C’è chi per il proprio lavoro farebbe di tutto, perchè lo ama alla follia o perchè rifugiandosi in esso si protegge dalla vita personale fatta di insoddisfazioni e frustrazioni. Altri invece lo vedono come un qualcosa di obbligatorio per arrivare a fine mese e non ci trovano nessuna gioia ma solo una mera routine. Infine c’è un tipo di persona che vede il lavoro come l’apice della propria esistenza, l’unica vero modo per esprimere sè stessa e pertanto, orgogliosa e non curante delle conseguenze, è disposta a compiere ogni tipo di gesto pur di raggiungere un obiettivo. Inutile dire che Carrie Mathison appartiene a quest’ultimo gruppo.
“Iron In The Fire” è l’ennesimo modo che hanno Howard Gordon e Alex Gansa per mostrarci la “dedizione” di Carrie per il suo lavoro. In una sorta di dejà vù che ci riporta con la mente alla 1° stagione dove Carrie agiva nello stesso modo con Brody, ecco che la storia si ripete: stesso modus operandi, stessa protagonista, diverse conseguenze ed effetti collaterali, oltre che “vittima” in questione. Addirittura l’isolamento nell’appartamento di Carrie ha più di qualche punto in comune con quel cottage fronte lago della famiglia Mathison.
A differenza di Brody che sapeva quello che stava facendo, Aayan è molto giovane, diffidente ma ingenuo e, soprattutto, vergine, elemento da non sottovalutare per la credibilità di quanto è stato mostrato. Per quanto alla fine di “Iron In The Fire” si possa rimanere disgustati e allibiti per la bassezza dei “mezzi di reclutamento” usati da Carrie, la questione viene mostrata in prospettiva in “About A Boy” sia tramite i dialoghi sia tramite l’evoluzione della trama che non lascia spazio a molti margini di manovra. Avendo solo tre giorni a disposizione per soggiogare Aayan ed avendo a che fare con un individuo diffidente, l’unico modo era ovviamente quello di indurre in tentazione il giovane ex studente di medicina facendogli provare i piaceri della carne per la prima volta. Si può dire veramente tutto su Carrie, che sia instabile, che sia manipolatrice, che sia una bugiarda, tutto questo è vero. C’è solo una cosa che non si poteva asserire fino ad ora: che fosse una femme fatale anche con i ragazzini. Una nuova skill da aggiungere al suo curriculum.
Come è ormai evidente, se già prima Carrie non si fermava davanti a nulla pur di raggiungere un obiettivo, ora ogni legge morale è saltata e Quinn serve esattamente a rammentare questa situazione. Se prima la bionda della CIA doveva riferire ad un capo e comunque aveva un limite da non oltrepassare senza autorizzazione, ora che è diventata la capa di sè stessa è saltato qualsiasi schema e qualsiasi limite. Pur avendo Lockhart come capo assoluto, dopo quanto visto in “Trylon And Perisphere” anche lui ha le mani legate e non può che dare carta bianca a Carrie.
C’è però ancora una persona che ha mantenuto una certa influenza su di lei e che può ancora fare la differenza sulle decisioni prese all’ultimo: Saul. Relegato in un angolo che gli sta fin troppo stretto vista l’assenza di personaggi carismatici, l’ex capo della CIA e mentore di Miss Mathison riesce finalmente a ritagliarsi un suo spazio e a meritarsi tutta la nostra attenzione, specialmente durante le scene in aeroporto che lo vedono prima protagonista e poi vittima. E’ proprio grazie a lui che riusciamo a capire quanto è grave e profondamente complicata la situazione con l’ISI, vera e propria antagonista di questa stagione e segno della decisa e marcata nuova direzione intrapresa dallo show. Non si parla più di militari convertiti all’Islam o di attentatori che sono pronti a distruggere l’America, qui la situazione è quasi capovolta perchè questa volta sono gli Stati Uniti ad essere gli attentatori in un paese straniero dove, tra diffidenza (Aayan) e cospirazione (i soldati di guardia al confine che perquisiscono la macchina dell’imam), le cose sono ben più difficili da gestire.
Le sfumature di grigio si moltiplicano a vista d’occhio e gli alleati che sono pronti a pugnalare alle spalle il proprio paese si nascondono nei posti più impensabili. Emblematico a tal proposito è il caso del ricatto perpetrato ai danni del marito dell’ambasciatrice americana (un Mark Moses non in ottimo stato di forma che era molto più convincente nelle strade di Wisteria Lane che tra le mura dell’ambasciata americana) da parte dell’ISI. Le strade di terroristi ed agenti segreti pakistani si incrociano più volte rendendo difficile la comprensione della situazione per tutti, Saul compreso che infatti interpreta male una serie di eventi che alla fine servono solo a catturarlo.
Homeland smette i panni della serie patriottica ed indossa quelli della fantapolitica internazionale, un argomento molto più in linea con gli eventi attuali. Potrà piacere o non piacere ma questo è il nuovo stile narrativo dato alla serie, decisamente diverso rispetto al precedente ma necessario per andare avanti e non guardarsi dietro.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
|
|
Shalwar Kameez 4×03 | 1.22 milioni – 0.4 rating |
Iron In The Fire 4×04 | 1.35 milioni – 0.5 rating |
About A Boy 4×05 | 1.52 milioni – 0.5 rating |
Quanto ti è piaciuta la puntata?
0
Nessun voto per ora
Tags:
Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.