“I have little shame, no dignity – all in the name of a better cause.”
A. J. Jacobs
Il processo di guarigione inconscia di Ryan Newman prosegue questa settimana concentrandosi come da titolo sulla “vergogna”. E perchè mai Ryan dovrebbe vergognarsi di qualcosa? In realtà non c’è solo un motivo ma svariati e tra questi si potrebbe annoverare anche il fatto che vede il cane della vicina come una persona ma, se diamo retta a Wilfred, in fin dei conti la loro amicizia è una cosa speciale di cui invece si dovrebbe andar fieri se solo la si potesse sbandierare.
Al solito la puntata lascia il processo di cura interiore incompleto, nel senso che, pur riuscendo a smussare i lati negativi del suo carattere, alla fine il risultato è sempre agrodolce visto che non ci sono miglioramenti pratici che possano mostrare un’evoluzione positiva del personaggio. Non sto parlando di riscontri positivi in termini psicologici ma in termini pratici: niente lavoro, niente fidanzata, niente soldi con cui pagarsi l’erba o il mutuo. Insomma tutto resta immutato tranne il senso di vergogna che Ryan provava costantemente. Una piccola vittoria per una guerra ancora lunga da combattere.
Recentemente ho letto un’intervista di Elijah Wood in cui raccontava come secondo la sua opinione Wilfred non potesse essere una di quelle serie che durano in eterno, e come dargli torto. A parte i rating disastrosi che non raggiungono nemmeno lontanamente il milione di persone, Wilfred è una serie difficile da vendere e soprattutto da seguire. Perchè la seguiamo? Diverse possono essere le risposte, la più comune sicuramente è la spiegazione del chi o cosa è Wilfred ma più avanti si va e più è difficile trovare pezzi del puzzle da inserire in questo mosaico in costruzione. Questa terza stagione, proseguendo il paragone, sembra soffermarsi nel piazzare solo pezzi della cornice evitando accuratamente di inserire i pezzi centrali che diano un significato alla nostra visione d’insieme. Pensatela come volete ma è un errore continuare ad evitare discorsi importanti come il Padre di Ryan, la natura di Wilfred o i problemi mentali di cui Ryan è afflitto; lo dico io ma lo dicono anche gli ascolti. In “Shame” si è osato parlare di lavoro e addirittura dopo tanto tempo Ryan è andato ad un colloquio, finito ovviamente male. E poi? Più nulla, il buio più totale, come se dopo aver parlato per metà episodio di problemi finanziari alla fine questi fossero scomparsi non parlandone più. Fervida immaginazione…
Fortuantamente a tener su la baracca ci pensa un Jason Gann oltremodo esilarante nella sua versione grassa e dotata di Ventolin. Chicche come il bastone-lingua per la soddisfazione inguinale o la salita sulle scale fanno guadagnare punti all’episodio permettendoci di non badare troppo ai buchi sceneggiativi, un pregio non da poco ma nemmeno sufficiente per costruirci su un’intera stagione.
- Bastone-lingua
- Wilfred obeso e dotato di Ventolin
- La “cosa” rosa
- Interessante l’idea di un coinquilino
- Sprecata l’ennesima occasione per evolvere Ryan positivamente
- Lavoro? Cosa me ne faccio di un lavoro?
- Carenze nella sceneggiatura
“Ma come: hai sparato merda fino ad ora e poi regali un 3 Emmy e mezzo?” Ebbene si. Sia chiaro, le carenze rimangono ma le risate che mi son fatto in questo episodio e che non mi facevo da tempo mi spingono ad essere magnanimo e a elargire una più che sufficienza per il tentativo in parte riuscito di creare un episodio interessante, purtroppo non privo di difetti.
VOTO EMMY
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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.