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“Transizione”. Questa, per circa 65 minuti -sui 74 totali (anche questa volta, puntata di gran lunga superiore all’ora, come durata)- dell’episodio, è stata la parola che ronzava nella testa della persona che sta scrivendo mentre pensava a come descrivere al meglio “Wisdom Of The Horse”. Giunta al terzo appuntamento, infatti, Godless decide di non snaturare affatto la natura mostrata nelle due occasioni precedenti; anche questa volta, dunque, il ritmo non è stato certo frenetico. Questo non vuol dire, però, che si sia scaduti nella noia, anzi, tutta la realizzazione è stata molto valida, sia per quanto riguarda il comparto tecnico, che per quanto riguarda la sceneggiatura e interpretazione del cast nel suo complesso.
Potrebbe apparire strana, inizialmente, la scelta di far procedere con una velocità alquanto controllata una miniserie composta da sette episodi; in realtà (come è ovvio, in una produzione di questa importanza), procedere ad un’andatura più elevata sarebbe erroneo e perfino controproducente; il progetto iniziale, infatti, prevedeva un film della durata di tre ore. Pur considerando qualche inevitabile aggiunta, si può ritenere con relativa tranquillità che la storia da raccontare non sia esageratamente articolata (lo sarebbe potuto essere per una produzione di tre ore, ma di certo non per una di otto). Questo fatto permette, dunque, di sviluppare la trama con calma e metodo, concentrandosi non tanto sulla storyline principale, la quale è certamente importante ma da sola difficilmente basta a rendere un prodotto di alto livello (che è senza dubbio l’obiettivo di Godless), quanto sulla caratterizzazione dei personaggi, cosa quanto mai importanti, giunti al terzo episodio. Fino ad ora, infatti, l’unico character ad aver ricevuto un approfondimento degno di nota era stato Bill, del quale sono state mostrate tutte le sue debolezze ed il suo spirito, ormai fiaccato ma ancora non completamente domo che, unito ad una grande voglia di rivalsa nei confronti delle frasi di scherno che sente da anni, lo hanno portato ad intraprendere una missione praticamente suicida. Essendo la sua storyline dunque molto più avanti di quella degli altri, è stata sicuramente una scelta azzeccata quella di far apparire molto poco il personaggio interpretato da Scoot McNairy. L’aspetto ancora più lodevole, in tutto ciò, è che gran parte delle scene a lui dedicate sono perfettamente funzionali per far partire il focus principale (e quello meglio riuscito) di “Wisdom Of The Horse”, vale a dire quello relativo a Roy Goode.
Potrebbe apparire strana, inizialmente, la scelta di far procedere con una velocità alquanto controllata una miniserie composta da sette episodi; in realtà (come è ovvio, in una produzione di questa importanza), procedere ad un’andatura più elevata sarebbe erroneo e perfino controproducente; il progetto iniziale, infatti, prevedeva un film della durata di tre ore. Pur considerando qualche inevitabile aggiunta, si può ritenere con relativa tranquillità che la storia da raccontare non sia esageratamente articolata (lo sarebbe potuto essere per una produzione di tre ore, ma di certo non per una di otto). Questo fatto permette, dunque, di sviluppare la trama con calma e metodo, concentrandosi non tanto sulla storyline principale, la quale è certamente importante ma da sola difficilmente basta a rendere un prodotto di alto livello (che è senza dubbio l’obiettivo di Godless), quanto sulla caratterizzazione dei personaggi, cosa quanto mai importanti, giunti al terzo episodio. Fino ad ora, infatti, l’unico character ad aver ricevuto un approfondimento degno di nota era stato Bill, del quale sono state mostrate tutte le sue debolezze ed il suo spirito, ormai fiaccato ma ancora non completamente domo che, unito ad una grande voglia di rivalsa nei confronti delle frasi di scherno che sente da anni, lo hanno portato ad intraprendere una missione praticamente suicida. Essendo la sua storyline dunque molto più avanti di quella degli altri, è stata sicuramente una scelta azzeccata quella di far apparire molto poco il personaggio interpretato da Scoot McNairy. L’aspetto ancora più lodevole, in tutto ciò, è che gran parte delle scene a lui dedicate sono perfettamente funzionali per far partire il focus principale (e quello meglio riuscito) di “Wisdom Of The Horse”, vale a dire quello relativo a Roy Goode.
