“Most people come to Granada to visit the Alhambra Palace. But I came here to see something else. Something more magical than the Alhambra.”
(Sottotitoli dal coreano per cui ci fidiamo e basta)
La cara vecchia mamma Netflix presenta Memories Of The Alhambra, una serie che è prettamente “made in Corea del Sud” ma girata in buona parte nel Vecchio Continente (in particolare Spagna, Slovenia e Ungheria).
Ma non è solo l’incrocio di culture e lingue differenti la caratteristica principale di questa serie: anche a livello di generi si assiste ad un vero e proprio melting pot.
La parte introduttiva, ad esempio, sembra relegare la storia al genere crime/spionistico. In una “tranquilla” serata spagnola, un giovane programmatore (Park Chanyeol) fa una telefonata da una cabina pubblica di Barcellona. Sembra spaventato e all’improvviso interrompe bruscamente la telefonata e fugge via, verso un treno in direzione Granada (senza pagare il biglietto peraltro, da vero clandestino!). Poco prima di arrivare però, viene fatto fuori da una misteriosa presenza.
In linea di massima, questa piccola presentazione basterebbe per destare almeno un po’ di curiosità nello spettatore verso questa strana storia in cui i personaggi passano tranquillamente dal parlare coreano al parlare inglese e spagnolo. Peccato che da qui in poi la trama diventi sempre più ingarbugliata, mischiando commedia sentimentale (in parte), sci-fy e fantasy in pochi minuti, con il solo risultato di incasinare lo stato mentale dello spettatore. Una trama che peraltro sembra parecchio campata in aria. Ma è meglio procedere con ordine.
Memories Of The Alhambra ha come protagonista principale Yoon Jin-woo (Hyun Bin), un ricco uomo d’affari nel settore tecnologie (in realtà non si capisce bene di cosa si occupi ma è comunque uno molto ricco) che si trova in Spagna per una serie di conferenze. Casualmente(?) finisce a Granada poiché un programmatore (quello ammazzato prima) vuole convincerlo a comprare un suo nuovo brevetto di gioco AR (realtà aumentata, tipo Pokemon Go per intenderci) ambientato proprio in quella città.
Fermo restando che come motore scatenante degli eventi sembra molto forzato e improbabile, il protagonista finisce nell’unico ostello per soli coreani di tutta la città dove fa la conoscenza della proprietaria, Jung Hee-joo (Park Shin-hye), la quale, sempre casualmente(?) si svela essere la sorella del programmatore scomparso.
Inizia così una lunga parentesi comedy in cui tra i due sembra nascere una specie di feeling che copre buona parte dell’episodio, distogliendo così l’attenzione da una trama principale che lo spettatore ancora non ha capito e per la quale non si è ancora tanto affezionati da potersi permettere certe pause narrative.
Ma tant’è, la parentesi tragi-comica di Yoon Jon-woo va avanti per una buona mezz’ora fino a che non si entra nel vivo della storia: indossando speciali lenti a contatto create dal programmatore, la realtà attorno a sé si trasforma trasportando il giocatore in un mondo medievale in cui spuntano fuori pericoli da tutte le parti. Un normale gioco in AR dunque, ma pare che qualcuno voglia impossessarsi di questa tecnologia per scopi malvagi. Compito (presumibilmente) dei protagonisti sarà evitare che questa tecnologia potentissima non cada in mani sbagliate e per farlo sarà necessario che Yoon Jin-woo e Jung Hee-joo approfondiscano la loro conoscenza (tutte scuse per rimorchiare altroché).
Memories Of The Alhambra contiene in sé due elementi che, se messi insieme, potrebbero tranquillamente fare breccia nel pubblico: i giochi di realtà aumentata (AR) e il paesaggio andaluso. Peccato che qui questi due elementi vengano mescolati in maniera veramente penosa. Del paesaggio dell’Andalusia e delle stradine caratteristiche di Granada non si può dire nulla, anzi, merito di questa serie è aver fatto vedere e conoscere questi straordinari paesaggi ad un vasto pubblico (sia occidentale che orientale). Per quanto riguarda, invece, il gioco in AR, questo pur se suggestivo, è realizzato con una CGI talmente pessima da fad venire voglia di strapparsi gli occhi con le mani. Oltretutto, pare veramente ingiustificata tutta questa attenzione verso un gioco che sì, viene descritto come estremamente realistico e innovativo, ma che in fondo sempre gioco rimane. Invece, si lascia intendere che le sorti relative a questo gioco debbano influenzare anche quelle del mondo per colpa di questa fantomatica presenza malvagia di cui nessuno sa ancora nulla alla fine del pilot.
A pensarci bene, il problema principale della serie sono tutti questi buchi di trama che sicuramente verranno risolti nelle prossime puntate, ma che finora non hanno decisamente creato quell’hype necessario per andare avanti nella storia. Anche perché, l’idea che un gioco simile a Pokemon Go (poiché di questo si sta parlando) possa rappresentare una simile minaccia appare alquanto inverosimile (per ora). Il pilot lancia tanti spunti sicuramente interessanti ma il non sapere esattamente che cosa si sta guardando non aiuta ad appassionarsi alle vicende.
Verrebbe da dire che forse si poteva tagliare buona parte della parentesi comedy interna tra i due co-protagonisti e spiegare un po’ meglio il background e i pericoli “reali” che il gioco può provocare nella realtà. Al momento rimangono tanti punti interrogativi, per una serie che, in fin dei conti, non è poi così innovativa e originale come si vuole far credere. Pare piuttosto un’accozzaglia di cliché narrativi messi insieme al tema della realtà virtuale, ma in un’ottica che appare già “vecchia” dal momento che è trita e ritrita. Si tratta certamente di un prodotto d’intrattenimento senza troppe pretese narrative, che punta di più sull’azione degli effetti visivi (dire “speciali” suona come una bestemmia in questo caso). Tuttavia, non si giustificano tutti i buchi di sceneggiatura presenti e la trama raffazzonata.
Memories Of The Alhambra conferma perciò quanto visto nel trailer: una serie senza troppe pretese che si può tranquillamente vedere quando si ha voglia di qualcosa che non impegni troppo la mente e il cervello, ma niente di più di questo. E comunque, alla fine, il palazzo dell’Alhambra non compare se non da lontano per due secondi. Da chiedere subito i soldi indietro al tour operator!
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Laureato presso l'Università di Bologna in "Cinema, televisione e produzioni multimediali". Nella vita scrive e recensisce riguardo ogni cosa che gli capita guidato dalle sue numerose personalità multiple tra cui un innocuo amico immaginario chiamato Tyler Durden!