True Detective 3×04 – The Hour And The DayTEMPO DI LETTURA 5 min

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“Since we haven’t addressed the conclusion of our efforts in ’80, much less ’90, which to me is more hauntin’ than anything.”

 

Una frase breve e semplice, ma se si volesse essere superficiali e racchiudere le prime quattro puntate di questa terza stagione in poche parole, sintetizzerebbe alla perfezione quanto visto sino ad ora. La confessione di un vecchio e malato Wayne Hays regalata alla giornalista che, non senza fatica, prova a intervistarlo da diversi episodi, svela come l’ex detective sia ossessionato dal caso dei fratelli Purcell.
Per ora di certo si sa che il caso non è stato risolto completamente nonostante la doppia indagine tra gli anni ’80 e ’90, che William è morto, mentre la sorella, apparentemente, dovrebbe essere viva e qualcuno è stato arrestato per la morte del ragazzo. Su tutto il resto aleggia il mistero assoluto, con la fatidica brown sedan, nominata nel precedente episodio. Intorno al caso, vero fulcro narrativo dello show, ruotano poi i problemi famigliari e coniugali di Purple Hays e una certa attenzione dedicata agli emarginati, vedasi la comunità dei neri e lo screen time dedicato a Woodard, conosciuto ai più come il tizio della spazzatura.
La tematica del razzismo appare e scompare in questa terza stagione, emerge tramite battute taglienti e velata ironia, poi quasi ce ne se dimentica ma infine torna prepotentemente in scena con one eyed man e relativo minutaggio della comunità nera emarginata dalla società che vive in ghetti. Ancora non è chiaro se questo filone narrativo sia destinato a evolvere e incontrarsi con la trama principale o se rimarrà sullo sfondo, per dare una maggiore caratterizzazione storica e sociale allo show, ma per ora non si è veramente capito dove si voglia andare a parare. Non ci sono scene forzate, tuttavia, visto il particolare momento storico, rimane il dubbio sull’effettivo ruolo di questa porzione della trama. Serve o ci deve essere per forza?
Un tema attualissimo questo, tornato alla ribalta dopo le 7 scandalose nomination all’Oscar di Black Panther, ottenute solo ed esclusivamente grazie al politicamente corretto che imperversa nel mondo del cinema e delle serie tv e che si collega, tra l’altro, a Mahershala Alì.
Infatti l’attore protagonista di True Detective, che aveva già dimostrato la sua bravura interpretando Remy Danton in House Of Cards, venne clamorosamente premiato con il “Premio Oscar come Migliore Attore Non Protagonista” per l’interpretazione più veloce del West (forse si arriva a 10 minuti) per Moonlight, film osceno incomprensibilmente pluripremiato nel 2016. Una pellicola che ottenne a sorpresa il Golden Globe come “Miglior Film Drammatico” e ben 3 premi Oscar tra cui miglior film, miracolo avvenuto grazie alla sceneggiatura basata su, rullo di tamburi, ragazzi neri gay emarginati: un orgasmo del politically correct hollywoodiano.
Tuttavia, chiusa questa digressione polemica (ogni opinione espressa è puramente personale e gli altri recensori sono esenti da colpe prima che qualcuno ci dia dei razzisti), questa volta i complimenti a Ali sono sacrosanti: interpretare lo stesso personaggio su tre linee temporali diverse è un’impresa veramente ardua, ma l’attore afroamericano regala agli spettatori una grandissima interpretazione.
In questo episodio, come nei precedenti, la suddivisione della trama su 3 differenti linee temporali è un’ottima trovata per rimescolare le carte, per un trama orizzontale che in realtà non avanza mai realmente, tornando continuamente indietro o facendo passi in avanti improvvisi, divisa tra il presente e gli anni ’80 e ’90. A una scrittura di altissimo livello (nessuno si aspettava qualcosa di diverso da Pizzolatto), si uniscono poi una regia e una fotografia perfetti in ogni scena e inquadratura che rendono lo show impeccabile nella sua resa visiva.
Nonostante una lentezza narrativa difficile da digerire per 70 minuti (Kidding insegna che i capolavori possono essere creati anche in 30 minuti) in cui non succede poi molto a dire il vero, complessivamente questo quarto episodio rimane di pregevole fattura, non annoiando mai lo spettatore. Dopo più di un’ora di dialoghi impegnati (stile The Romanoff) e indagini andate a vuoto, l’attenzione dello spettatore viene catturata dal finale di puntata, dove tra un linciaggio mancato e una probabile esplosione, si assiste finalmente a un minimo di azione. Meglio tardi che mai.
Da segnalare infine gli strani comportamenti di Hays e Lucy: mentre la madre dei Purcell alterna uno sfogo accorato, condito da strane e sospette ammissioni di colpe su non si sa cosa, a scatti d’ira, non è certo da meno l’ex detective che potrebbe aver rimosso alcuni eventi non a causa della malattia ma in seguito ad eventi traumatici. Quest’ultimo si divide tra momenti di grande lucidità dove sembra essere ancora un ottimo investigatore, ad altrettanti di follia, conditi da allucinazioni tra Vietcong e arcinote berline marroni.

 

Did we ever find the brown car? Whose was it? I felt I felt sometimes without knowing it, I felt like maybe I like I made y’all sick.
Like I… Like I poisoned you. I don’t know, may have. I may be decidin’ I don’t want to stay alive without your mother. Shut up!
You’re nothin’! Shut up! I need to tell Roland about O’Brien. Where’s Roland? When did we last? Talk to Roland? I’m sorry. Looks like a late-model Lincoln or Mercury. Maybe a Chevy. Do they still make Mercury? Hmm? Uh Sedan. Dark color. Deep gray under the moon.
See him again, may mean somebody’s watchin’ yo.”

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Interpretare lo stesso personaggio su tre linee temporali diverse è un’impresa non da poco. Un grande Mahershala Ali
  • Nonostante diverse criticità, la bravura di Pizzolatto rende questo episodio godibile come gli altri, se non di più
  • A costo di essere ripetitivi ma dalla regia alla fotografia, tecnicamente la serie è perfetta sotto ogni punto di vista
  • Gli svarioni vietcong del vecchio Hays
  • Brown Sedan… what else?
  • Minutaggio eccessivo dell’episodio
  • Lentezza narrativa a tratti difficile da digerire
  • Dove si vuole arrivare con questo riferimento velato, ma continuo, alla società razzista?

 

Giunti a metà stagione si può tranquillamente affermare che questa terza stagione di True Detective è oggettivamente un prodotto seriale di altissima qualità. Ma visto il pesante nome che si porta dietro, è lecito aspettarsi di meglio, con un narrazione più rapida e un maggior sviluppo della storyline principale. Nel frattempo sentiti ringraziamenti.

 

The Big Never 3×03 1.06 milioni – 0.3 rating
The Hour And The Day 3×04 1.45 milioni – 0.4 rating

 

 

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Venera due antiche divinità: Sergio Leone e Gian Maria Volontè.
Lostiano intransigente, zerocalcariano, il suo spirito guida è un mix tra Alessandro Barbero e Franco Battiato.

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