Doctor Who 8×03 – Robots Of SherwoodTEMPO DI LETTURA 6 min

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“I am not a hero.”

Tra gli appassionati di Doctor Who, il nome di Mark Gatiss incute insieme rispetto e timore. Rispetto perché gli si riconosce una presenza sempre costante e importante nel team creativo dello show; timore perché i suoi episodi possono (nel bene e nel male) toccare apici inarrivabili di silliness. Basta soltanto considerare il titolo di questo episodio, senza neanche andarsi a leggere la trama, e si capirà la natura di ciò che avremo davanti. Robot a Sherwood, ovvero, elementi puramente fantascientifici inseriti all’interno di un contesto “storicamente pop”. Come quando qualcuno provò ad inserire i vampiri o gli alieni nel far west. Ovviamente è pur sempre Doctor Who e, tutto ciò che in altri casi verrebbe bollato come trash, in questo caso contiene i tratti e le caratteristiche per elevarsi a “episodio di intrattenimento” e “simpatico esercizio di stile”. E infatti così è.
Qual è il grande merito di Mark Gatiss nello scrivere “Robots Of Sherwood”? Sicuramente quello di aver confezionato un perfettamente classico episodio di Doctor Who (e non è un caso la sottolineatura). Abbiamo già detto, parlando della 8×01, di come sia perfettamente nella natura dello show l’episodio autoconclusivo condito da trama surreale. Quindi già solo per questo “Robots Of Sherwood” non sfigura nel catalogo. Eppure il vero e proprio tocco di classe è il continuo richiamo, esplicito ed implicito, a episodi del passato. Consideriamo innanzitutto un aspetto aneddotico: Robin Hood fa riferimento alle crociate a cui King Richard prese parte. Nella seconda stagione, degli anni 1964-65, il Dottore di William Hartnell e i suoi compari incontravano nientemeno che Riccardo “Cuor Di Leone”, nel serial “The Crusade” (incontro cui il Dottore di Capaldi fa anche riferimento). Due incarnazioni così distanti si trovano quindi nello stesso pianeta e nello stesso periodo storico. Qual è poi la prima spiegazione che il Time Lord si dà, piuttosto che non ammettere l’autenticità dell’atmosfera circostante? Di trovarsi dentro un miniscope. Cos’è un miniscope? Nell’anno 1973, il Dottore di Jon Pertwee insieme a Jo Grant finivano miniaturizzati in un attrezzo “bigger on the inside” che racchiudeva diversi ambienti di diversi pianeti, utile all’intrattenimento di un pubblico circense (l’episodio si chiama “Carnival Of Monsters”). Vi è anche spazio per il puro e semplice omaggio: il Dottore fa scorrere il database dell’astronave trovando numerosissimi riferimenti alla leggenda di Robin Hood, quando ecco spuntare un’immagine in bianco e nero di un attore che impersona l’arciere di Nottingham. L’attore altri non era che Patrick Troughton, alias la seconda incarnazione del Dottore.
Ultima considerazione, ma non per ordine di importanza, è proprio la modalità in cui è stata girata la puntata, sia dal punto di vista della trama, sia per l’ambientazione. Soprattutto verso la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, periodo quindi di Tom Baker e Peter Davison, vi era una forte tendenza a rendere protagonisti/antagonisti androidi e robot e allo stesso modo era forte la tendenza ad un’ambientazione medievale delle vicende.
E a proposito di vecchie puntate, la figura di Clara assume un ruolo anch’esso estremamente “classico”. Era frequentissima, soprattutto negli anni ’60, la tendenza a lasciare il palcoscenico al/alla companion più giovane. Si è parlato spesso di come Clara tenda a portare il Dottore sulla retta via, o di come fosse sempre (pure troppo) abile a risolvere certe situazioni. Bé, niente di nuovo sotto il sole, se si pensa alla funzione che avevano compagni del calibro di Ian Chesterton o Jamie McCrimmon prima e Jo Grant e Sarah Jane più in là. La battaglia finale, lasciata a Robin Hood (cosa che probabilmente quasi mai sarebbe successa con Tennant o Smith), conferma quindi una nuova/vecchia strada che il Dottore di Capaldi imboccherà: meno azione (lasciata ad altri), più introspezione, più anzianità.
L’insicurezza è infatti protagonista dell’episodio. Tennant era felicissimo di conoscere Agata Christie o Shakespeare; Smith tentava di risollevare personalità complesse come quella di Van Gogh oppure per puro divertimento si imbarcava in una nave pirata; Capaldi, disilluso da subito, non ammette l’esistenza di Robin Hood, neanche quando se lo trova davanti. I siparietti comici in cui effettua delle analisi a tutta la gang di Sherwood nascondono in realtà la forte disillusione che lo circonda. “I’m not a hero“, dirà alla fine. E’ lecito chiedersi a cosa sia dovuta questa svolta burbera e cinica, apparentemente immotivata, dato che l’incarnazione di Capaldi è la prima della nuova serie a non portarsi dietro il fardello della Time War. Semplicemente, invece, il nuovo Dottore si porta dietro il fardello della guerra di Trenzalore. Guerra che ha causato secoli di massacri, tutti riconducibili a lui, al suo nome e alla conseguenza del salvataggio di Gallifrey. Inoltre, tema conduttore dello show, più o meno da sempre, è la sua involontaria propensione a causare morti, ovunque egli fosse (eloquente il discorso dell’infermiera in “The Family Of Blood” del 2007). Quindi no, il Dottore non si considera più un eroe e non crede più alle leggende. E forse la considerazione finale di Robin Hood, il quale augura che le loro storie non finiscano mai, non sarà che un primo mattoncino utile a ricostruire una personalità devastata dalla convinzione di aver compiuto “many mistakes” nei 2000 anni di vita.
Per tornare all’episodio – inteso strettamente come successione di 46 minuti dove degli attori dicono cose – sicuramente non sarà oggetto di rewatch compulsivi, né resterà nella storia dell’ottava stagione (non ripeterò per l’ennesima volta il perché questa sia cosa comunque buona e giusta). Il carattere contiene un mix tra la Walt Disney e un generico episodio a dimensione familiare. Queste caratteristiche si palesano in certe facilonerie fiabesche quali la freccia d’oro che regala la velocità di fuga all’astronave, oppure la rivolta di prigionieri tutti dotati di vassoio riflettente. Da apprezzare però il pizzico di trama orizzontale che ci viene concesso: nessuna apparizione di Missy, che sarebbe risultata una soluzione da disco rotto, ma un minuscolo riferimento alla “promised land” già sentita in “Deep Breath“.
Filler quasi totale quindi, ma va bene così. E’ un terzo episodio e deve “fare legna”; deve continuare a fornirci elementi utili a rendere sempre più familiare il Dodicesimo e a regalarci avventure sempre più particolari ma allo stesso tempo classiche e riconoscibili.

