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House Of Cards 3×02 – Chapter 28TEMPO DI LETTURA 4 min

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Se nella premiere della nuova stagione House Of Cards svela misteri lasciati insoluti nella precedente stagione, già dal secondo episodio riprende il ritmo incalzante che ci ha fatto appassionare alle vicende dell’ormai Presidente Frank Underwood.

I’m the President.”
But not elected.

Guardare House Of Cards senza chiedersi se sia una buona rappresentazione della reale vita politica che si nasconde dietro ai palazzi di governo non è solo prerogativa degli spettatori Americani, indubbiamente più interessati ai loro stessi meccanismi politici, e più in grado di capirne il funzionamento. Anche noi, nonostante lo show non rappresenti la realtà politica nostrana (e ammesso che rappresenti quella americana), non possiamo guardarlo senza formulare paragoni tra quello che vediamo sullo schermo e quello che conosciamo come nostro sistema politico. Quindi: Presidente non eletto? Dove l’abbiamo già sentita questa cosa?
Lo show sarà pure finzione ma poggia su delle basi di realtà che, se fosse altrimenti, non gli avrebbero permesso di essere così accattivante. Molti aspetti peculiari della società e del sistema americano sono infatti ampiamente mostrati aiutando ad evidenziare ai nostri occhi le differenze con quelli nostrani: si veda, proprio in questa puntata, ad esempio il far leva di Mendoza sul sentimento militarista molto più caro all’opinione pubblica americana di quanto non sia per quella italiana (“liberate i marò” non conta come espressione di sentimento filomilitare, al massimo come becero populismo!). Quindi mentre nel Belpaese i Presidenti non eletti si susseguono come non ci fosse un domani, in USA se lo immaginano solo in finzione e, anche lì, non la ritengano una cosa tanto plausibile. Della serie “il pubblico non crederà mai che un Presidente non eletto possa arrivare al secondo mandato o governare in accordo con destra e sinistra, repubblicani e democratici senza intoppi. Bisogna che facciamo qualcosa per rendere più credibile e realistica la situazione.”
Quel “qualcosa” è un vero e proprio ammutinamento del suo stesso partito, Jackie Scilipoti compresa, che  informa prematuramente Frank di non appoggiare la sua ricandidatura nel 2016. Dopo esser arrivato alla Vice Presidenza alla fine della prima stagione, alla Presidenza alla fine della seconda, la terza non poteva che incentrarsi sul secondo mandato. E’ interessante vedere come gli autori abbiano trasformato il personaggio, o meglio la sua situazione, non progressivamente nel corso delle stagioni, ma prepotentemente da una stagione (la seconda) all’altra. Da influente uomo politico capace di ottenere in tutti i modi quello che vuole, sempre in grado di esercitare il controllo sulle vicende e le persone che lo circondano, il Frank Underwood di inizio terza stagione è risoluto e ambizioso come lo avevamo lasciato, tanto quanto debole e frustrato, quasi incapace di proteggersi dai colpi provenienti da tutti i lati: Repubblicani, Democratici, la moglie che non vuol saperne di essere “solo” una First Lady.
Inconcepibile una scena come quella del pianto e conseguente “consolazione” da parte di Claire nelle precedenti stagioni, che mostra Frank al massimo della vulnerabilità, la moglie al massimo della sua sensibilità, quindi le dinamiche della coppia al massimo della loro spesso inquietante “normalità”.
Questo repentino “cambio d’abito” non risulta innaturale però: primo, perché non tradisce la natura del personaggio che si esplica nella mossa finale di finta arrendevolezza di fronte ai suoi compagni di partito, secondo proprio perché è supportato dalla credibilità dell’odierna situazione di Frank. Bel colpo esser riusciti a raggiungere questo senza lasciare nello spettatore la sensazione di disorientamento.
La regia, affidata nei due episodi iniziali a John Coles, gioca molto sul mostrare le scene di vita “familiare” della coppia con una fotografia che esalta la freddezza e formalità degli ambienti di quella che non ci accorgiamo subito essere la Casa Bianca, essendo la sua atmosfera così simile a quella che si respirava nella vecchia casa Underwood. La scenografia e la cura dei dettagli, persino nei costumi, rendono palpabile la sensazione di tensione ed ansia che accompagna i due protagonisti alle prese con le loro “battaglie” durante tutto l’episodio. Le lunghe inquadrature, le scene di silenzi, l’imperscrutabilità dei volti contribuiscono a rendere la puntata intrigante per lo spettatore fino alla fine.
La sete di potere degli Underwood è insanabile e sembra che più si trovino in difficoltà più puntino in alto con la loro ambizione, mai paghi e soddisfatti. “The American dream has failed” ma non, ancora, quello di Frank e Claire.

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Realismo e finzione sapientemente mescolate
  • Resta la naturalezza delle situazioni e delle azioni dei personaggi
  • Il rapporto Frank-Claire che non smette mai di inquietare gli animi
  • Se la vicenda Peter Russo non è definitivamente messa a tacere data la fuga di Rachel, che dire di quella Zoe Barnes? Tornerà mai a galla?

 

Nuovi ed imprevisti ostacoli sul cammino di Frank Underwood sembrano minare la sua autorevolezza e il suo (auto)controllo. Non cambiano però la sete di potere e la sua ambizione, così come le capacità di Beau Willimon e soci di rendere le vicende di House Of Cards un accurato e intrigante insieme di realismo e finzione.

 

Chapter 27 3×01 ND milioni – ND rating
Chapter 28 3×02 ND milioni – ND rating

 

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