The Studio 1×04 – The Missing ReelTEMPO DI LETTURA 5 min

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Recensione The Studio 1x04Quasi giunta al giro di boa di questa prima stagione, The Studio continua a giocare con i codici del cinema hollywoodiano, appropriandosene in maniera consapevole e parodica per raccontare una storia che è insieme una commedia degli equivoci, un giallo sopra le righe e un raffinato gioco meta-narrativo.
The Missing Reel conferma l’abilità degli autori nel declinare il linguaggio visivo e narrativo del grande schermo all’interno di una sitcom che mantiene inalterata la sua leggerezza, ma che non rinuncia mai a sofisticati strati di lettura. Se già con The Note si era visto un esempio di ibridazione tra critica all’industria e ironia metacinematografica, questo nuovo episodio affonda ancor più audacemente in quel terreno, orchestrando un’indagine noir tanto ridicola quanto esteticamente coerente.

TRENCH, TAPES AND THERAPY


La struttura di “The Missing Reel” richiama dichiaratamente quella dei grandi gialli del cinema classico, con la differenza che, in questo caso, il detective protagonista non è un eroe navigato ma Matt, travestito da investigatore solo per caso e per coprire una tinta sbagliata. Questo travestimento improvvisato — trench, cappello e taccuino vocale — diventa l’occasione per mettere in scena una parodia del genere noir, con tanto di voice-over in stile “detective dal passato oscuro”, che Matt usa come parte di un esercizio terapeutico, ma che finisce per accompagnare l’intero racconto.
La sparizione di una pellicola dal set del film diretto da Olivia Wilde — un neo-noir con protagonista Zac Efron — fornisce il pretesto perfetto per trasformare la narrazione in un’inchiesta surreale, dove ogni elemento del genere viene riproposto con un tocco di assurdità: l’indizio lasciato a caso (un tatuaggio in una fotografia), le false piste, il sospettato eccentrico e vendicativo, l’albergo di lusso in cui si consuma la rivelazione chiave e, naturalmente, il colpo di scena finale che ribalta tutte le ipotesi iniziali. Il fatto che l’oggetto della contesa sia una “reel” – termine che evoca tanto la bobina di pellicola quanto le clip moderne dei social media – introduce inoltre una sfumatura linguistica ironica sulla permanenza dell’analogico nel digitale, sul valore della materia filmica in un mondo che sembra averla superata.

OLIVIA GOES WILD(E)


Olivia Wilde, come già accaduto con Martin Scorsese e Ron Howard nelle puntate precedenti, si presta con intelligenza al gioco di The Studio, incarnando un’altra icona hollywoodiana disposta a deformare pubblicamente la propria immagine per esigenze comiche. La sua decisione di rubare il reel del proprio film pur di forzare un reshoot, mantenendo però il proprio cameo perché “it is the best performance of my career”, funziona come critica spietata ma anche affettuosa verso un sistema in cui egomania, insicurezze artistiche e compromessi produttivi si fondono inestricabilmente.
Il personaggio di Matt si trova ancora una volta a dover gestire un’emergenza senza alcuna reale autorità, e la sua corsa contro il tempo per evitare che il furto venga scoperto dallo studio si trasforma in un viaggio paranoico in cui ogni persona sembra potenzialmente coinvolta.
L’intreccio è condotto con ritmo e precisione, e nonostante la natura volutamente farsesca delle situazioni, ogni battuta sembra inserirsi con efficacia in un contesto narrativo coerente, che sfrutta al massimo la costruzione di una tensione parodica. L’intero episodio, infatti, è sostenuto da un fragile equilibrio tra comicità slapstick e gioco meta-linguistico, e la regia riesce a non far mai crollare la struttura anche nei momenti più assurdi. L’inseguimento finale e la distruzione del reel da parte della stessa Wilde chiudono l’arco narrativo con un gesto estremo ma coerente, che ribadisce la natura autolesionista e teatrale dell’industria cinematografica.

TRA FORMA E FARSA


Anche dal punto di vista visivo, “The Missing Reel” mantiene gli standard elevati imposti dagli episodi precedenti, seppur con un linguaggio più giocoso e meno virtuosistico rispetto al piano sequenza di “The Oner“. La serie continua a distinguersi per l’uso creativo dello spazio e dell’ambiente, sfruttando set e scenografie con un’intelligenza compositiva difficilmente riscontrabile in altri prodotti comedy contemporanei. L’albergo di lusso, con le sue luci calde e gli interni retrò, richiama volutamente l’estetica dei film noir anni ’40, mentre il montaggio alternato tra Matt e Sal, con il primo convinto che l’altro lo stia tradendo, costruisce una tensione che si risolve in modo assolutamente coerente con il tono della serie.
La capacità di Sal di riconoscere un alcolico solo dall’odore diventa non solo un elemento di comicità surreale, ma anche lo snodo decisivo per risolvere il mistero. È grazie a questo improbabile “superpotere” che il team scopre che il tatuaggio visto nella foto è in realtà finto e che la vera responsabile è Olivia Wilde. La soluzione finale — in cui il desiderio artistico si scontra con l’autorità produttiva — si trasforma così in una riflessione sul controllo creativo che trova nella distruzione della pellicola un gesto radicale ma emblematico.
La voce off di Matt, che chiude l’episodio con un “Classic Hollywood ending. Pretty, isn’t it?”, completa infine il cerchio conferendo un tocco quasi malinconico. La pellicola che rotola lungo la strada, srotolandosi come un sogno che si sfibra, mentre Matt ammette di aver venduto la sua macchina a Zac Efron per poter pagare il reshoot di tasca sua, è un’immagine che riesce a essere poetica pur nella sua totale assurdità.

 

THUMBS UP 👍 THUMBS DOWN 👎
  • Costruzione dell’episodio come giallo noir è brillante e coerente, piena di citazioni e twist comici
  • Olivia Wilde si dimostra perfettamente a suo agio nell’auto-parodia
  • La voce narrante di Matt funziona, creando una riuscita imitazione del noir
  • L’indagine è condotta con ritmo e inventiva, sfruttando bene le dinamiche tra Matt e Sal
  • Il finale poetico con la pellicola che si srotola lungo la strada
  • Il personaggio di Zac Efron poteva essere utilizzato meglio all’interno della trama

 

Con “The Missing Reel”, The Studio raggiunge un nuovo vertice nella sua esplorazione del sistema hollywoodiano, spingendo la satira fino ai confini del pastiche cinematografico. L’episodio non solo diverte con un’indagine piena di equivoci e colpi di scena, ma costruisce un discorso consapevole sulla fragilità dell’autorità creativa e sull’estetica del fallimento. Questo e la precisione narrativa con cui tutto viene orchestrato confermano la capacità della serie di reinventarsi costantemente, offrendo ogni settimana una variazione nuova su un tema che continua ad affascinare: come si racconta — e si rovina — un sogno. Una puntata che è insieme omaggio e presa in giro, detective story e commentario industriale, gag visiva e riflessione artistica. In una parola: riuscitissima.

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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.

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