Dopo ben 4 episodi su 8, Tom Bidwell, la mente dietro The Irregulars, introduce finalmente il personaggio di Sherlock Holmes. Un filino in ritardo forse, data la pomposa campagna pubblicitaria e di promozione basata quasi esclusivamente sull’investigatore del 221B. La serie soffre di un problema palese visto che, come nel precedente “Capitolo Tre: Ipsissimus”, l’apparizione di un personaggio qualsiasi appartenente alla mitologia di Arthur Conan Doyle rappresenta un sospiro di sollievo per lo spettatore.
Dopo ormai 200 minuti di show lo spettatore ancora non è riuscito ad entrare in sintonia con i nuovi personaggi presentati, finendo per cercare rifugio in vecchie conoscenze (vedasi John Watson o Lestrade). La trama appare fin troppo confusionaria perdendosi tra poteri mistici paranormali senza apparente spiegazione, rituali satanici all’ordine del giorno e una Londra vittoriana in versione filtro bellezza di Instagram.
UN PRODOTTO SENZA TARGET
Durante la visione del “Capitolo Quattro” non è ancora chiaro l’intento de Gli Irregolari di Baker Street. La serie di Bidwell non è ancora né carne né pesce, bloccata nel limbo eterno tra lo young-adult leggero di formazione e lo splatter horror paranormale e demoniaco con frame disturbanti e inaspettati. La cosa non gioca certo a favore dell’autore, in quanto uno spettatore più adulto non riesce a prendere sul serio dinamiche infantili e/o adolescenziali, mentre un ragazzino potrebbe non appassionarsi a una trama impalpabile e mai in ritmo.
I momenti horror, presi ed estrapolati così come sono, funzionano. Il merito è tutto del reparto make-up, che sta fornendo un’incredibile sequenza di cadaveri dal tocco gotico. Anche la fotografia di Nick Dance, quando non esagera con le saturazioni e i paesaggi edulcorati, regala composizioni da far rabbrividire, ma il tutto si perde in uno schiocco di dita, a causa, per esempio, di una colonna sonora spesso inadeguata e del tutto incoerente.
TANTA VOGLIA DI CONAN DOYLE
Come già anticipato, verso il finale di puntata fa la sua comparsa colui che è il recurring più atteso sin dai primi trailer: Sherlock Holmes. Purtroppo, però, la presentazione non è delle migliori, riuscendo a sminuire il momento con una regia inesperta. Sin dall’inizio del “Capitolo Quattro” era nell’aria l’apparizione del detective inglese, costruendo anche un collegamento inedito con i protagonisti della serie. Tuttavia la scena finale rappresenta un vero e proprio anti-climax, in grado di banalizzare il volto di Henry Lloyd-Hughes (The English Game, Killing Eve) come un tossicodipendente qualsiasi su un marciapiede londinese.
Sorvolando anche su quella che potrebbe essere una sterile critica alla riscrittura dei personaggi, l’inserimento ex novo di elementi o relazioni, con annessi stravolgimenti delle personalità, riescono a rendere noiosi perfino personaggi come Watson e Mycroft. L’interesse dello spettatore nel vedere nuove versioni di personaggi cari viene meno a causa della trama, che li relega a mere comparse, oltre che ad una sceneggiatura non eccezionale (per usare un eufemismo). La caratterizzazione del dottor John Watson è eccessiva come villain secondario nella ricerca di Sherlock, mentre Mycroft, presentato nel cliffhanger precedente, si rivela poco utile ai fini dell’intreccio.
CLASSICA SERIE NETFLIX
L’impressione è quella di vedere l’ennesima serie originale Netflix fatta con lo stampino. Ci sono dei protagonisti giovani con le loro love story (condite da dialoghi pessimi) per appassionare una generazione ormai abituata a un determinato tipo di prodotto. La fotografia è come sempre molto curata e gli effetti visivi, oltre agli effetti speciali, sono semplicemente troppo per una sceneggiatura così pigra. Le interpretazioni dei cinque protagonisti non convincono quasi mai, sempre persi tra sguardi basiti e terrorizzati. Certamente non sono aiutati dal copione, che li mette in situazioni veramente inadeguate e inverosimili, concedendo battute banali o tremendamente imbarazzanti.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Anni fa, giunti al giro di boa, questo sarebbe un mid-season finale. Un momento per tirare le somme del prodotto, analizzando punti forti e problemi rilevati. Se si dovesse fare un ragionamento del genere dopo la visione di “Capitolo Quattro: Sia l’Ago che il Coltello” il risultato sarebbe una sonora bocciatura sia per la puntata in sé che per l’intero progetto.
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Giovane musicista e cineasta famoso tra le pareti di casa sua. Si sta addestrando nell'uso della Forza, ma in realtà gli basterebbe spostare un vaso come Massimo Troisi. Se volete farlo contento regalategli dei Lego, se volete farlo arrabbiare toccategli Sergio Leone. Inizia a recensire per dare sfogo alla sua valvola di critico, anche se nessuno glielo aveva chiesto.