Una stagione quantomeno atipica di Suburra sta per volgere al termine e, a prescindere da cosa deciderà di raccontarci nel series finale, è già possibile esprimere un primo giudizio di valore in merito a questo terzo atto, senza dubbio il peggiore visto finora. Lanciata sulla scia del successo dei crime nostrani Romanzo Criminale e Gomorra, Suburra cominciò il suo percorso narrativo con un obiettivo ben preciso: raccontare – con la giusta dose di tamarrìa – gli equilibri di potere esistenti tra Stato e Chiesa e il sottobosco delle diverse attività criminali che si nasconde dietro di essi. Ora, a più di tre anni dal rilascio della prima stagione, questo obiettivo sembra essersi perso per strada, lasciando spazio invece a puntate come questa, maggiormente focalizzate su un approfondimento dei legami che intercorrono tra i protagonisti piuttosto che su un reale approfondimento della trama. Una scelta insensata – a maggior ragione in una stagione composta da soli sei episodi – che finisce col rovinare l’ottimo lavoro di storytelling compiuto finora in favore di sequenze vuote e inutilmente introspettive sebbene esteticamente d’impatto.
Trame che necessiterebbero di un maggior approfondimento vengono così concluse con fretta ingiustificata, lasciando spazio invece a dialoghi volutamente artificiosi tra i protagonisti – in particolare tra Aureliano e Spadino – nati forse dall’esigenza di creare la scena cult laddove non sia necessario. Una continua “caccia al meme” che ha come immediata conseguenza un avvicinamento della serie al prodotto Netflix standardizzato: una macchina acchiappa-like priva di un’identità propria, pregna di un fascino solamente illusorio conferitogli dalle suggestive immagini della Capitale, una colonna sonora sempre azzeccata e dal carisma dei suoi due – sempre impeccabili – interpreti principali.
Come suggerito dal titolo, “Fratelli” ha come obiettivo quello di raccontare il difficile rapporto tra Spadino e Manfredi, nuova e vecchia guardia storicamente in conflitto per garantire un futuro al clan degli Anacleti e giunti finalmente al punto di rottura. Scoperte le macchinazioni del redivivo Manfredi, Spadino decide di prendere in mano le redini della situazione accollandosi l’eliminazione del fratello, ma quando si tratta di legami di sangue gli esiti non sono mai così scontati. I tentativi (fallimentari) dei due protagonisti di occuparsi del maggiore dei fratelli Anacleti, oltre che scoprire definitivamente le carte in tavola portando la narrazione al cosiddetto punto di non ritorno, mettono in luce uno degli elementi più frustranti di questo quinto episodio: la continua costruzione di una tensione per un momento culminante che in realtà non arriverà mai. I due tentativi di omicidio appena citati, ma anche il breve raptus di follia di Cinaglia (l’Heisenberg de’ noantri) bloccato nel traffico, riescono nell’intento di creare, grazie anche alla sapiente commistione tra immagini e musiche, quella sensazione di pericolo imminente che tanto piace agli spettatori di Suburra e che certamente rappresenta uno degli aspetti più affascinanti di questa tipologia di prodotto; salvo poi lasciare lo spettatore a bocca asciutta per quello che si configura come un perenne nulla di fatto, un continuo rimandare (a questo punto obbligatoriamente nel prossimo episodio) che lo porta a chiedersi perché in fase di avvio stagionale non si sia dedicato lo stesso tempo alla chiusura di trame – e personaggi – che sicuramente avrebbero meritato una fine meno frettolosa.
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Di certo non si tratta della peggiore puntata vista in questa stagione, ma ad un passo dal finale ci si aspettava qualcosina di più. La continua costruzione della tensione per un momento clou che di fatto non arriva mai ha sullo spettatore lo stesso effetto di un coito interrotto e la brama di proseguire nella visione per conoscere finalmente il finale di questa storia lascia invece posto alla frustrazione per una clamorosa occasione sprecata. Ineccepibile al contempo il comparto tecnico, tra regia, fotografia e soundtrack, ma non sufficiente per garantire la sufficienza a questo quinto episodio.
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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.