Crisis In Six Scenes 1×03 – Episode 3TEMPO DI LETTURA 6 min

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Recensire Crisis In Six Scenes, episodio dopo episodio, potrebbe non esssere stata la migliore delle idee. È un problema che RecenSerie si è posto dall’alba della diffusione delle serie a stagione completa, di cui Netflix, poi anche Amazon, si è fatto precursore e portabandiera. La possibilità di binge-watching da parte dei telespettatori ha portato gli stessi creatori delle serie al bivio: continuare a scrivere prodotti seriali con analoga struttura a quelli diffusi un episodio alla volta o cambiare modalità e adattare alla nuova modalità di fruizione un nuovo tipo di scrittura. Allo stesso modo ha portato chi le recensisce ad un altro bivio: recensire anche le serie Netflix/Amazon episodio dopo episodio o cambiare approccio e fare una recensione globale sulla stagione, o parte della tale, rilasciata per intero.
Il Woody Allen di Crisis In Six Scenes non si è certo posto questo dubbio amletico.
Dopo la visione del terzo episodio è ben chiaro come la struttura non segua affatto le logiche seriali di suddivisione della narrazione, con quest’ultima che si dispiega in una serie di avvenimenti che si susseguono episodio dopo episodio. Se ci trovassimo di fronte a una normale serie diremmo infatti che questo è un episodio “filler”: in “Episode 1” avviene un fatto – l’arrivo di Lennie – che scuote la tranquilla quotidianità di una coppia e in “Episode 2” si iniziano a vedere le possibili conseguenze di questo avvenimento; in “Episode 3” però non accade nulla di particolarmente eclatante o che apporti qualcosa allo svolgimento della trama – fatto salvo l’incontro tra Lennie e Alan, prodromico ad un possibile stravolgimento della vita del giovane. Non è tanto la trama col suo quieto dispiegarsi quanto quello che la circonda che colpisce però l’attenzione dello spettatore, ed è qui che lo zampino della scrittura di Allen produce i suoi effetti.
A partire da tutte le scene, e quindi i dialoghi, in cui è presente il suo personaggio – sia in coppia con la moglie che con Lennie o con il suo scrittore di battute, o persino da solo mentre spiega ai responsabili del network la sua idea per il nuovo show – si percepisce quel mix inconfondibile di sagacia, fine ironia e intelligenza che chiunque abbia visto qualche opera del regista non può non riconoscere. I temi affrontati non sono particolarmente nuovi ma la maniera in cui i personaggi ce li presentano è assolutamente brillante.
Pensiamo allo scambio di opinioni tra la rivoluzionaria Lennie e il borghese Alan sulla necessità di azione e violenza contro l’omertà e la pigrizia intellettuale di fronte alle ingiustizie del mondo (o ai commenti entusiasti della moglie di Sid per il suo impegno sociale): non fosse stato scritto da Allen potrebbe sembrare che il fine sia far riflettere lo spettatore sul proprio ruolo nella società spingendolo a voler essere un po’ meno Alan e un po’ più Lennie; la verità è che il regista si diverte più a prendere in giro il personaggio interpretato da Miley Cyrus, che professa le sue idee ostentatamente rivoluzionarie mentre si ingozza del cibo a spese della famiglia schiava del consumismo che la ospita, piuttosto che il timido figlio di banchieri la cui unica colpa è non aver avuto, finora, l’intraprendenza per deviare dal percorso scelto dalla sua famiglia.
Allo stesso modo l’assai lungo dialogo al ristorante tra l’ansioso e diffidente Sid e il suo ignaro scrittore di battute, intriso dei tipici atteggiamenti nevrotici dei personaggi sempre protagonisti nelle storie di Allen, non vuole far immedesimare lo spettatore nell’uno o nell’altro personaggio, solo farlo divertire con le studiate costruzioni dei dialoghi, che solo l’abilità di autori di un certo calibro riesce a produrre.
Non guasta la presenza scenica dello stesso Woody e di Elaine May nel ruolo della moglie. Si vorrebbe poter dire lo stesso di Miley Cyrus ma la sua interpretazione lascia a desiderare. È vero che la costruzione delle scene e la recitazione di tutti i personaggi è un po’ esagerata, come se si trovassero su un palco teatrale con l’esigenza di far arrivare le emozioni ad un pubblico vasto e lontano. Mentre, però, per gli altri attori questo modo di approcciare l’interpretazione ha un apporto positivo sulla resa scenica, dell’interpretazione della giovane pop star – complice l’oscena parrucca – traspare solo la finzione.
Il Woody Allen di Crisis in Six Scenes ha trasportato in tv il suo mondo, finora dipinto solo sul grande schermo, proprio a 50 anni tondi tondi dal primo film (“Che Fai, Rubi?” del 1966). Qualunque sia stata la sua motivazione non si può non ammirare la voglia di mettersi in gioco di un artista che, a 80 anni suonati, non esita a buttarsi nell’attualissimo, inflazionatissimo (e quasi saturo) mercato delle serie tv. Sembra quasi strano che non si fosse ancora cimentato in questa prova e, vorremmo dire, a ragion veduta. Si badi che questa affermazione non è legata tanto al giudizio sulla serie, o su questa puntata, in quanto tale. Come già detto, lo stesso Allen non si è dichiarato convinto della riuscita del lavoro ma non ci si poteva o doveva aspettare troppo dallo stesso. Allen è un mostro del cinema, ha creato quel modo unico di fare cinema che quando appena appena qualcuno fa un’atmosfera, un’inquadratura, un dialogo che gli somigli, lo si descrive come un’atmosfera, un’inquadratura, un dialogo “alla Woody Allen”.
Anche questo film questa serie lo è, una serie alla Woody Allen. Il problema è che lo stile di Allen non si è adattato bene allo strumento televisivo. Il “non problema” è che probabilmente fin dall’inizio allo stesso Allen non importava che questo accadesse. L’ha pensato come un film, l’ha scritto come un film, l’ha diretto come un film… e poi l’ha montato come una serie, in sei scene. Lo strumento di diffusione di streaming, la piattaforma Amazon, probabilmente ha portato ad apprezzarne maggiormente i pregi solo a chi ha deciso di guardarlo così come è stato concepito, tutto insieme. Per gli altri, la difficoltà di capire dove si voglia, banalmente, “andare a parare” e la lentezza che scaturisce naturalmente da una ricchezza di dialoghi più che di azioni non la rende la serie indimenticabile che i fan avrebbero sperato.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Dialoghi
  • Traspare l’Allen sceneggiatore e regista
  • Interpretazione “teatrale” degli attori
  • Lentezza della trama
  • Il modo in cui è concepita la serie non la rende apprezzabile quanto dovrebbe
  • Miley Cyrus ci prova ma non ce la fa

 

A 50 anni dall’esordio nel cinema, Woody ci prova con la tv. Forse per scherzo, forse per soldi, quel che ne resta è un film diviso in sei scene e che, anche se nella terza non succede niente di che, si gustano i dialoghi e la loro finezza, cercando di non farseli guastare da Miley Cyrus che ci prova ma non ce la fa.

 

Episode 2 1×02 ND milioni – ND rating
Episode 3 1×03 ND milioni – ND rating

 

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