Arrivati quasi a metà della (forse) ultima stagione, si comincia a respirare un’aria claustrofobica in una delle città più pericolose e complesse d’America. Un luogo dove tutto, ma proprio tutto, si concentra per conquistare un presunto potere sul mondo.
MIKE, STAI BENE?
É innegabile che il centro di un senso che si sta perdendo all’interno della città (e forse della serie) si concentri su Mike.
Vederlo forse nel più bel dialogo della puntata, davanti al capezzale di Evelyn, che chiede solo qualche momento di riposo, racconta molto meglio di troppe linee incrociate, di cui alcune senza senso, che si stanno accumulando in questa stagione, in una sorta di ansia bulimica (voluta?) di punti di vista per continui colpi di scena.
Mike è stanco e lo è praticamente da sempre. Forse stavolta è diverso perché la gente intorno a lui comincia a morire. Se è chiaro che il controllo non lo ha più con nessuno, adesso vede che non può fare più nulla anche con le persone a lui vicine e a cui vuole bene, pronte anche a tradirlo per seguire la propria strada. Fosse soltanto questo elemento, la serie potrebbe ancora offrire spunti interessanti sulla natura del controllo che spesso guida l’essere umano, diventando una patologia nella forma della mania.
IN UN MARE DI COSE DISCUTIBILI
Peccato che non ci sia proprio l’intenzione di porre un focus più strutturato su questo aspetto psicologico, ma si sceglie di accumulare eventi e persone in un posto troppo stretto per essere quantomeno verosimile.
Se si contano i fronti su cui si prova a raccontare questa lotta tra fazioni, si fa fatica a tirarne un filo logico narrativo, soprattutto quando le scelte di sceneggiatura risultano svogliate. Due esempi: il primo riguarda la storia (al momento solo a letto) tra Mike e l’agente Cindy, telefonatissima e quindi troppo scontata per motivare le sue informazioni da dentro al sindaco. É mai possibile che per forza il sesso o l’amore servano sempre a giustificare l’avvicinamento di due personaggi solo in funzione narrativa (in pratica ad uso e consumo della rivelazione di fine episodio)?
L’altro esempio è il mattone lanciato non per uccidere, ma per avvertire. Posto che la caduta di Ian è stata preparata senza una reale costruzione vissuta su schermo, non ha senso dire che col mattone si è puntato al posto passeggero per non ucciderla. Con tutta la buona volontà, da quell’altezza e quella curva, neanche un lanciatore di pesi olimpionico sarebbe stato così preciso. É evidente che si vuole far credere che Ian sia combattuto, ma così è solo un mero strumento narrativo, come anche la confessione al bar fatta subito dopo.
Queste leggerezze rendono la serie assurda nonostante voglia essere tremendamente drammatica, ottenendo un risultato frustrante per lo spettatore.
SAPERE COME FINIRÀ (PERCHÉ FINIRÀ)
Quello che guida la volontà a proseguire la visione è a questo punto il desiderio di vedere tutta questa gente morire male per una sostanziale incapacità di gestire il potere che tanto bramano.
Nessuno sopravviverà a Kingstown, si sa, e fa sorridere vedere Bunny che pensa ad un suo futuro “ripulito” quando sta facendo venire un esercito da Detroit grazie al suo nuovo socio Moses.
Tutti gli spettatori erano con Mike quando sbotta a ridergli in faccia, ben sapendo che quel progetto non ha senso neanche pensarlo, avendo un effetto più comico e surreale rispetto a quello drammatico e malinconico che dovrebbe avere. Questa è scrittura sciatta, che vuole dire cose anche profonde, ma senza dedicarci attenzione. Peccato, viene da dire da chi vedeva (troppo tempo fa) un potenziale, perso in un mare di “vorrei ma non riesco”.
| THUMBS UP 👍 | THUMBS DOWN 👎 |
|
|
Resta solo da vedere come andrà a finire, anche se il livello medio degli episodi è molto più basso di quello che ci si aspettava.
