Film biopic, di chiara fattura USA, sul fondatore della storica casa automobilistica italiana. Un racconto che si snoda fra drammi famigliari, sfide contro la morte e rappresentazione storico-sociale, a cura di uno dei maestri mondiali del cinema d’azione. |
Sul rapporto che lega il mondo del cinema e quello dei motori non basterebbe un intero saggio, tante sono le affinità e i rapporti fra queste due realtà. Si potrebbe quasi dire che questo rapporto esista fin da quando si è pensato di mettere in movimento delle immagini (d’altronde il “primo film” della storia aveva come soggetto un treno).
Spesso usata in maniera simbolica e metaforica di indipendenza e libertà, creando un intero sotto-genere cinematografico (il road-movie), recentemente l’automobile è diventata vero e proprio soggetto-attivo dei film di cui è protagonista. Una vera e propria ondata di successo per il genere biopic su quattro ruote, come testimoniano i casi di Rush e di Le Mans ’66, complice sicuramente uno storytelling basato tutto sulla spettacolarità che tale sport è in grado di offrire, soprattutto se trasposta su grande schermo.
Per tali motivi, non poteva che essere un maestro mondiale del cinema d’azione come Michael Mann (Heat-La Sfida, L’Ultimo Dei Mohicani, Collateral…) a dirigere il biopic su uno dei protagonisti assoluti del mondo dell’automobilismo: Enzo Ferrari, per l’occasione interpretato da Adam Driver (ormai avvezzo ad interpretare i grandi imprenditori italiani).
“UN SATURNO CHE DIVORA I SUOI FIGLI”
Il ritratto che ne esce fuori del “Mago di Maranello” da questa pellicola è volutamente e fortemente ambivalente. Tutta la storia si basa infatti sulla biografia Enzo Ferrari: The Man And The Machine del giornalista e commentatore sportivo (specializzato proprio in ambito automobilistico) Brock Yates. Già il titolo del libro crea un ritratto di una personalità “doppia” fra il successo imprenditoriale di Ferrari pilota-costruttore e le debolezze umane e private dell’uomo-Ferrari.
Da questo punto di vista il film sceglie di ambientarsi in un anno particolare per l’azienda del Cavallino: il 1957. In quest’anno, l’azienda si trova ad un passo dal fallimento, e solo la speranza di vincere la Mille Miglia potrebbe ridare respiro e un nuovo prestigio internazionale alle auto di Ferrari, allontanando così tale spettro.
Il film di Mann dunque gioca tutto su questa carta della rivalsa imprenditoriale-sportiva, elemento che caratterizza molta narrazione sportivo-cinematografica di stampo USA.
A questo però si aggiunge anche una storyline parallela che racconta la crisi coniugale fra Enzo e la moglie Laura (Penelope Cruz) dovuta alla scomparsa del figlio Dino che ha gettato la coppia in perenne depressione e rancore reciproco. A ciò si aggiunge il fatto che Enzo ha, all’insaputa della moglie, un figlio illegittimo, di cui cerca di nascondere l’esistenza per non creare guai alla madre (un’intensa Shailene Woodley, ingiustamente poco sfruttata in questa pellicola). Tale dramma interiore è la carta emotiva del film per far appassionare lo spettatore alla vicenda. Forse anche un po’ troppo, dal momento che tale storyline prende un buon 60% di tutta la sceneggiatura, calcando anche un po’ troppo sulla disperazione di Enzo come “padre mancato”, per cui l’interesse per i motori appare più come un modo per sfuggire alla routine dei propri drammi familiari.
“UNA TERRIBILE GIOIA”
Ed è un peccato perché la parte relativa alla preparazione della gara è certamente quella più emozionante, nonché quella più spettacolare (pur con la pecca di una CGI molto risicata, già discussa nel podcast, che si salva solo grazie alle sequenze “dal vero” girate con stuntmen professionisti).
