Recensire uno show come Fear The Walking Dead, divenuto un vero e proprio fenomeno mediatico ancora prima della sua uscita ufficiale, non è mai semplice. La separazione in merito al giudizio della serie, sempre più netta all’interno del vasto bacino spettatoriale di Fear, è stata evidente fin dal pilot, andato in onda l’anno scorso. Di conseguenza questa spaccatura ha finito per dividere anche chi, come noi, si ritrova a volerne parlare ogni settimana. Obiettivamente, fino a questo momento, la seconda annata di Fear non ha brillato, elemento più volte evidenziato all’interno delle nostre recensioni. Con “Ouroboros” si è arrivati a toccare il punto più basso visto finora nello spin-off del Morto Che Cammina, sfruttando il crossover con la webserie Flight 462 – peraltro seguita relativamente poco nel corso dei suoi sedici miniepisodi andati in onda sul Tubo – con l’intento di creare una continuità con quanto accaduto sul volo infetto decollato da Los Angeles e ottenendo come unico effetto la sensazione di trovarsi di fronte a un episodio filler totalmente inutile ai fini dell’avanzamento di trama, elemento che risulta quanto mai vitale visto il timido avvio di stagione mostrato quest’anno.
Detto ciò, è innegabile che “Blood In The Streets” sia, finora, l’episodio meglio riuscito della stagione, se non addirittura dell’intera serie. Grazie a un lavoro di scrittura finalmente non abbandonato a sè stesso – fatta eccezione per la separazione di Nick dal resto del gruppo, gestita male dal punto di vista della collocazione narrativa – gli autori riescono a fare dei notevoli passi avanti per ciò che concerne lo sviluppo della trama, l’evoluzione di alcuni personaggi (i pochi realmente interessanti) e l’approfondimento delle dinamiche relazionali che intercorrono tra loro.
Naturalmente, quando parliamo di “pochi personaggi interessanti” ci riferiamo ai due character che fin dalla premiére hanno meritato una considerazione autoriale maggiore e dunque una preminente esplorazione dei loro profili caratteriali: Victor e Nick. Il background di entrambi i personaggi, fondamentale per l’economia dell’intera serie, costituisce la vera forza dello show, nonché traino per quanto riguarda il coinvolgimento e l’empatizzazione dello spettatore, che altrimenti sarebbe completamente nulla. In particolar modo il secondo, quest’anno, appare collocato in una posizione di favore rispetto agli altri membri del gruppo, incluso lo stesso Strand, grazie all’alone di curiosità in cui egli pare avvolto, conferitogli dal rapporto privilegiato con Victor e dalla nuova rilevanza acquisita con l’inizio di questa seconda annata telefilmica. Unica pecca: la reiterazione del camouflage a base di viscere e sangue, chiaro rimando all’opera madre e apprezzabile in tal senso ma eccessivo proprio in questa sua continua ripetizione.
Da apprezzare l’utilizzo del flashback, strumento che si rivela indispensabile all’arricchimento diegetico in quanto efficace via d’uscita dalla situazione di stallo narrativo (e annessa noia mortale) riscontrata nei primi tre episodi. Oltre che far luce su alcuni interrogativi emersi nei precedenti appuntamenti, lo sguardo al passato di Victor palesa la sua centralità all’interno della puntata, confermando inoltre alcuni dei tratti caratteristici mostrati dal personaggio nella linea temporale corrente, primo fra tutti l’ambiguità intrinseca che lo circonda fin dal suo ingresso in scena. Il rapporto creatosi tra Strand e Thomas Abigail, persone appartenenti a mondi diversi e separati da evidenti differenze caratteriali, ha il pregio di trarre forza dalla rapidità attraverso la quale ci viene mostrato, una rapidità funzionale a quell’immedesimazione spettatoriale finora latente.
L’attacco da parte dei “pirati” capitanati dal misterioso Connor, inizialmente gestito in maniera fin troppo frettolosa, rivela progressivamente la sua vera natura, quella di deus ex machina narrativo atto a favorire la collaborazione all’interno del gruppo di sopravvissuti, condizione necessaria in qualsiasi survival horror che si rispetti. La coesione tra i diversi membri dell’equipaggio, finora mostrata solo nell’eccessivo accanimento nei confronti di Victor, raggiunge qui un nuovo livello, culminando nell’ottima sequenza finale innescata dal ritorno in grande stile di Luis e Nick che porterà in pochi istanti alla disfatta del gruppo di Jesse McCartney Reed.
L’atmosfera che percepiamo fin dai primi istanti di visione è molto diversa rispetto alle volte precedenti. Il montaggio funziona di più, soprattutto nell’alternanza delle vicende a bordo della Abigail e lo sguardo al passato di Victor, che in qualche modo spezza temporanemente la tensione per poi tornare ai ritmi serrati e concitati dell’abbordaggio in mare. In netta contrapposizione con la fotografia calda e contrastata del precedente episodio, dove la tensione e il pericolo incombente venivano nascosti dalle dune, in questo quarto episodio si cerca invece il buio, la notte, gli spazi angusti, fatte eccezione per il segmento narrativo che vede Nick e Luis protagonisti, emblema invece di quella flebile speranza riposta nella villa di Abigail in Messico.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Ouroboros 2×03 | 4.73 milioni – 2.1 rating |
Blood In The Streets 2×04 | 4.80 milioni – 2.1 rating |
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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.