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Episodio classico a tutti gli effetti
  • Il cucchiaio
  • Immagine di Patrick Troughton che impersona Robin Hood
  • Riferimento al Miniscope di “Carnival Of Monsters”
  • Riferimento alla Promised Land
  • Buona riuscita complessiva di un episodio filler
  • Filler utile al puro intrattenimento, ne ha risentito l’attesa, alla luce degli ultimi episodi
  • Atmosfera fin troppo “disneyana”
  • Soluzioni fin troppo assurde
  • Ormai non si riescono più a contare le battute apparentemente riguardanti argomenti vari ma che tra le righe si riferiscono sempre al Dottore

 

La votazione assegnata a questo episodio nasce da un ragionamento ben dettagliato. La considerazione quasi totalmente positiva, presente nella recensione, potrebbe far considerare il voto di 3/5 come severo, se non addirittura fuori luogo. Si è già detto però che “Robots Of Sherwood” rappresenta l’episodio classico di Doctor Who per eccellenza. Proprio per questo si ritiene giusto considerarlo come una base di partenza per qualsiasi episodio di Doctor Who che potrà essere giudicato positivamente in futuro. Il successo esponenziale che questa serie va ottenendo di anno in anno non fa che aumentarne le aspettative. Ecco perché un episodio scritto da Gatiss (di livello estremamente superiore a precedenti lavori del calibro di “The Idiot’s Lantern”) segna anche un punto di non ritorno per la serie: ormai dovrà solo e soltanto spaccare.

 

Into The Dalek 8×02 5.2 milioni – ND rating
Robots Of Sherwood 8×03 5.2 milioni – ND rating

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Approda in RecenSerie nel tardo 2013 per giustificare la visione di uno spropositato numero di (inutili) serie iniziate a seguire senza criterio. Alla fine il motivo per cui recensisce è solo una sorta di mania del controllo. Continua a chiedersi se quando avrà una famiglia continuerà a occuparsi di questa pratica. Continua a chiedersi se avrà mai una famiglia occupandosi di questa pratica.
Gli piace Doctor Who.

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