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Fleabag termina qui, con un finale totalmente anticlimax e votato a mettere ordine attorno ai pochi ma ben caratterizzati personaggi su cui questa serie ha sempre potuto contare.
Non importa che la serie si componga di 12 episodi distribuiti in modo omogeneo su queste due uniche stagioni.
Non importa che i personaggi chiamati in causa, come detto, siano pochi.
Non importa nemmeno che la serie tv difficilmente vedrà la luce per un terzo ciclo.
Tutti questi elementi non risultano importanti perché di fronte ad un percorso evolutivo (relativamente al personaggio della giovane Fleabag) e narrativo come quello andato in onda, l’unica reazione che risulta spontanea è l’applauso sincero e sentito verso sceneggiatori e registi.
Phoebe Waller-Bridge è riuscita a costruire un personaggio che inizialmente colpiva per la sua sfrontataggine ed il suo forsennato attaccamento all’elemento sessuale all’interno di una relazione. L’evoluzione è stata lenta ed ha affrontato la realizzazione da parte di Fleabag di essere stata la causa scatenante, con questo suo modo di vivere, della morte della sua migliore amica.
Questa seconda stagione ha rappresentato un lento e progressivo avvicinamento da parte di Fleabag ad un lato umano fino ad ora rimasto celato allo spettatore. Ed è così, infatti, che si è passati da svariate scene di persone che ansimavano a qualcosa di più intimo e privato: Fleabag ed il prete che si tengono per mano, in completa solitudine, mentre si dichiarano il loro amore. Da scene tragicomiche, quindi, a qualcosa di ben più toccante, più profondo e soprattutto più umano.
Un lato umano che travolge Fleabag non solo in campo sentimentale, ma anche dal punto di vista famigliare. Prima la sorella, poi il padre si ritrovano a dover chiedere consiglio proprio a lei, la giovane ragazza bistrattata sempre e comunque perché incapace di riuscire a relazionarsi con il prossimo: è Fleabag (a suo modo) a salvare il matrimonio del padre ed è sempre lei che con i propri consigli spinge la sorella ad allontanarsi da quel buco nero d’emozioni rappresentato dal marito, spingendola invece verso Klare.
Per quanto risulti difficile evidenziare un vero lato negativo di una serie tv che ha reso la rottura della quarta parete ed il dialogo diretto con lo spettatore un elemento narrativo capace di imprimere sempre e comunque maggior peso ai dialoghi (ed alla storia di conseguenza), bisogna appuntare come un finale così melenso e votato all’happy ending stupisca e non convinca totalmente.
Da un punto di vista puramente narrativo, risulta conveniente il voler concludere la storia cercando di sistemare tutte le pedine senza volerne stravolgere ulteriormente l’esistenza: Claire insegue il proprio amore perduto; il padre di Fleabag trova pace nella sua nuova dolce metà; Fleabag stessa sembra riuscire a recuperare (grazie al fortuito incontro con il messaggero di Dio) parte di una stabilità mentale che sembrava impossibile riuscisse a riconquistare.
Insomma, manca un vero e proprio elemento capace di incutere nello spettatore quel senso di malinconico amore per questo genere di serie tv. Una malinconia che, per gli appassionati di questo genere di serie (un’altra simile, con le debite proporzioni, potrebbe essere Bojack Horseman), è essenziale e propedeutica.
Se Fleabag viene svuotato di questo carattere malinconico cosa rimane?
E’ vero, da questo punto di vista rimane l’impossibilità per Fleabag ed il prete di poter stare veramente insieme, di amarsi e di portare avanti la loro relazione. Ma è davvero sufficiente questo elemento?
La domanda non accetta zone grigie: o si accetta quanto visto, rimanendone stupiti e contenti oppure si questiona per questa assenza dell’elemento malinconico. Non esistono vie di mezzo.
Un finale che forse non farà discutere così come è stato per il finale di Lost, ma che nella sua nicchia di appassionati sicuramente ha colpito e lasciato il segno esattamente come la serie stessa.
Non importa che la serie si componga di 12 episodi distribuiti in modo omogeneo su queste due uniche stagioni.
Non importa che i personaggi chiamati in causa, come detto, siano pochi.
