American Crime Story: The People V. O. J. Simpson 1×09 – Manna From HeavenTEMPO DI LETTURA 4 min

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I plead the fifth commandment.

Queste parole, apparentemente senza una vera risposta, cadono come macigni chiudendo ogni possibilità di vittoria per l’accusa nel processo sui presunti omicidi compiuti dal O. J. Simpson.
Il processo del secolo decennio, come più volte è stato detto, da tempo ormai non riguarda più l’omicidio di due persone e della conseguente ricerca del colpevole. Tutto si è spostato su un piano più elevato e ha ragione Cochran quando afferma che in questo processo c’è in ballo l’America e la sua essenza. Dando un occhio ai suoi dieci emendamenti, ci si accorge come in questo processo ognuno di essi abbia avuto un ruolo importante per l’importanza che ricopre nel definire cosa voglia dire dirsi un cittadino americano a tutti gli effetti. È emblematico e allo stesso tempo devastante che sia proprio il quinto a chiudere il processo del secolo, (non) rispondendo alla domanda fondamentale di tutto il processo.
Se nei precedenti episodi sono stati esplorante molti punti di vista, in questo e nello scorso il focus è arrivato alla giuria designata ad emettere il verdetto finale:
Cosa deve sapere per poter esprimere un giusto giudizio?
Cosa serve veramente per emettere il verdetto su OJ Simpson?
È importante definire cosa ha commesso o piuttosto chi sia e cosa rappresenti per l’America?
Una star del football? Una nascente star del cinema? Un rappresentante della comunità nera?
Che caratteristiche servono per poter emettere un giudizio?
In definitiva sarebbe il caso di avvalersi delle prove oggettive. Mai come in questo episodio i protagonisti, e anche lo spettatore, sono trascinati nel vortice delle emozioni più che dalla razionalità propria che competerebbe alla giustizia equa. Le dichiarazioni razziste di uno dei testimoni chiave possono cambiare nettamente il proprio giudizio tanto da mettere in secondo piano le mai smentite prove portate dall’accusa? Sì, possono e il tutto accade in maniera inevitabile, per mano di uno dei personaggi che probabilmente si ama odiare visceralmente, quel Johnnie Cochran in preda ormai a deliri di onnipotenza pur di vincere, anzi, stravincere questo processo.
Alzi la mano chi in questo episodio al sentire le registrazioni non sia rimasto sbigottito da tanta ferocia razzista ma allo stesso tempo sperasse che l’arroganza di Johnnie non l’avesse vinta. L’interpretazione di Courtney B. Vance, sempre sopra le righe, risulta convincente proprio perché, a differenza di quanto afferma Marcia e soprattutto il giudice della corte, qui è in atto lo spettacolo e vince chi riesce a manipolare l’opinione pubblica recitando al massimo la propria parte fino al limite del tollerabile, mettendo a rischio la sicurezza della comunità fomentando gli animi irrequieti della città. Cochran trascina con sè in questa vittoria solo un altrettanto efficace Nathan Lane nei panni F. Lee Bailey. A lui si deve la parte più importante del processo: il (falso) giuramento di Mark Furhman e la successiva acquisizione delle registrazioni negli atti del processo. Dall’altro lato del banco, la procura ne esce a pezzi, così come il rapporto tra Marcia e Chris, troppo accecati dalle proprie aspirazioni e vittime di tremendi errori procedurali. È impossibile non sentire questo senso di fallimento che permea qualsiasi loro dialogo. Anche se tentano di scusarsi per i reciproci errori, non è sufficiente a far sparire la rabbia per tanto lavoro inutile, gettato al vento per evidente inadeguatezza alle regole dello spettacolo mediatico. L’abbandono dell’aula di Chris è sintomatico e condivisibile tanto che sarebbe stato intollerabile sentire una parola di più dal mostro Furhman.
Lo spettatore sperimenta anch’esso un pesante senso di impotenza tanto che vorrebbe lasciare l’aula insieme a Darden ma ne rimane ancora attratto, indeciso se nutrire vanamente la speranza che la giustizia prevalga o gustarsi il circo mediatico in maniera piacevolmente sadica.
In tutto questo le voci della ragione, se così possono essere chiamate, spariscono: Robert Kardashian rimane senza parole soprattutto davanti al giubilo del suo amico O. J., ormai cosciente della fine della giustizia e forse anche del loro rapporto di amicizia. L’altro Robert, l’avvocato Shapiro, si apparta da ogni conferenza stampa, ben sapendo oramai che  il suo nome verrà menzionato soltanto in qualche atto processuale.
ACS è definitivamente un’ottima serie che sa usare tutte le carte a disposizione nella maniera più coinvolgente possibile, nonostante già si sappia cosa accadrà alla fine.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Cochran e le sue capacità
  • Tutti gli attori
  • Quelle 5 parole che riecheggiano nell’aula
  • Cochran e la sua arroganza
  • David Schwimmer, anche se meno peggio del solito, forse perchè parla pochissimo

 

Raramente accade di essere coinvolti emotivamente da una serie basata apparentemente solo su un processo. Murphy e soci hanno confezionato qualcosa che riesce a parlare al cuore di quello che significa essere cittadini americani. In attesa del finale, siamo e rimaniamo pienamente fiduciosi.

 

A Jury in Jail 1×08 2.9 milioni – 1.2 rating
Manna From Heaven 1×09 2.75 milioni – 1.1 rating

 

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Dopo miliardi di ore passate a vedere cartoni giapponesi e altra robaccia pop anni ’80 americana, la folgorazione arriva con la visione di Twin Peaks. Da allora nulla è stato più lo stesso. La serialità è entrata nella sua vita e, complici anche i supereroi con le loro trame infinite, ora vive solo per assecondare le sue droghe. Per compensare prova a fare l’ingegnere ma è evidentemente un'illusione. Sogna un giorno di produrre, o magari scrivere, qualche serie, per qualche disperata tv via cavo o canale streaming. Segue qualsiasi cosa scriva Sorkin o Kelley ma, per non essere troppo snob, non si nega qualche guilty pleasure ogni tanto.

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