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Cercare punti di critica in Grey’s Anatomy e snocciolarli ha assunto, da diverso tempo a questa parte, l’ipotetica immagine dello sparare sulla Croce Rossa: personaggi principali piatti e statici; personaggi secondari praticamente inesistenti; nessun ricambio generazionale funzionale all’interno del cast; spesso e volentieri, puntate fini a se stesse senza vere e proprie evoluzioni di sorta.
Nonostante tutto ciò, però, l’appuntamento settimanale viene mantenuto e difficilmente si cerca di saltarlo. Sano masochismo oppure pura e semplice curiosità? Probabilmente un mix di entrambe le cose se si considera che dopo quindici anni di messa in onda sarebbe alquanto fastidioso abbandonare la nave e perdersi il finale di una serie che, nel bene o nel male, riuscirà a rimanere nella storia della serialità.
La maggior parte dei motivi per cui una persona continua a seguire la serie targata Shonda giungono da rumors e notizie offscreen (abbandoni ed allontanamenti dal cast), oppure dai celebri finali di stagione conditi di morte e disgrazie. Poco altro della storia riesce ancora a reggersi in piedi ed i pochi personaggi ancora in grado di farlo vengono malamente sbattuti a destra e sinistra senza alcun motivo. Basti pensare ad Alex, l’unico vero personaggio in grado di reggere l’intera baracca dopo l’abbandono di Sandra Oh: tra vicissitudini amorose e giuridiche, unitamente ad un tira e molla relazionale con Jo che ormai durava da diverse stagioni, Alex è comunque riuscito a regalare qualche sprazzo di evoluzione e cambiamento.
La proposta di matrimonio, portata in scena a parti invertite da come è indicato nella netiquette, rappresenta solo la ciliegina sulla torta per un personaggio che si spera possa finalmente ritagliarsi il giusto spazio anche in ambito medico.
Per un personaggio che funziona, mille portano a rotoli la scena: Jackson e Maggie trasmettono talmente tanta mancanza di sinergia da chiedersi cosa esattamente gli sceneggiatori avessero in mente quando è stata presa la decisione di far congiungere le loro storie; April, alle prese con l’ennesima crisi di Fede, appare la brutta copia di sé; Arizona inesistente; ed ancora, Amelia ed Owen per i quali è difficile capire cosa gli sceneggiatori abbiano in mente.
Relativamente a quest’ultimo va aperta una grande parentesi per fare una piccola considerazione. La pregevole costruzione di uno show o di una serie di film si riscontra nel momento in cui la narrazione, con il progredire del tempo, e quindi cercando di stare accanto al proprio spettatore che cresce con esso, matura, evolve, cresce e si adatta: basti pensare alla Collana di Harry Potter ed al lavoro relativo alle tematiche trattate in ogni singolo capitolo della serie (o dei libri) per cogliere la distanza abissale, in termini di maturità, tra il primo e l’ultimo film/libro.
Ecco, in Grey’s Anatomy non esiste nulla di questo, anzi. L’imbarazzo viene continuamente portato in scena quando quei teatrini e doppi-giochi, che avrebbero creato ilarità se portati in scena da specializzandi o anni fa, vengono riproposti da figure ben lontane dal tono giovanile dei quali la serie cerca in tutti i modi di abusare.
Rimane ben poco dello show che quindici anni fa faceva capolino nel palinsesto televisivo americano e di tutto il mondo. Per essere più precisi, ciò che rimane è solo il ricordo, perché è difficile riconoscere in queste puntate qualcosa di somigliante allo show che ai tempi si era fatto apprezzare dal pubblico.
Nonostante tutto ciò, però, l’appuntamento settimanale viene mantenuto e difficilmente si cerca di saltarlo. Sano masochismo oppure pura e semplice curiosità? Probabilmente un mix di entrambe le cose se si considera che dopo quindici anni di messa in onda sarebbe alquanto fastidioso abbandonare la nave e perdersi il finale di una serie che, nel bene o nel male, riuscirà a rimanere nella storia della serialità.
La maggior parte dei motivi per cui una persona continua a seguire la serie targata Shonda giungono da rumors e notizie offscreen (abbandoni ed allontanamenti dal cast), oppure dai celebri finali di stagione conditi di morte e disgrazie. Poco altro della storia riesce ancora a reggersi in piedi ed i pochi personaggi ancora in grado di farlo vengono malamente sbattuti a destra e sinistra senza alcun motivo. Basti pensare ad Alex, l’unico vero personaggio in grado di reggere l’intera baracca dopo l’abbandono di Sandra Oh: tra vicissitudini amorose e giuridiche, unitamente ad un tira e molla relazionale con Jo che ormai durava da diverse stagioni, Alex è comunque riuscito a regalare qualche sprazzo di evoluzione e cambiamento.
La proposta di matrimonio, portata in scena a parti invertite da come è indicato nella netiquette, rappresenta solo la ciliegina sulla torta per un personaggio che si spera possa finalmente ritagliarsi il giusto spazio anche in ambito medico.
Per un personaggio che funziona, mille portano a rotoli la scena: Jackson e Maggie trasmettono talmente tanta mancanza di sinergia da chiedersi cosa esattamente gli sceneggiatori avessero in mente quando è stata presa la decisione di far congiungere le loro storie; April, alle prese con l’ennesima crisi di Fede, appare la brutta copia di sé; Arizona inesistente; ed ancora, Amelia ed Owen per i quali è difficile capire cosa gli sceneggiatori abbiano in mente.
Relativamente a quest’ultimo va aperta una grande parentesi per fare una piccola considerazione. La pregevole costruzione di uno show o di una serie di film si riscontra nel momento in cui la narrazione, con il progredire del tempo, e quindi cercando di stare accanto al proprio spettatore che cresce con esso, matura, evolve, cresce e si adatta: basti pensare alla Collana di Harry Potter ed al lavoro relativo alle tematiche trattate in ogni singolo capitolo della serie (o dei libri) per cogliere la distanza abissale, in termini di maturità, tra il primo e l’ultimo film/libro.
Ecco, in Grey’s Anatomy non esiste nulla di questo, anzi. L’imbarazzo viene continuamente portato in scena quando quei teatrini e doppi-giochi, che avrebbero creato ilarità se portati in scena da specializzandi o anni fa, vengono riproposti da figure ben lontane dal tono giovanile dei quali la serie cerca in tutti i modi di abusare.
Rimane ben poco dello show che quindici anni fa faceva capolino nel palinsesto televisivo americano e di tutto il mondo. Per essere più precisi, ciò che rimane è solo il ricordo, perché è difficile riconoscere in queste puntate qualcosa di somigliante allo show che ai tempi si era fatto apprezzare dal pubblico.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Nella scorsa recensione ci si chiedeva quanto avessero ancora da raccontare i personaggi in scena. Si trattava di una domanda retorica, visto e considerato che il più delle narrazioni dei personaggi rappresentano cicli e ricicli di cose già narrate ed avvenute. Sperare in una ventata d’aria fresca, considerata la numerazione della stagione, è praticamente ormai fuori discussione, quindi tanto vale mettersi il cuore in pace.
Games People Play 14×14 | 7.07 milioni – 1.7 rating |
Old Scars, Future Hearts 14×15 | 7.18 milioni – 1.7 rating |
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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.