“The Oner”, sempre con alla regia la coppia Seth Rogen e Evan Goldberg, conferma che non si tratta del solito giocattolino da piattaforma, ma di qualcosa di molto più ambizioso.
Dopo un ottimo esordio che ha sicuramente convinto e ha dato anche un po’ da riflettere al pubblico che non si aspettava qualcosa di così pregiato e divertente (e ne abbiamo discusso ampiamente anche nel podcast), questo secondo episodio (come tutti i secondi episodi) aveva lo scopo di confermare quanto visto in “The Promotion”, cosa che fa alzando ulteriormente l’asticella, soprattutto dal punto di vista tecnico, con un piano sequenza ininterrotto da 26 minuti che è un vero e proprio tour de force registico e una libine indescrivibile per chiunque ami piani sequenza e un’ironia sottile ma drammatica che accompagna lentamente per mano lo spettatore verso un “tragico” finale.
Se The Studio continuerà su questo livello per i prossimi 8 epsiodi, allora ha davvero tutto per diventare una delle LA serie comedy dell’anno. Fa ridere, ma lo fa in modo intelligente. Critica, ma non con superficialità. E soprattutto ha un’identità visiva e narrativa fortissima. Se continuerà a giocare con questa ambizione, senza perdersi in esercizi di stile fine a sé stessi (che comunque sono graditissimi, specie se questo è il risultato), potrebbe davvero lasciare un segno.
COSA CAZZO HO APPENA VISTO!
Per capire da cosa è nata l’idea di fare un intero episodio di 26 minuti girato totalmente in piano sequenza bisogna entrare nel cervello di Setg Rogen ed Evan Goldberg e immaginare la discussione avuta nella stanza degli sceneggiatori. Perchè ad un pubblico svogliato e inesperto magari questa mezz’ora è sembrata semplicemente carina ma girare un piano sequenza non è affatto facile: richiede una coordinazione estrema, nessun errore è praticamente ammesso e ancora meno se, come in questo episodio, si aggiunge una componente temporale dettata dalla particolare luce del set che obbliga ovviamente l’intero episodio ad essere girato in un momento preciso del giorno.
Rogen e Goldberg hanno sicuramente guardato a questo episodio di The Studio come ad un’occasione per elevare la sceneggiatura e la regia a qualcosa di più reale possibile. Reale e metateatrale visto che sono sul set di un film di Sarah Polley con Greta Lee protagonista.
È palese che i due non si limitano a divertirsi alle spalle di Hollywood ma che lo facciano con stile, precisione e soprattutto con una conoscenza profonda di come funziona davvero l’ambiente. Il mondo del cinema viene ritratto per quello che è: caotico, ipocrita, volubile e soprattutto pieno di personaggi persone che dicono una cosa e ne pensano un’altra solo per il proprio tornaconto. E lo fanno col sorriso.
Il piano sequenza non è solo una sfida tecnica, è una dichiarazione d’intenti. Vuol dire che The Studio non ha paura di prendersi rischi, che ha qualcosa da dire e vuole dirlo in modo originale e diverso rispetto a quello stuolo di serie comedy che inonda i cataloghi degli spettatori. Il ritmo è serrato, i dialoghi sono taglienti, il montaggio… non c’è, perché tutto accade in tempo reale, e ogni minimo errore sarebbe stato fatale. Eppure funziona, e anche dannatamente bene. Il merito va anche a una regia attentissima, a una sceneggiatura piena di dettagli da cogliere al volo e a un cast che riesce a stare sul pezzo per mezz’ora senza mai perdere il fuoco.
Il merito va ovviamente anche a Evan Goldberg che dirige con una fluidità impressionante il suo collega. Il piano sequenza non è mai gratuito: ha senso, racconta, accompagna, coinvolge e genera anche quel senso di pressione psicologica dettato dalle tempistiche delle riprese. È come essere dentro un vero studio di produzione nel mezzo del caos: è Hollywood senza filtro ma anche con molto affetto.
SENTITE IL PROFUMO DI EMMY?
Seth Rogen si è cucito il ruolo di Matt Remick addosso, ed è chiaro fin dai primi minuti: lo si conosce da anni in mille sfumature della stessa maschera, ma qui c’è qualcosa di più. Remick è goffo, affabile, leggermente sopra le righe, ma sotto sotto è anche un uomo in crisi, un po’ fuori tempo massimo, uno che cerca di essere il più professionale possibile nel suo nuovo ruolo ma con dei chiari problemi di autostima e con un cuore da fan che pompa in tutte le sue vene. Il fatto che Rogen riesca a farcelo passare senza mai forzare la mano è una delle qualità migliori della serie finora.
L’episodio gioca con i cliché del mondo dello spettacolo in modo tanto intelligente quanto spietato: dalla star capricciosa che vuole il jet privato (Greta Lee), alla regista che è disposta a sopportare tutto pur di avere i diritti costosissimi di “You Can’t Always Get What You Want” dei Rolling Stones da mettere in una scena (Sarah Polley) . Tutti sembrano usciti da storie vere, e probabilmente lo sono. Ogni personaggio è una frecciatina, ma mai solo per fare sarcasmo: c’è un’osservazione dietro, una consapevolezza. Il tono è satirico, sì, ma sempre con uno sguardo lucido e partecipe.
Ottime anche sia Greta Lee che Sarah Polley, entrambe disposte a recitare un ruolo che si prende in giro per ragioni diverse ma che le rende anche estremamente “vere” in tutto ciò che fanno.
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Semplicemente uno degli episodi migliori che il sottoscritto abbia mai visto. Se questo episodio non viene candidato ai prossimi Emmy, beh… sappiate che allora c’è un complotto.
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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.