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Se viene fatto riferimento alle serie tv british del genere crime/poliziesco, la prima che subito compare nella mente di tutti è una: Sherlock.
Riproporre il personaggio di Conan Doyle nell’era moderna, non privandolo di tutte le sue caratteristiche che l’hanno reso uno dei personaggi dei romanzi più affascinanti e coinvolgenti è stata una mossa a dir poco azzeccata e geniale. Un ispettore gentiluomo che indaga e si confronta con altre menti eccelse e traboccanti d’ingegno.
Ma la cara e vecchia Inghilterra solo questa serie ha da offrirci? Ebbene, cari lettori, se pensate che Sherlock sia insuperabile o se vivete nella convinzione che la serie tv creata da Steven Moffat e Mark Gatiss rappresenti il walhalla, ci spiace ma dovrete ricredervi.
Luther rappresenta la pura e semplice genialità d’unire l’abilità impareggiabile di un poliziotto con il suo essere fuori dagli schemi e non convenzionale. Tocca però fare una premessa: con “fuori dagli schemi e non convenzionale” non è da intendersi un personaggio in stile Vic Mackey (The Shield), ossia a suo modo corrotto e coinvolto dal male stesso che affligge e attanaglia la città. Bensì sono da recepire come un più largo rimando a personaggi come Fox Mulder: abili nel loro campo, intelligenti, ma che prediligono vie diverse rispetto ai convenzionali canali investigativi.
Certo, Luther non è coinvolto in cospirazioni aliene o federali però mantiene quel suo anarchismo poliziesco che lo pone in un pianeta di polizia, seppur vicino, parallelo a quello consueto. La serie si snoda e ci viene presentata in quattordici puntate divise in modo disomogeneo su tre stagioni. La figura di John Luther apparirà più e più volte allo spettatore come un inguaribile giustiziere, ma sarà proprio a causa di questa sua volontà nascosta, che i fatti non faranno che precipitare travolgendolo e alcune volte trascinandolo in azioni e compiti di cui non vorrebbe nemmeno sentir parlare.
Singolare è anche il rapporto che lega Luther al gentil sesso, vario e particolare a seconda della donna presa in considerazione. Per la moglie Zoe nutre un fortissimo sentimento d’amore e quando lei lo informa di volerlo lasciare, dà in escandescenza comprendendo solamente più tardi che la decisione presa dalla donna dopotutto era quella più giusta. Parallelamente alla figura femminile famigliare c’è Alice Morgan: prendete le caratteristiche di Luther, aggiungeteci una naturale dispatia ed un forte senso vendicativo e violento ed avrete la perfetta rappresentazione di ciò che è Alice. Agli occhi di John tutto ciò appare limpido e tangibile ma non potrà non legarsi alla donna ritenendola una parte di sé stesso e l’unica sola sua vera amica. In uno dei momenti più carichi di pathos dell’intera serie, il finale della prima stagione, Alice si rivolge a Luther dicendo: “Noi due siamo quello che siamo, ma devi sapere che tra tutte le persone al mondo io non ti tradirei mai”. Credo basti questa frase per sottolineare quanto il loro rapporto sia intimo, basato sulla fiducia e puro. Qualcosa di oltremodo poetico ma affatto stucchevole.
Durante la seconda stagione sarà invece il rapporto tra John ed una giovane ragazza con diversi problemi alle spalle a tenere banco: Jenny Jones. Anche in questo caso, così come era per la moglie, John cerca in tutti i modi di proteggerla e di allontanarla dal mondo violento e sociopatico in cui lavora, ma purtroppo l’universo trova sempre il modo di correggere la rotta e anche in questo caso la ragazza verrà coinvolta, suo malgrado, da qualcosa più grande di lei.
