“Eccomi.”
“Non sbagliare, è importante. Dalla tua manovra dipenderà la sua resa.”
“Attentissima.”
“Se fallisci ritornerai alla tua vita di prima. Per questo lavoro avrai una grossa ricompensa.”
Così dice al telefono la segretaria di Lona al suo “capo”; la talpa è pronta a fare qualsiasi cosa pur di avere la sua ricompensa. Sta per succedere qualcosa in The Lady. Incredibile ma vero potrebbe dire qualche detrattore. È questo che vogliamo dopo due stagioni di nulla assoluto? Forse sì, forse no. È vero però che questo nulla ha saputo affascinare il pubblico diventando marchio di fabbrica del capolavoro di Lory Del Santo, Nume Tutelare di tutti i #MercoLady.
Si badi bene, bisogna dirlo per chiarezza, non è successo niente di epocale in “Episodio Sei”, semplicemente è accaduto qualcosa che prelude a qualcos’altro; uno spettatore/adepto di The Lady resta sconvolto da questo cambio di rotta anche breve, anche infinitesimale. “Episodio Sei” ha due grandi piccole bombe: Zora crede di essere in procinto di distruggere Lona, ma in realtà ad essere colpita è Zora stessa, e Lona intanto sente un qualcosa nell’aria.
È interessante trovare un paragone tra cultura pop e cultura alta perché utile a comprendere meglio ciò che forse senso non ha, o meglio non al primo sguardo: The Lady è una sorta di “Aspettando Godot” seriale in cui nessuno cerca del cibo e un letto caldo – come fanno invece le due creature, Estragone e Vladimiro, protagoniste dell’opera teatrale di Samuel Beckett – bensì danaro e sesso facili (“Io mi immolo per il piacere”).
“Il mio lavoro è osservare il mondo.”
Come i personaggi del drammaturgo, così anche quelli della Del Santo sono fermi in un punto e osservano, attendono che qualcuno passi, che qualcuno dica qualcosa, che qualcuno agisca; non è un caso infatti che questa sia la serie delle entrate e delle uscite, dei personaggi senza nome, senza volto e talvolta anche senza personalità. Proprio per questo la serie YouTube è godibile, unita all’incapacità attoriale dei suoi interpreti. “Allora aspetto” dice uno degli uomini di Lory che non è poi tanto diverso dal “Aspettiamo Godot” di beckettiana memoria ed emerge così come in entrambi in casi al centro ci sia un uomo che si interroga, in attesa di “un Godot” che dia risposte, che riveli grandi verità – che le gemme di The Lady non riuscirebbero ad intendere probabilmente.
“È l’occasione giusta. Ci sono delle tensioni strane, come se stesse per accadere qualcosa” dicono gli uomini di Zora e Lora afferma alla talpa “devo aumentare la mia sicurezza. C’è qualcosa nell’aria di strano“: entrambe le citazioni avvalorano la tesi secondo la quale – piegando le parole di Vivian Mercier che disquisiva intorno la più importante pièce di Becket – questa è “una commedia in cui non accade niente per due volte”.
Zora per molti episodi ci ha fatto intendere che stava per colpire, per molto tempo, con voce fuori campo e stile simile a quello delle pubblicità, ha organizzato il piano assieme agli angeli neri e invece poi viene incappucciata e portata via. Lona, mentre sente di non essere più al sicuro, si fida proprio di colei di cui non dovrebbe fidarsi, la sua segretaria, che tesse trame contro di lei. È evidente che le due dive siano più fragili di quello che credevamo, non sono leader senza cuore ma fragili, pronte a soccombere.
Annacquato in questa lotta tutta al femminile c’è la solita disamina sul mondo.
“Viviamo in un mondo costruito sul fuoco, circondati da vulcani attivi, gli alberi, i prati sono solo illusioni per farci dimenticare. E’ una pace apparente. La natura ci fa la vera guerra […]. Noi uomini siamo dei bersagli.”
In “Episodio Sei” per fortuna non manca quella sublime (im)perfezione che rende The Lady un manifesto di vuoto cosmico e nulla, espressioni di una società di cui fanno parte starlette e tronisti, quella di alcuni programmi televisivi e di un certo berlusconismo. La regina di “Drive In” gioca con assenze riempiendole di fantocci pompati e depilati che non sanno né cosa stanno dicendo (il siparietto del bicefalo) né come dirlo, e di ninfe ritoccate e firmate che ambiscono alla bellezza a tutti i costi. A sostegno di tutto c’è un linguaggio inconsistente costituito da una serie di parole legate le une alle altre senza nessuna logica. I personaggi “si fanno parlare” da modi di dire privi di senso (“Ci vuole comunicazione istantanea”), luoghi comuni, mescolati con qualunquismo: “Oggi ho deciso di essere felice”, “La giustizia è una parola effimera”. Il circo degli orrori e delle vanità della Del Santo è aperto di fronte ai nostri occhi, un teatro dell’assurdo pieno di marionette impegnate in una danza macabra di candido malessere.
Nuotano in questo mare non solo e non tanto le due nemiche, quanto i personaggi secondari che giganteggiano in questo mausoleo: Chang, Cicci (meraviglioso qui nel suo tutù), la biondissima Natalia Bush e l’inconsapevole Marco Cucolo che cammina quasi a rallentatore nell’Iperuranio. Da analizzare è la figura di Cicci che rompe gli stilemi dei belli e dannati della serie, eppure si comporta come se fosse uno di loro; è un dio pagano che vive del “contatto umano dei suoi fan”, che ottiene tutto ciò che vuole, che si allena, pur odiando la palestra. Diverso dagli altri quindi ma profondamente radicato in questo universo.
Interessante è l’incipit dell'”Episodio Sei” in cui una sempre giunonica Bush è su un set fotografico e poi in un gioco di specchi si riflette in due doppioni (Jessica Rabbit e una statua di una donna biondissima (s)vestita come lei); ancor più interessanti sono le inquadrature de ‘”L’Ultima Cena” e dei monumenti; la Del Santo sembra aver tratto ispirazione dal suo nemico storico, Paolo Sorrentino – come non ricordare le affermazioni della regista riguardo il lavoro del “collega”: “Io come Sorrentino, ma “Youth” ha delle lacune”-, senza però aver inteso il senso della sua lezione. Tutto questo è ciò che rende The Lady un vero capolavoro ingenuo e insensato.
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.