“Cities are the sunsets of civilization… monuments to an exhausted landscape. Man is migratory by nature. What you’re feeling is instinct… a hunger for new land that’s woven into your DNA. That’s the reason our species survived when countless others failed. That tingle is the sensation of touching your destiny.”
Occorre iniziare questa recensione con due premesse, una l’opposta dell’altra sotto determinati punti di vista.
La divisione dedicata alle serie tv della Paramount quest’anno sta deliziando il proprio pubblico con dei lavori di pregevole fattura, basti pensare al molto apprezzato (in casa RecenSerie) Waco: Yellowstone non ha dalla sua il fattore storico dal quale attingere, ma il comparto paesaggistico, fotografico ed il carattere drama della serie risultano essere talmente ben elaborati e presentati da far passare in secondo piano qualsiasi difetto. Anzi, quasi ogni difetto.
Perché un difetto, volendo fare i pignoli, ci sarebbe anche: il pilot dura più di un’ora e mezza. Novanta minuti la cui metà viene essenzialmente dedicata alla presentazione (per alcuni molto abbozzata) del quadro generale e dei personaggi principali. Si può convenire, però, che trattandosi di un primo episodio la cosa è sicuramente normale e non desta eccessivo sdegno. Tuttavia, novanta minuti risultano difficili da reggere, specialmente se buona parte di questi sono conditi da lunghe riprese di montagne e praterie del Montana, da interminabili silenzi spezzati da qualche vaga parola proferita da Kevin Costner e da innumerevoli scene di cavalli.
La serie segue nelle proprie avventure (di carattere legale e non legale) il capo famiglia John Dutton (Costner) mentre cerca di preservare il proprio ranch dalle incursioni di nuovi proprietari terrieri, di indiani che reclamano ulteriore terreno per la loro riserva e di mandatari delle istituzioni che cercano di proteggere il primo parco nazionale americano che dona il proprio nome alla serie.
John Dutton è un personaggio sanguigno, determinato e senza pietà. Ma è un padre e questo lo rende anche un uomo dal carattere gentile e premuroso. Sfaccettature che vengono mostrate per intero durante l’episodio e che preannunciano un personaggio diviso a metà sotto svariati aspetti.
Costner riesce a rendere vera e percepibile come se fosse concreta ogni singola emozione che disegna sul volto di Dutton: dallo sconforto per la perdita iniziale (e finale), alla rabbia provata nei confronti del proprietario di turno che cerca di ergersi a padrone incontrastato della zona. Ma quello di Costner non è l’unico grande nome presente in questo prodotto seriale: il creatore altri non è che Taylor Sheridan, un nome che potrebbe dir poco (forse) ad alcuni, ma i cui lavori indubbiamente non sono passati inosservati. Il suo primo lavoro come sceneggiatore è stato Sicario (ha lavorato anche al seguito Sicario: Day Of The Soldado) a cui fece seguito Hell Or High Water. Ma ha preso parte, come attore, anche a Sons Of Anarchy e Veronica Mars. Per Yellowstone, Sheridan ricopre il triplice ruolo di creatore, regista e sceneggiatore. Ma l’influenza dei suoi passati lavori è percepibile.
Il taglio di molte scene, specialmente quelle aeree e quelle relative allo scontro a fuoco, richiamano molto le scene di Sicario e di Hell Or High Water: Sheridan sembra aver appreso molto sia da Villeneuve, sia da Mackenzie per quanto concerne la tenuta di scene di questo tipo. E l’allievo ha ottimamente appreso sul campo.
La crudeltà visiva ed una sensazione di morte pendente su ogni singolo personaggio mettono sull’attenti lo spettatore e lo fanno vivere con una leggera angoscia per buona parte della puntata. O almeno finché la storia inizia a decollare a tutti gli effetti, rendendo più interessante la visione.
Molto accurata e ben gestita anche la scelta della soundtrack e la campionatura musicale in generale. Un neo, ma si presenta come tale ora e andrà sicuramente ad attenuarsi via via che la stagione proseguirà, è la massiccia presentazione di nomi, cognomi, famiglie, volti e personaggi all’interno della puntata: l’effetto che si riscontra in scena è quello che si prova nel vedere le prime puntate di Game Of Thrones, giusto per dare un peso a questa sensazione. Tanti nomi, tanti volti e si fatica ad associare l’uno all’altro e tessere tutti i fili conduttori con il rischio che alcuni collegamenti (forse fondamentali) vadano persi nel mucchio.
Certo, come si menzionava ad inizio recensione, il pilot ha da sempre un carattere puramente introduttivo quindi è indubbio che parentele, amicizie e inimicizie verranno approfondite più avanti.
Questo elemento porta, da contro altare, un fattore molto positivo: con molti personaggi in scena, significa potersi concentrare su ciascuno di essi per una significativa caratterizzazione nonché approfondimento. Un cast ben fornito, se ben gestito, è sempre da annoverare come “thumb up”.
Sembrerebbe tutto bello, fin qui. Tuttavia se le prossime puntate dovessero durare mezz’ora/quaranta minuti in meno nessuno si offenderebbe. Anzi.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Daybreak 1×01 | 2.83 milioni – 0.4 rating |
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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.