Dopo aver letto queste righe in cui vengono presentati i vari rapporti intercorsi tra personaggi maschili e femminili, la serie potrebbe apparire quasi romantica. Sbagliereste di molto a definirla tale: il carico cupo e tetro di ogni caso viene appena illuminato dagli elementi rimanenti che compongono la trama. In questa serie appaiono alcuni dei criminali più macabri e affascinanti di sempre: basti prendere i due gemelli che assassinavano delle persone basandosi su regole prese da giochi di ruolo, oppure lo psicopatico assassino che assaliva le persone celando il suo volto dietro una maschera teatrale inglese (Punch). Questi sono solo alcuni dei “cattivi” con cui l’ispettore Luther arriverà a confrontarsi e, alcuni di questi cattivi, per un certo periodo di tempo si saranno professati suoi fedeli amici ed alleati.
La fitta psicologia che permea gli episodi rende molto simili in quanto ad intelligenza Sherlock e Luther, proprio per questo le due serie hanno diviso il pubblico creando una distinta base di fan a loro supporto. Ed è per tale motivo che si è deciso di contrapporle all’inizio di questa recensione.
L’ispettore John Luther, indiscusso protagonista, è interpretato da Idris Elba: vincitore di un Golden Globe proprio grazie a Luther nel 2012 (due le nomination, 2011 e 2014) e anche tre nomination agli Emmy Awards sempre per la già citata serie tv (2011, 2012 e 2014). Attore già conosciuto in tante altre pellicole e serie tv (28 settimane dopo, Thor, Thor: The Dark World, Pacific Rim, Prometheus, The Wire ecc ecc) è stata una scelta perfetta ed ha rappresentato alla perfezione ogni dissidio interiore che un uomo come Luther aveva: il dolore lancinante per una perdita, ma la lucidità quasi folle per trarsi in salvo e potersi vendicare; la forza d’animo con la quale a più riprese sembrava incoraggiarsi per portare a termine un caso che sembrava senza soluzione; il suo pragmatismo sul campo, attraverso il quale otteneva rispetto da chiunque, anche dal criminale che doveva essere arrestato o dal superiore con il quale era in acceso contrasto.
Un altro attore che merita una menzione speciale è sicuramente Warren Brown (agente Ripley): uno dei personaggi che rimane sempre fedele a John pur avendo, a lungo andare, certi cali di fiducia nei confronti dell’ispettore capo. Una dedizione difficile da rappresentare tramite, spesso, il solo ausilio della mimica facciale o dei lunghi silenzi.
Se ancora non doveste essere convinti del tutto, andremo ad elencarvi altri due motivi per i quali questa serie andrebbe sicuramente vista: la fotografia e la regia.
Per la prima in realtà c’è poco da dire: gli scenari e le ambientazioni sono spesso cupe e tetre, ricordando come stile quelle di un’altra serie tv inglese, Southcliffe. Inutile dire che la qualità generale è come al solito, essendo una serie tv inglese, paragonabile tranquillamente a quella di un film.
Per quanto concerne la regia invece è da sottolineare l’uso smodato dei primissimi piani decentrati, che caratterizzano in particolar modo la prima stagione perdendosi con il procedere della serie. Nelle successive due stagioni infatti, vengono utilizzate più frequentemente le riprese sul Piano Americano (ossia con la figura umana inquadrata dalla vita in su). Questo cambiamento ha portato la serie ad una sorta di trasformazione rendendo la sua stessa conclusione, con le due ultime puntate della terza stagione, una vera e propria pellicola di stampo U.S.A. Con ciò non si vuole dire che l’inizio è stato migliore della conclusione, anzi, sotto certi aspetti è stata la conclusione del cerchio che si era aperto con il pilot e di più non si può mai pretendere da una serie tv. Bisogna sapersi accontentare certe volte.
Quindi, se doveste sentire una certa mancanza di sociopatia, splatter (a tratti puro horror) e tanta azione e psicologia, sapete da che parte guardare: nella direzione di John Luther e della sua allegra compagnia londinese.
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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.