Giunti al “Capitolo Sette” dello show di Tom Bidwell, ad un passo dal gran finale, viene da guardarsi indietro e cercare di comprendere il senso stesso della suddivisione in capitoli. Gli Irregolari di Baker Street non si presta bene a questa ripartizione, in quanto gli episodi in sé non rappresentano capitoli di un grande libro. Le prime puntate erano praticamente auto-conclusive, dal “Capitolo Quattro” ci si è lanciati verso una trama orizzontale, ma già il “Capitolo Cinque” era un lunghissimo episodio “spiegone” atto a giustificare l’assenza dello specchietto per le allodole (Sherlock) in metà stagione.
Per di più la narrazione subisce continuamente i colpi di inutili rallentamenti dovuti a intrecci romantici che poco importano allo spettatore, non tanto per il tocco di romance in sé, piuttosto per il modo banale e superficiale in cui è presentato. Il penultimo episodio di questa prima stagione riesce, per ovvi motivi, ad essere più ritmato, grazie alle rivelazioni e all’avanzamento rapido di trama verso il season finale. Tuttavia, tutto ciò appare un mero esercizio di stile che non riesce a destare alcuna curiosità verso l’epilogo degli eventi.
JOHN E SHERLOCK: BROMANCE
Croce e delizia de Gli Irregolari di Baker Street sono proprio loro, i due protagonisti nati dalla penna di Conan Doyle. Delizia perché rappresentano l’unica ancora di salvezza, personaggi cari allo spettatore che cerca rifugio in loro in un marasma di teenager stereotipati. Croce perché anche i volti noti soffrono la scrittura scriteriata della serie.
Probabilmente quest’episodio passerà alla storia per aver dato finalmente retta alle fan fiction riguardanti lo Sherlock della BBC. La bromance tra John e Sherlock viene messa in scena quando il famoso medico londinese rivela il suo amore nascosto per il brillante investigatore. Lungi dal voler fare una critica neanche troppo sterile alla serie, questa scelta giustifica parzialmente la caratterizzazione impressa da Royce Pierreson al suo Watson, ma dall’altra parte cozza con l’ambientazione, rallenta per l’ennesima volta il ritmo e non suscita nemmeno la reazione sperata.
BEA E JESSIE ALLA RISCOSSA
Con l’avanzare della trama alcuni tra i protagonisti emergono rispetto agli altri, grazie alla maggiore importanza rivestita. È il caso di Bea e Jessie, protagoniste in tutto e per tutto dello show, a differenza delle loro controparti maschili che ormai sono relegate al ruolo di comparse o macchiette in situazioni al limite del cringe. Assolutamente apprezzabile e bello il legame tra le due sorelle, pilastro portante che sta mandando avanti la storia a fatica.
L’altra faccia della medaglia però presenta delle gravi lacune tra i protagonisti maschili. Va benissimo il voler dare maggiore importanza al girl-power e alle Irregolari femminili, però Spike, Billy e Leo sono assolutamente impalpabili e tranquillamente dimenticabili. Ciò non giova certamente allo show, che dovrebbe fare del gioco di squadra e della molteplicità di protagonisti il suo punto forte per farli interagire e al tempo stesso intrattenere lo spettatore. Abbondano purtroppo siparietti al limite del ridicolo sulla scoperta della sessualità, che avevano già stancato nel pilot.
INVESTIGATORE O MEDIUM?
In fondo, dopo un’analisi accurata, giunti a un passo dalla fine, il vero problema de Gli Irregolari di Baker Street si può riassumere in uno solo: Sherlock Holmes non indaga. Probabilmente la prima opera in cui il celeberrimo detective del 221B non fa un’indagine investigativa. Anzi, ne viene fuori più come un medium, esperto del paranormale, che un consulente investigativo.
L’ambientazione e gli intenti, che possono ricordare il vecchio Piramide di Paura del 1985, sono del tutto decontestualizzati e fuori luogo. Nel film di Barry Levinson un giovane Holmes è calato in una storia a tinte horror che funziona, nella classica ricetta del film per ragazzini anni ’80 (vedasi I Goonies). Paradossalmente qui invece, non è il genere horror ad adattarsi alla figura di Sherlock ma viceversa. Il detective si snatura totalmente per adattarsi a una trama fuori dai suoi canoni, dove non c’è logica, non c’è razionalità ma solo demoni e visioni paranormali. Ad avere la peggio è il personaggio di Henry Lloyd-Hughes, totalmente stravolto e privato della deliziosa caratterizzazione donatagli da Arthur Conan Doyle.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Il risultato è che, portandolo ai giorni nostri, e sostituendo i personaggi di Holmes e Watson con due adulti qualsiasi, ne verrebbe fuori un teen-drama generico di Netflix. Nulla di nuovo, niente di originale. Occasione persa.
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Giovane musicista e cineasta famoso tra le pareti di casa sua. Si sta addestrando nell'uso della Forza, ma in realtà gli basterebbe spostare un vaso come Massimo Troisi. Se volete farlo contento regalategli dei Lego, se volete farlo arrabbiare toccategli Sergio Leone. Inizia a recensire per dare sfogo alla sua valvola di critico, anche se nessuno glielo aveva chiesto.