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Quando fu annunciato da Debbie Horsfield che la quinta e ultima stagione di Poldark non si sarebbe basata sull’ottavo libro della saga di Winston Graham, come era lecito aspettarsi, ma avrebbe liberamente narrato gli eventi intercorsi nell’intervallo tra The Angry Tide e The Stranger from the Sea e parzialmente accennati dallo stesso Graham, sorse spontanea qualche preoccupazione. Sia chiaro, esistono migliaia di sceneggiature originali a dir poco stupende che non si basano su nessuna opera pre-esistente, così come esistono tanti e tanti adattamenti di brillanti romanzi rivelatesi insoddisfacenti nonostante la qualità del materiale di partenza, ma considerando che per quattro stagioni si era seguita una più o meno rigida fedeltà all’opera di Graham la scelta di discostarsi da questo modus operandi lasciava quantomeno perplessi e dubbiosi. Peraltro, i risultati di ciò che succede quando un autore televisivo segue fedelmente una saga letteraria per quattro stagioni e dalla quinta inizia a inventare trame e personaggi sulla base di scarne indicazioni del romanziere sono sotto gli occhi di tutti e rispondono al nome di “stagioni cinque-otto di Game of Thrones“.
Le prime due puntate hanno dato parzialmente ragione a questi dubbi, palesando pregi e difetti del lavoro della Horsfield, che vuole (e riesce a) trattare temi impegnati dell’epoca e nel contempo universali quali la schiavitù, il razzismo e il divario tra ricchi e poveri, ma che nel contempo scade in una narrazione a tratti affrettata e troppo repentina. Col terzo episodio, invece, si torna a ritmi più tradizionali per Poldark, e soprattutto si torna nell’ambientazione cornica, fra Truro, Trenwith, Nampara, le splendide spiagge della punta estrema dell’isola britannica e le miniere in cui si lavora e si muore. Nel contempo, si riesce finalmente a gestire la consistente massa di vecchi e nuovi personaggi e di sottotrame senza che la scrittura risenta troppo di questa bulimia narrativa: si alternano così scene di felicità domestica e momenti di grande tensione drammatica, banalità quotidiane riprese nel solito tono tenero e dimesso e sequenze fortemente adrenaliniche, concentrate in questo caso nella missione di salvataggio nella miniera dei Warleggan. Così c’è spazio anche per i patimenti di Drake e Morwenna, per la tenera relazione in fieri di Geoffrey Charles e di Cecily e persino per il piccolo Valentine, povera animuccia abbandonata a se stessa da un padre assente ma fortunata nel trovare altrove l’affetto che gli manca in casa.
Le prime due puntate hanno dato parzialmente ragione a questi dubbi, palesando pregi e difetti del lavoro della Horsfield, che vuole (e riesce a) trattare temi impegnati dell’epoca e nel contempo universali quali la schiavitù, il razzismo e il divario tra ricchi e poveri, ma che nel contempo scade in una narrazione a tratti affrettata e troppo repentina. Col terzo episodio, invece, si torna a ritmi più tradizionali per Poldark, e soprattutto si torna nell’ambientazione cornica, fra Truro, Trenwith, Nampara, le splendide spiagge della punta estrema dell’isola britannica e le miniere in cui si lavora e si muore. Nel contempo, si riesce finalmente a gestire la consistente massa di vecchi e nuovi personaggi e di sottotrame senza che la scrittura risenta troppo di questa bulimia narrativa: si alternano così scene di felicità domestica e momenti di grande tensione drammatica, banalità quotidiane riprese nel solito tono tenero e dimesso e sequenze fortemente adrenaliniche, concentrate in questo caso nella missione di salvataggio nella miniera dei Warleggan. Così c’è spazio anche per i patimenti di Drake e Morwenna, per la tenera relazione in fieri di Geoffrey Charles e di Cecily e persino per il piccolo Valentine, povera animuccia abbandonata a se stessa da un padre assente ma fortunata nel trovare altrove l’affetto che gli manca in casa.
