Dopo il frenetico inizio di questa quarta stagione, The Bear tira subito il freno, per fare una specie di cooldown di ritmo e anche di emozioni nello spettatore, che sono comunque fortemente veicolate e dipendenti da qualsiasi azione o dialogo venga compiuto dai protagonisti, ormai cementificati nel cuore di ogni appassionato dello show di Christopher Storer. Si spera che questo piccolo campanellino d’allarme (pur sempre relativo, sia chiaro) non si tramuti in una stagione più sottotono, così come lo è stato purtroppo per la stagione scorsa.
Gli auspici, però, sono che questa piccola pausa serva a ripartire con più energie verso la conquista dell’agognata stella Michelin, che potrebbe rappresentare quel qualcosa di grosso, capace di far saltare il banco e ribaltare la situazione. Serve una scossa, un forte cambiamento, e già l’ingresso nel main cast di Jess (Sarah Ramos) è una mossa forte in tal senso, rafforzando l’organizzazione interna della cucina, per cercare di alzare ulteriormente il livello. Però adesso servono le motivazioni, che sembrano iniziare a mancare. A Carmy in primis.
COUNTDOWN VERSO IL NULLA
Lo stratagemma narrativo presentato in “Groundhogs” del timer settato da Cicero e da “Computer” (best nickname), con un lungo conto alla rovescia di due mesi verso la chiusura definitiva del ristorante, a causa dell’inevitabile trend negativo, è qualcosa di geniale. Un sottofondo ansiogeno a pervadere ogni singolo momento di queste due puntate, e probabilmente dell’intera stagione. Un assist al montaggio, che rimane sempre una delle più grandi eccellenze di The Bear, che può godere di un nuovo strumento narrativo per raccontare emozioni anche solo inquadrando un numero sempre più basso e tendente allo zero.
Ne è un esempio quando verso il finale di “Soubise” il timer si scopre essere già al di sotto del 1000. Un semplice numero che decontestualizzato non dirà assolutamente nulla, ma che invece è diventata un’arma per Christopher Storer, da utilizzare per scuotere lo spettatore, trasmettendogli emozioni forti e contrastanti. Un numero che richiama con sé ansia, timore, stress, ma anche determinazione e voglia di ribaltare le aspettative. Banalmente, le stesse emozioni che sembra provare Richie, mentre non pare lo stesso per Carmy. Dualismo reso ancor più evidente dalla fotografia, e dal sapiente uso della luce nel dialogo dei due, in cui i colori hanno un significato quasi descrittivo.
SOTTRAZIONE
Punto focale di “Soubise” è il menu. Carmy ha finalmente realizzato che variare continuamente il menu, per quanto sia elegante e ambizioso, comporta troppi elementi a sfavore. Non solo, perché nel cercare di allungare il più possibile la vita del ristorante, che è per Cicero l’equivalente di un paziente prossimo all’eutanasia, si proverà a spendere anche di meno. Tuttavia non si negozia sui discorsi motivazionali, che devono essere sempre presenti, anche se può capitare che Richie si dimentichi della frase ad effetto covata tutto il giorno. Quei piccoli dettagli che hanno fatto innamorare chiunque del personaggio di Ebon Moss-Bachrach.
Allora si proverà a risparmiare sul menu, tagliando il numero dei componenti di ogni piatto del menu da cinque a tre. Un taglio drastico, netto, reso ancor più necessario dai cambi di termini negli accordi con i fornitori, che sembrano risentire dell’inflazione che sta assalendo il mondo contemporaneo anche al di fuori dello schermo. Tutto ciò rappresenta un’occasione anche per strappare una risata – con Sydney disperata che prova a spiegare a Carmy che le quantità si sono ridotte -, in un episodio di riposo, in cui c’è meno spazio per la frenesia e più per la riflessione. Una sottrazione non solo di elementi, bensì è tutta “Soubise” a lavorare in sottrazione, partendo dagli attori (bisogna aprire il discorso Jeremy Allen White), suscitando di più con meno.
LAVORARCI SU
Se in “Groundhogs” c’era un riferimento a Ricomincio da Capo, stavolta tocca a Richie soffermarsi su un film, che è il classico del ’57 Quel Treno per Yuma. Anche stavolta Storer sceglie di utilizzare un’opera esistente per descrivere lo stato d’animo, che in questo caso è quello del personaggio di Ebon Moss-Bachrach, che sembra attendere lo scadere del timer come nel film i protagonisti aspettano le 3:10 per prendere il treno per Yuma. A Richie però si contrappone Carmy, soggetto che sarebbe interessante psicoanalizzare, data la moltitudine di sfaccettature e informazioni riguardanti la sua filosofia, la sua psiche e il suo passato a disposizione.
Dal precedente episodio è infatti venuta fuori qual è la sua forma mentis, cosa dovrebbe rappresentare per lui The Bear. Ed al momento non è così. Ne viene fuori un Carmen abbastanza demoralizzato; talmente disinteressato da delegare completamente la realizzazione del menu a Sydney. Una risposta che in primo momento incoraggia la giovane Ayo Edebiri, sempre alla ricerca di maggiore spazio per il suo ruolo di Chef de Cuisine (che finora è sembrato più un mero titolo che qualcosa di effettivo), ma che in secondo momento fa suonare un qualche campanello d’allarme. Un campanello che diventa poi qualcosa di concreto ed ingombrante durante la telefonata con Sugar Bear, in cui Carmy annuncia così a bruciapelo di star perdendo la passione per la cucina.
Natalie: “It’s completely 100% okay if you don’t love it anymore, because the most special part about it is that you were capable of that love.”
| THUMBS UP 👍 | THUMBS DOWN 👎 |
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Dopo un così grande squilibrio tra Thumbs Up e Thumbs Down suonerà un po’ poco un giudizio sufficiente, però lo si prenda più come un monito nei confronti della scorsa stagione, che ha vissuto troppi episodi come “Soubise“, che non sono riusciti a portare avanti la trama orizzontale (pur sviluppando splendidamente i personaggi).