“But now it was you that had them. Seven men down in the time it takes to spit. And all dead before they even hit the ground. Except one.
I imagine they became real disenchanted after all of that and rode off. But of course they came back. It was over even before it started.”
Nelle scene iniziali dell’episodio, infatti, viene mostrato finalmente il momento del ferimento di Frank Griffin ad opera di Roy, il quale compie un vero e proprio miracolo riuscendo a tenere testa, da solo, ad una banda di criminali. Questi flashback sono importanti in quanto mostrano, per la prima volta sullo schermo, le grandi abilità che hanno reso Roy Goode tanto temuto. In questo modo, viene data una prima panoramica relativa a chi era Goode prima dell’arrivo a La Belle, e ciò rende molto più tridimensionale la caratterizzazione di questo personaggio, che nella timeline nella quale è ambientata la storia sta mostrando un altro aspetto di sé, molto più controllato e meno spietato.
Stando a quanto mostrato nelle scene di queste prime tre puntate, ma soprattutto in quest’ultima, non si è di fronte al classico criminale brutale e malvagio fino a midollo (per fare un paragone, questa descrizione sembra calzare molto meglio a Griffin) ma, anzi, ad un uomo disposto a mettere in secondo piano il suo onore, pronto ad essere umiliato pur di non far finire in una situazione di pericolo Truckee (non una cosa da poco per un uomo, specialmente per un bandito, di quel tempo e di quei luoghi) e che, nonostante le moltissime opportunità di fuga possibili, ha deciso di rimanere nel ranch, aiutare Alice e, nel frattempo, imparare a leggere e scrivere (ancora una volta, non certo un’attività in cima alla lista delle priorità del classico criminale western).
Questi aspetti positivi, sia chiaro, non indicano certo che Roy Goode sia un santo (ci mancherebbe altro), ed è molto probabile che, prima o poi, il suo lato oscuro rispunti fuori (anche perché lo scontro con Frank è inevitabile); tuttavia, si vuole far notare una caratterizzazione molto sui generis e delle sfaccettature che molto raramente si vedono in personaggi come lui.
Stando a quanto mostrato nelle scene di queste prime tre puntate, ma soprattutto in quest’ultima, non si è di fronte al classico criminale brutale e malvagio fino a midollo (per fare un paragone, questa descrizione sembra calzare molto meglio a Griffin) ma, anzi, ad un uomo disposto a mettere in secondo piano il suo onore, pronto ad essere umiliato pur di non far finire in una situazione di pericolo Truckee (non una cosa da poco per un uomo, specialmente per un bandito, di quel tempo e di quei luoghi) e che, nonostante le moltissime opportunità di fuga possibili, ha deciso di rimanere nel ranch, aiutare Alice e, nel frattempo, imparare a leggere e scrivere (ancora una volta, non certo un’attività in cima alla lista delle priorità del classico criminale western).
Questi aspetti positivi, sia chiaro, non indicano certo che Roy Goode sia un santo (ci mancherebbe altro), ed è molto probabile che, prima o poi, il suo lato oscuro rispunti fuori (anche perché lo scontro con Frank è inevitabile); tuttavia, si vuole far notare una caratterizzazione molto sui generis e delle sfaccettature che molto raramente si vedono in personaggi come lui.
“From now on, I’m the new sheriff of La Belle, New Mexico, and these here men are all my deputies.”
