La scrittrice, per la storia, si è ispirata al Medioevo e alla sua infanzia in Indonesia, ai tempi colonia olandese. La prima fonte si vede chiaramente in castelli, duelli e ragazzi che sognano l’investitura a cavalieri, la seconda rende la rappresentazione della diversità non solo un doveroso adeguamento alle moderne regole del politically correct.
Il protagonista Tiuri, infatti, ha tratti arabeggianti, mentre la sua amica rivale Iona ha un aspetto decisamente orientale.
La vicenda si svolge nell’immaginario regno di Dagonaut, dove il giovane Tiuri vive, da sempre alleato con il regno vicino di Unauwen e in lotta contro il regno di Eviellan. Proprio il principe Veridian di Eviellan è chiamato a essere il gran cattivo di turno: vuole, ad esempio, mandare a monte il matrimonio progettato fra suo fratello e la principessa di Dagonaut, che porterebbe pace. Per ora, comunque, non si è dimostrato particolarmente incisivo e spaventoso, così come, in generale, appena accennati si rivelano tutti i personaggi secondari, a partire dal gruppo di giovani futuri cavalieri chiamati a fare da spalla comica o da aiutanti all’eroe.
Il protagonista, dal canto suo, dimostra subito di non avere spiccate attitudini per combattimenti e tornei. Glielo si può perdonare, perché l’eroe riluttante e la chiamata all’avventura casuale hanno una lunga e gloriosa tradizione letteraria. Il giovane, inoltre, dimostra subito di avere poteri magici. Anche Veridian ha dimostrato conoscenza delle arti oscure e questo certamente prepara la via allo scontro finale tra il Bene e il male.
Purtroppo, in quello che sembra proprio essere lo stile di tutta la miniserie, anche il sistema magico non viene spiegato: vi sono delle manifestazioni soprannaturali decisamente suggestive, ma niente di più, almeno per ora. Tutto serve principalmente a impostare un discorso in chiave di “ragazzo che deve scoprire il suo posto nel mondo accettando se stesso”, altro topos letterario dalla tradizione ben consolidata. Si spera in chiarimenti futuri, anche riguardo all’albero genealogico di Tiuri: egli infatti non risulta essere figlio biologico di colui che chiama padre e, se verranno seguiti i canoni di genere anche sotto questo aspetto, le due cose potrebbero essere legate, ovvero se il ragazzo scoprirà l’identità del genitore naturale probabilmente scoprirà molte cose sui suoi poteri e su come usarli.
Per fortuna, il ritmo piano e costante della narrazione accompagna lo spettatore nella visione e gliela rende gradevole, con il punto di forza degli splendidi paesaggi della Nuova Zelanda rivelati al mondo intero da Peter Jackson con la sua trilogia filmica del Signore degli Anelli.
Curiosità finale: la lettera per il re, di cui Tiuri si trova accidentalmente in possesso, è custodita in un cryptex come quelli di cui parla Dan Brown nel Codice Da Vinci. Secondo lo scrittore statunitense, questi aggeggi sono una prova di iniziazione in se stesso, perché solo chi ha raggiunto un certo livello di intelligenza e preparazione sarà in grado di aprirli. Quanto mai calzante con il tema generale di The Letter For The King e, forse, una degna sostituzione per una veglia d’armi bruscamente interrotta (peccato, perché l’animazione delle scene sulle vetrate era decisamente carina).
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Casalingoide piemontarda di mezza età, abita da sempre in campagna, ma non fatevi ingannare dai suoi modi stile Nonna Papera. Per lei recensire è come coltivare un orticello di prodotti bio (perché ci mette dentro tutto; le lezioni di inglese, greco e latino al liceo, i viaggi in giro per il mondo, i cartoni animati anni '70 - '80, l'oratorio, la fantascienza, anni di esperienza coi giornali locali, il suo spietato amore per James Spader ...) con finalità nutraceutica, perché guardare film e serie tv è cosa da fare con la stessa cura con cui si sceglie cosa mangiare (ad esempio, deve evitare di eccedere col prodotto italiano a cui è leggermente intollerante).