Prima di parlare di “Bête Noire”, è importante chiarire un concetto fondamentale su cui ruota gran parte dell’episodio: l’effetto Mandela. Il termine prende il nome da un curioso fenomeno collettivo legato alla memoria: molte persone ricordavano erroneamente che Nelson Mandela fosse morto negli anni ’80, quando in realtà è deceduto solo nel 2013.
Da lì, il termine si è allargato a indicare ricordi condivisi da più individui che però non corrispondono alla realtà dei fatti, come se vivessimo in linee temporali leggermente divergenti.
Ed è proprio su questa premessa che Black Mirror costruisce uno degli episodi più meta e stranianti della stagione. Il titolo, Bête Noire, viene dal francese e indica qualcosa o qualcuno che si detesta profondamente o che dà un enorme fastidio. Nel contesto dell’episodio, assume anche un significato ironico quando Gabe presenta Mr. Ditta come il “mago supremo” del famoso “Chili Flake Bête Noire”, dando al titolo un doppio senso tra spezia piccante e fastidio esistenziale.
BERNIES O BARNIES?
Ma il vero centro narrativo dell’episodio è la discussione, solo in apparenza frivola, su un cappellino da fast food. Si scrive Bernies o Barnies? Tutti ne sono convinti, tutti ricordano un modo preciso. Eppure, qualcosa non torna. Ed è qui che Charlie Brooker compie la sua magia: Netflix ha trasmesso due versioni diverse dell’episodio, assegnandone una a ciascun utente, con il nome del fast food scritto o Bernies o Barnies. Un piccolo colpo di genio per rafforzare il tema della percezione soggettiva e mettere lo spettatore direttamente dentro l’effetto Mandela. Il risultato? Ancora più dubbi, ancora più conversazioni post visione, ancora più Black Mirror.
L’episodio è piuttosto curioso anche per struttura e ritmo. L’aggiunta della componente temporale amplifica l’assurdità generale e trasmette un senso di decadimento accelerato proprio perchè tutto peggiora bruscamente per la protagonista nel giro di neanche una settimana.
COMPUTER QUANTICO E UNIVERSI PARALLELI
L’unico vero neo dell’episodio arriva quando si cerca di spiegare il perché tutto questo stia accadendo, il che potrebbe essere giustificato o dalla follia di Maria oppure, come mostrato, da un “hackeraggio” di Verity. La spiegazione è più fantascientifica del solito anche per gli standard di Black Mirror, e un po’ più difficile da digerire. La chiave di tutto è una collana che, come spiega lei stessa in uno di quei classici spiegoni da villain che non accadrebbero mai nella vita reale, non cambia realmente la realtà ma sintonizza la frequenza corporea di chi la indossa su un universo parallelo in cui qualunque cosa abbia detto… è sempre stata vera.
In altre parole: non è la realtà a modificarsi, è il character che “scivola” in una versione in cui quella realtà è la normalità. Un concetto affascinante, ma più vicino alla fantascienza pura che alla distopia tecnologica più radicata nel reale a cui la serie ci ha abituato.
Detto questo, l’episodio si regge benissimo anche grazie alle interpretazioni intense e convincenti delle due attrici protagoniste, che riescono a rendere credibili tanto i momenti più assurdi quanto quelli più emotivamente carichi. Il rapporto tra Verity e Maria è il cuore emotivo di una storia che poteva sembrare solo un esercizio mentale, ma che alla fine parla di identità, potere e verità – o quantomeno, della percezione che ne abbiamo.
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“Bête Noire” è un episodio che si prende qualche rischio, gioca con il pubblico, e mette in discussione anche il più banale dei ricordi. Non sarà il più emotivo della stagione, ma è sicuramente uno dei più stimolanti. E dopo averlo visto, non guarderai mai più una bustina di chili con la stessa leggerezza.
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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.