Se la parte dedicata a Roy e alle vicende del ranch hanno raggiunto in pieno l’obiettivo, lo stesso non si può dire a proposito di quanto accaduto a La Belle. In particolare, i due personaggi sui quali si è fissata maggiormente l’attenzione sono stati Mary-Agnes e Whitey Winn, ed entrambi non hanno convinto pienamente. Mary-Agnes, all’interno del gruppo delle vedove della città, è sicuramente una figura atipica, perché non sente affatto la mancanza degli uomini e perché ha un modo di fare molto più schietto. Queste sue peculiarità, però, non sono state sfruttate a dovere, visto che per molti tratti l’hanno resa un personaggio bidimensionale che, come reazione standard ad ogni avvenimento, tira fuori la pistola per minacciare qualcuno. La situazione è certamente migliorata durante le scene assieme a Callie (che, se non altro, cercano di mostrare anche un’altra prospettiva del suo temperamento) ma, in ogni caso, la sensazione è che si potrebbe fare molto di più con il suo personaggio.
Con Whitey, invece, il risultato nel complesso è più apprezzabile, anche perché le aspettative rivolte nei suoi confronti erano molto più basse rispetto a quelle riferite a Mary-Agnes; senza contare, poi, che il suo personaggio è stato inserito in situazioni molto più interessanti, come quella che ci ha permesso di vedere uno scorcio sulle tensioni tra bianchi e afroamericani che, in uno stato del Sud 20 anni dopo la guerra civile, era inevitabile fossero presenti. C’è, però, un aspetto sul quale si dovrà necessariamente lavorare: è vero che il suo personaggio non è certo stato creato per essere un eroe invincibile, ma spesso appare troppo in balia degli eventi, come se fosse un semplice spettatore. Con le giuste dosi, può rivelarsi senza dubbio un elemento funzionale alla narrazione ma, esagerando (come si è fatto in alcune occasioni) si rischia di scadere nella macchietta (stesso rischio corso con Mary-Agnes).
Con Whitey, invece, il risultato nel complesso è più apprezzabile, anche perché le aspettative rivolte nei suoi confronti erano molto più basse rispetto a quelle riferite a Mary-Agnes; senza contare, poi, che il suo personaggio è stato inserito in situazioni molto più interessanti, come quella che ci ha permesso di vedere uno scorcio sulle tensioni tra bianchi e afroamericani che, in uno stato del Sud 20 anni dopo la guerra civile, era inevitabile fossero presenti. C’è, però, un aspetto sul quale si dovrà necessariamente lavorare: è vero che il suo personaggio non è certo stato creato per essere un eroe invincibile, ma spesso appare troppo in balia degli eventi, come se fosse un semplice spettatore. Con le giuste dosi, può rivelarsi senza dubbio un elemento funzionale alla narrazione ma, esagerando (come si è fatto in alcune occasioni) si rischia di scadere nella macchietta (stesso rischio corso con Mary-Agnes).
Una bella scossa, per entrambi i personaggi, sarà data dall’arrivo di Ed Logan. Per questo motivo, si è fiduciosi sulla rapida risoluzione dei difetti sopra elencati.
Infine, non poteva mancare una piccola menzione a Frank Griffin che, pur apparendo soltanto nella scena finale, fa sempre una grande impressione e, cosa non da poco, uccide lo sceriffo Cook, rendendo la missione di Bill ancora più suicida. L’appello per i prossimi episodi, ovviamente, è uno solo: più Jeff Daniels, di tutto il resto non possiamo lamentarci.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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“Wisdom Of The Horse” è un altro ottimo episodio durante il quale Godless conferma tutte le sue potenzialità. Anche questa volta, però, un paio di difetti non ci permettono di dare la nostra benedizione, per cui Soderbergh & Co. dovranno accontentarsi di un caloroso ringraziamento.
The Ladies Of La Belle 1×02 | ND milioni – ND rating |
Wisdom Of The Horse 1×03 | ND milioni – ND rating |
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Romano, studente di scienze politiche, appassionato di serie tv crime. Più il mistero è intricato, meglio è. Cerco di dimenticare di essere anche tifoso della Roma.