Con tante storyline di cui si poteva fare a meno, tanti personaggi inutili (anche tra quelli più celebri) e una strategia a dir poco discutibile sulla trasmissione degli episodi, Heroes Reborn è pronto a salutarci. La settimana che viene vedrà l’ultima attesa (ahahaha) prima della fine definitiva di questa serie evento che non è stato poi questo grande evento.
Ma. C’è un ma. Le tante storyline di cui si poteva fare a meno, eccetera eccetera, ci portano comunque, a questo punto, a voler sapere come andrà a finire e non solo a voler farla finita. Se non altro per la pazienza mista a nostalgia che ci ha portati a questo punto.
Questo fattore ha dimostrato una cosa: Heroes Reborn ha saputo badare al sodo. Ha presentato una trama sullo stile delle precedenti (apocalittico-deterministico-caciara), ha giocato sulla nostalgia dello spettatore con tante “guest” dalla serie antenata, e alla fine eccoci qui con una leggera dose di curiosità su quelle che saranno le sorti di questi mai troppo saporiti personaggi.
Una serie da 6, volendo ragionare in termini valutativi, considerando anche le nostre ultime due valutazioni, in attesa di quella finale. Promossa quindi? Attenendoci ai puri numeri, con qualche riserva potremmo sicuramente dire che sono state rinnovate serie ben più brutte (sempre che gli autori di Heroes Reborn avessero mai concepito un rinnovo), che forse con un progetto a lungo termine anche la NBC poteva muoversi sulla fiducia del buon nome di Tim Kring, oltre che del celebre marchio Heroes. Ricordiamo che la NBC ha “sopportato” per tre stagioni gli ascolti ben più bassi di una serie come Hannibal, oltre alle continue beghe e scaramucce all’interno di produzione e cast di Community. Potevano spaventarli 3 milioncini abbondanti di spettatori a puntata? Probabilmente no.
Ma qui si sta divagando. Considerazioni della NBC a parte (di cui ci importa il giusto), si diceva che sul 6 scarso si tende a promuovere, scolasticamente parlando. Perché, nella nostra umile opinione di appassionati di telefilm che ne scrivono, la mannaia seriale che è calata con tre episodi di anticipo sulla serie è invece cosa buona e giusta? Perché oggi non c’è spazio per le serie da 6 scarso. Si guardano con diffidenza anche quelle da 7 abbondante. Oggi si va dall’8 in su: serie messe insieme e tenute su con lo sputo non vanno più bene. O un marchio commercialmente potentissimo, oppure opere d’arte seriali in piena regola.
“Company Woman” tira le somme di personaggi inconsistenti e sparpaglia ulteriormente le carte, in attesa del season/series finale. Il passato di Erica Kravid cattura davvero poco il nostro interesse, se non altro per la stonatura che la strategia narrativa regala. Infatti, inserire un flashback a metà stagione (i viaggi nel tempo non contano) avrebbe forse avuto un senso per donare solidità a un personaggio misterioso. Ad un passo dalla fine, invece, sembra come voler dire: “niente, sto personaggio ci è venuto male, cerchiamo di salvare il salvabile svelandovi qualcosa a caso su di lei”. Considerando poi la figlia di Erica abbastanza giovane, capiamo che il flashback non può che essere ambientato una ventina di anni prima, non proprio la preistoria. Da qui risulta assai scialbo lo scenario da soap opera che caratterizza la giovinezza di Erica, in contatto con un unico dottore, miracoloso quanto zozzone (vedi che tua figlia inizia lontanamente a stare male, portala in ospedale, non aspettare che tossisca sangue per richiamare un dottore molesto!).
Detto questo non si può dire che lo sviluppo del passato della villain più piatta della storia sia stato prevedibile o telefonato. Azzeccate anche le scelte somatiche per le interpreti della giovane Erica.
Solo il conto alla rovescia per il disastro solare ci fa capire che siamo vicini alla fine. I nuovi team-up che nascono (su tutti la ragazzetta e il giapponese, scusate se chi scrive non si va neanche a ricontrollare i nomi) fanno storcere il naso e ci portano a chiedere a gran voce che per favore il finale sia valido. Che ne sia valsa la pena.
Due parole occorre spenderle per il povero Matt. Uno dei personaggi meglio riusciti in Heroes viene relegato a gregario completamente out of character, con tanto di finale (?) stronzissimo. Stereotipo degli stereotipi: telefonata/messaggio in segreteria strappalacrime (senza auricolari), in un’automobile che sfreccia in strade tipo la Pontina, prestando pochissima attenzione alla strada. Come altro poteva andare a finire? Greg Grunberg vedendo come è stato trattato il suo personaggio sicuramente starà rimpiangendo di non aver fatto una scelta come quella di Zachary Quinto o Milo Ventimiglia.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Send In The Clones 1×11 | 3.73 milioni – 1.0 rating |
Company Woman 1×12 | 3.82 milioni – 1.0 rating |
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Approda in RecenSerie nel tardo 2013 per giustificare la visione di uno spropositato numero di (inutili) serie iniziate a seguire senza criterio. Alla fine il motivo per cui recensisce è solo una sorta di mania del controllo. Continua a chiedersi se quando avrà una famiglia continuerà a occuparsi di questa pratica. Continua a chiedersi se avrà mai una famiglia occupandosi di questa pratica.
Gli piace Doctor Who.