Un lato molto significativo del film, infatti, è il rapporto che lega Ferrari con il proprio team di piloti (lo “Spring Team”). Un rapporto che non a caso ricalca quello di un padre verso i propri figli, dato anche il fatto che lui stesso, da giovane, era stato un discreto pilota e quindi sa comprenderli bene nella loro psicologia.
Particolarmente importante è il rapporto che si crea con il giovane Alfonso De Portago (Gabriel Leone), una sorta di vero e proprio alter-ego. Tale personaggio diventerà sempre più emblematico soprattutto sul finire della pellicola, a causa di un’altra tragedia, per cui va detto che Mann e lo sceneggiatore Troy Kennedy-Martin si giocano molto bene la carta dell’empatia con lo spettatore, così come la costruzione della tensione emotiva e lo sviluppo del personaggio.
Ferrari è, infatti, innanzitutto un film dove viene spiegato molto bene la “vera” vita dei piloti di corsa. Una professione molto desiderata e ambita che, però, comporta parecchi rischi e dove la morte e gli incidenti sono sempre dietro l’angolo. Una passione, quella delle corse, che lo stesso Ferrari descrive come una “terribile gioia“, proprio perché si gioca sempre sul confine fra la gloria per l’impresa raggiunta e il rischio di non rivedere più amici e parenti. Se si fosse dato più importanza a questo passaggio (invece di buttarlo lì in sole due battute in croce) forse anche l’intero film stesso ne avrebbe giovato.
CAST OTTIMO, IL RESTO UN PO’ MEH!
Il problema di Ferrari, infatti, è più che altro una questione di ritmo narrativo che non altro. Il cast (dai volti noti dello star system hollywoodiano messo in campo, ma anche agli attori “nostrani”) si rivela infatti molto buono. Driver è un perfetto Enzo Ferrari nella sua glacialità di espressioni che lo rendono perfettamente enigmatico e freddo come il Drake, pur con un trucco e parrucco decisamente rivedibile (non si capisce se vuole essere un Enzo Ferrari fin troppo giovane o già troppo vecchio per il 1957). Allo stesso modo le interpretazioni femminili presenti nella pellicola (Cruz-Woodley) risultano più che azzeccate, così come quelle dei vari piloti (menzione d’onore per un Patrick Dempsey in gran spolvero nei panni di Piero Taruffi).
Ed è veramente un peccato che, per un cast così buono, dal punto di vista tecnico, invece, il tutto appaia molto più “limato”.
Ad una fotografia molto buona, si accompagna una colonna sonora che sembra partire sempre nei momenti meno opportuni.
In molti punti poi ci sono degli stacchi fin troppo velocizzati, in un montaggio che si ricorda troppo tardi che si sta parlando di motori, quando la velocità dovrebbe essere una caratteristica fondamentale del film. Si poteva dunque fare molto meglio dati i mezzi a disposizione, ma è abbastanza evidente che il target del film sia più il pubblico medio-americano che desidera semplicemente affondare nei propri cliché sull’Italia anni ’50 e su un mondo imprenditoriale che ha più a che fare con Dallas che ad altro.
Ferrari dunque si conferma un altro House Of Gucci, anche se qui autore e regista dimostrano di averci messo un po’ più d’impegno, se non altro nella ricerca storiografica. E solo per questo motivo la pellicola si prende comunque il suo Save per aver comunque voluto celebrare il mondo dei motori mettendo in scena uno dei suoi principali artefici e innovatori in una maniera, se non altro, originale. Il che non è abbastanza, purtroppo, per mascherarne i difetti intrinseci e la noia soporifera di alcune scene.
TITOLO ORIGINALE: Ferrari REGIA: Michael Mann SCENEGGIATURA: Troy Kennedy-Martin (dalla biografia Enzo Ferrari: The Man And The Machine di Brock Yates) INTERPRETI: Adam Driver, Penelope Cruz, Shailene Woodley, Patrick Dempsey, Gabriel Leone, Sarah Gadon, Jack O’ Connel DISTRIBUZIONE: 01 Distribution DURATA: 130′ ORIGINE: USA, 2023 DATA DI USCITA: 14/10/2023 |