Tuttavia sono due i grandi colpi di scena dell’episodio, forse non esplosivi e roboanti come altri, ma sicuramente fondamentali per quello che avverrà nel resto della stagione. Il primo riguarda Ned Despard, o meglio la percezione che gli altri personaggi iniziano ad avere di lui. L’ex-sovrintendente delle colonie britanniche in Honduras (quelle che poi daranno vita all’attuale stato del Belize) era stato introdotto sulla scena sotto una luce decisamente positiva, come un militare dalla testa calda ma sostanzialmente di buon cuore e di larghe vedute, stante anche il matrimonio con un’ex-schiava. Tuttavia, più la narrazione va avanti e più lo spettatore si rende conto di quanto Despard sia una mina vagante e una presenza destabilizzante, e se ne rendono conto anche i protagonisti stessi: non solo Dwight Enys, da sempre voce della ragione; non solo Demelza, pragmatica e con i piedi per terra (anche se la sua sottovalutazione della minaccia Tess continua a farla sembrare troppo ingenua); ma persino Ross, l’irrequieto e spericolato Ross che negli anni ha collezionato una lista infinita di colpi di testa e azioni avventate, si avvede che il vecchio amico potrebbe causare con la sua spericolata condotta più problemi di quanti lui ne riesca a risolvere. E fa uno strano effetto vedere che per una volta proprio al moro tocca fare appello al buonsenso e trattenere chi invece si lascia vincere dai bollori e dalla facile ira, ma questo è quello che succede quando gli anni vanno avanti e si matura. E se la sorte del Despard televisivo sarà la stessa della sua controparte storica, non c’è dubbio che altri patimenti attendano la famiglia Poldark di Nampara.
Dall’altro lato, George Warleggan sprofonda sempre più nella pazzia, devastato dalla morte della moglie e divorato dai sensi di colpa per averne almeno in parte causato la dipartita, come ricordava in quel di Londra nella scorsa puntata. Si tratta di una scelta narrativa coraggiosa ma anche lodevole, almeno per un paio di motivi. Innanzitutto si evita, almeno per il momento, l’ennesima riproposizione dell’esasperata rivalità con Ross, che dopo quattro stagioni cominciava, se non ad annoiare, quantomeno a suonare ripetitiva; si punta invece, portando in primo piano debolezze e cedimenti psicologici, a una maggiore umanizzazione del neo-sir, che paradossalmente è stato nominato tale proprio dal mad King Aerys II Targaryen Giorgio III di Hannover. Inoltre la stagione ha già il suo antagonista annunciato in Ralph Hanson e forse anche nell’ambiguo Wickham, e per una volta si può fare a meno del Warleggan del ruolo del villain, facendone invece un novello Ebenezer Scrooge che contempla e forse per la prima volta rimpiange la felicità che arride al suo eterno rivale, ma non a lui. In un certo senso, George Warleggan è una figura tremendamente patetica: ha la ricchezza, ha il titolo nobiliare, ha il seggio in Parlamento, ma non ha amore. Gli tocca vivere col fantasma di una moglie che ha amato alla follia nonostante tutto, con uno zio che si preoccupa solo del guadagno e dell’immagine della famiglia, e con un figlioletto che non riesce ad amare. Inoltre, la scelta di raccontare la follia di George offre a Jack Farthing l’ennesima occasione di dimostrare tutta la sua bravura e la sua versatilità, passando senza apparente difficoltà dal ruolo dell’odioso arrampicatore sociale a quello dell’anima fragile e a pezzi, che soffre nella mente prima ancora che nel corpo. Infine, non c’è dubbio che questa sottotrama si collegherà presto a quella delle innovative ricerche del dottor Enys.
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Archiviato (per ora) lo scenario londinese, Poldark torna nella Cornovaglia ricca tanto di splendidi paesaggi quanto di guai e problemi a non finire. L’inabissamento di George Warleggan nella pazzia e la sempre maggiore difficoltà a controllare l’impulsività e la rabbia di Ned Despard promettono scenari tanto intriganti quanto dolorosi, ma chi è arrivato fino alla quinta stagione sa benissimo cosa aspettarsi da questa serie.
Episode 2 5×02 | ND milioni – ND rating |
Episode 3 5×03 | ND milioni – ND rating |
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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.