Non importa nemmeno che la serie tv difficilmente vedrà la luce per un terzo ciclo.
Tutti questi elementi non risultano importanti perché di fronte ad un percorso evolutivo (relativamente al personaggio della giovane Fleabag) e narrativo come quello andato in onda, l’unica reazione che risulta spontanea è l’applauso sincero e sentito verso sceneggiatori e registi.
Phoebe Waller-Bridge è riuscita a costruire un personaggio che inizialmente colpiva per la sua sfrontataggine ed il suo forsennato attaccamento all’elemento sessuale all’interno di una relazione. L’evoluzione è stata lenta ed ha affrontato la realizzazione da parte di Fleabag di essere stata la causa scatenante, con questo suo modo di vivere, della morte della sua migliore amica.
Questa seconda stagione ha rappresentato un lento e progressivo avvicinamento da parte di Fleabag ad un lato umano fino ad ora rimasto celato allo spettatore. Ed è così, infatti, che si è passati da svariate scene di persone che ansimavano a qualcosa di più intimo e privato: Fleabag ed il prete che si tengono per mano, in completa solitudine, mentre si dichiarano il loro amore. Da scene tragicomiche, quindi, a qualcosa di ben più toccante, più profondo e soprattutto più umano.
Un lato umano che travolge Fleabag non solo in campo sentimentale, ma anche dal punto di vista famigliare. Prima la sorella, poi il padre si ritrovano a dover chiedere consiglio proprio a lei, la giovane ragazza bistrattata sempre e comunque perché incapace di riuscire a relazionarsi con il prossimo: è Fleabag (a suo modo) a salvare il matrimonio del padre ed è sempre lei che con i propri consigli spinge la sorella ad allontanarsi da quel buco nero d’emozioni rappresentato dal marito, spingendola invece verso Klare.
Per quanto risulti difficile evidenziare un vero lato negativo di una serie tv che ha reso la rottura della quarta parete ed il dialogo diretto con lo spettatore un elemento narrativo capace di imprimere sempre e comunque maggior peso ai dialoghi (ed alla storia di conseguenza), bisogna appuntare come un finale così melenso e votato all’happy ending stupisca e non convinca totalmente.
Da un punto di vista puramente narrativo, risulta conveniente il voler concludere la storia cercando di sistemare tutte le pedine senza volerne stravolgere ulteriormente l’esistenza: Claire insegue il proprio amore perduto; il padre di Fleabag trova pace nella sua nuova dolce metà; Fleabag stessa sembra riuscire a recuperare (grazie al fortuito incontro con il messaggero di Dio) parte di una stabilità mentale che sembrava impossibile riuscisse a riconquistare.
Insomma, manca un vero e proprio elemento capace di incutere nello spettatore quel senso di malinconico amore per questo genere di serie tv. Una malinconia che, per gli appassionati di questo genere di serie (un’altra simile, con le debite proporzioni, potrebbe essere Bojack Horseman), è essenziale e propedeutica.
Se Fleabag viene svuotato di questo carattere malinconico cosa rimane?
E’ vero, da questo punto di vista rimane l’impossibilità per Fleabag ed il prete di poter stare veramente insieme, di amarsi e di portare avanti la loro relazione. Ma è davvero sufficiente questo elemento?
La domanda non accetta zone grigie: o si accetta quanto visto, rimanendone stupiti e contenti oppure si questiona per questa assenza dell’elemento malinconico. Non esistono vie di mezzo.
Un finale che forse non farà discutere così come è stato per il finale di Lost, ma che nella sua nicchia di appassionati sicuramente ha colpito e lasciato il segno esattamente come la serie stessa.
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Fleabag ha sempre rappresentato un momento di comicità (molto spesso autoironica), di solitudine e di introspezione. Si percepisce nel prodotto la sua nascita teatrale, ma il riadattamento televisivo mantiene in toto tutti gli elementi di maggior valore del teatro. Uno fra tutti, forse quello che mancherà di più, lo sguardo di Fleabag che attraversa lo spettatore.
Episode 5 2×05 | ND milioni – ND rating |
Episode 6 2×06 | ND milioni – ND rating |
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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.