochiamata di Rami con la moglie, per esempio). Ma c’è ampio spazio per lo show di crescere e convincere ulteriormente con i prossimi episodi salvo riuscire a correggere fin da subito il tiro risolvendo alcuni piccoli nei. Primo su tutti l’utilizzo dei flashback che vengono sfruttati per mostrare una evidente (ma momentanea) perdita di lucidità da parte di Rami, ma che ben poco dicono e rappresentano per lo spettatore: di una sequenza in cui Rami viene inseguito da due uomini (o ragazzi?) ora come ora, trattandosi del primo episodio, interessa ben poco. E soprattutto se ne fatica a comprendere la contestualizzazione ed il significato.
Altro lato negativo, questo strettamente correlato all’approdo su Netflix però, è la totale mancanza di un doppiaggio italiano che costringe lo spettatore a doversi guardare lo show in lingua originale (facendo contenti i puristi, ma allontanando il grosso del pubblico), ossia in ebraico. L’alternativa sarebbe guardarlo in inglese o francese, ma evidentemente in queste due nazioni le scuole di doppiaggio sono male attrezzate perché il risultato non è ripugnate, di più. Considerata la distribuzione in Italia, forse, non avrebbe fatto male puntare ad un doppiaggio del prodotto prima del rilascio.
Lingua originale a parte, la puntata scorre via senza problematiche conclamate e, anzi, cattura per la tematica interessante (violenza nelle scuole) e per una caccia al killer tutt’altro che scontata visto e considerato che, da quanto percepito durante il pilot, più ragazzi/e sembrerebbero avere dei segreti da nascondere. Per otto puntate totali potrebbe davvero essere una scommessa vincente.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Black Space: terrore nelle scuole, sparatorie e una caccia al colpevole senza esclusione di colpi all’interno, proprio, del gruppo di studenti usciti indenni dall’attacco. La domanda a cui il detective Davidi dovrà trovare risposta è “perché”, mentre lo show dovrà riuscire a convincere il proprio pubblico a continuare a seguire le restanti sette puntate.
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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.