Hand Of God 1×10 – The Tie That BindsTEMPO DI LETTURA 8 min

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“But I’m just not perfect. I’m a man.”

Una serie che ha oscillato per 10 episodi, in un’epoca in cui ancora ci sorprendiamo per la qualità che piattaforme come Netflix o Amazon sanno regalare. 10 episodi a domandarci se è stata effettivamente utile o meno una scelta narrativa piuttosto che un’altra; se il cliffhanger di un episodio sia servito solo per inserire pezzi di un puzzle oppure per portare avanti la storia. Non ci troviamo di fronte ad una serie accolta con squilli di trombe, bensì al risultato di quell’estremizzazione di democrazia televisiva quale è la produzione Amazon. Il cliffhanger del “Pilot” ha acceso la curiosità del pubblico, avendo così, a sua volta, la possibilità di centrare l’obiettivo di creare una storia che ci avrebbe raccontato il lutto, la fede, il misticismo e il mistero.
Questo finale non è perfetto, semplicemente perché il finale di una prima stagione non può e non deve essere perfetto. Si parla ovviamente di quella perfezione che spesso si ricerca in un series finale, dove ogni cerchio deve essere chiuso, ma che spesso pretendiamo anche nei season finale di una prima stagione. La 1×10 non vuole chiudere quasi niente (pur facendolo parzialmente) ma vuole essere l’episodio che precede l’eventuale 2×01, non perdendo la giusta dose di estetica dovuta all’essere finale di stagione, seppur relegando ciò nell’ultima sezione di episodio.
Hand Of God ha voluto chiudere un solo capitolo che potrà in futuro – forse – essere apprezzato in base ad un disegno più grande. La risoluzione di un mistero, la sorpresa finale, le derive di alcuni personaggi sono solamente un passaggio che va giudicato in quanto tale.

“That’s my stick. I’m gonna have my say.”

La trama di questo episodio appare dispersiva, forse quasi attendista in maniera irritante. Gli elementi dinamici che toccano la nostra curiosità – il mistero dello stupro di Jocelyn, le allucinazioni di Pernell, il rapporto Pernell/KD – vengono raggiunte di striscio per lasciare spazio a vicende laterali che potrebbero non destare un interesse primario. La riappacificazione familiare del sindaco Robert Boston, i colpi di scena (familiari anch’essi) di Tessie e la carriera religioso-televisiva di Paul e Alicia: queste sotto-trame ottengono conclusioni parziali delimitate, senza rivelare (se non in maniera parziale) la loro funzione in un unico grande disegno di trama.
Eppure va riconosciuto che l’apparente dispersione narrativa appare ben delimitata e separata in compartimenti stagni, posizionando così personaggi (comunque legati tra loro) in un nuovo nastro di partenza per ulteriori evoluzioni future. Grazie a questa netta separazione, arriviamo a comprendere che in fondo non erano poi così tante queste storyline parallele.
Avendo una complessiva visione della stagione, ora, qualche somma la si può tirare. La gravidanza di Alicia assume un valore nettamente simbolico (oltre ai risvolti futuri) in quanto Crystal, nel memorabile confronto con i due, svela finalmente la sua sofferenza per la quasi perdita dell’unico figlio. Sofferenza sempre nascosta dietro un velo di durezza e scaltrezza.
Meno incisivo nell’orbita Pernell/Crystal/Jocelyn/PJ è il riavvicinamento familiare di Bobo con il padre e con il figlio. Ma forse, tutto sommato, questa era veramente una storyline secondaria legata solamente all’affare con Brooks che si portava avanti da tutta la stagione.
La situazione di Tessie merita un discorso a parte. Il colpo di scena sulla sua maternità nascosta è stato ben piazzato, ma apparentemente fine a sé stesso. Ciò che interessa è la maternità rivelata nel finale, quando noi tutti pensavamo l’infermiera si stesse rivolgendo ad Alicia. Ipotizzando un coinvolgimento di Pernell in questa nuova gravidanza, la voglia di una seconda stagione inizia a lievitare.

“She said she’d never met PJ.”

Un mistero che contemporaneamente è stato risolto bene e male. La sofferenza lasciata trasparire da Paul e Alicia sgorga violenta in un feroce attacco omicida. Crystal, con orrore, scopre della relazione tra Anne e PJ, scopre la presenza del libro rubato, non riuscendo così a trattenere un protettivo istinto materno, misto all’esplosione della rabbia tanto repressa in precedenza, causa una delicata situazione da gestire. Anche lei arriva a sporcarsi le mani, quindi. Anche lei è entrata nel club di Pernell e KD. Da sottolineare come il tutto si svolga in maniera mai troppo ridondante, senza strafare, con l’utilizzo di poche scene, ignorando momenti decisivi (l’omicidio di Anne, la chiamata a KD). E adesso Crystal è compromessa: ancora non ci è dato sapere quanto.
Il difetto della risoluzione del mistero (da non escludere che sia finito qui – nel primo episodio si parlava di un’organizzazione che aveva assoldato i poliziotti) sta nella figura di Anne. Personaggio mai veramente approfondito (al contrario di altri), distinguibile dalla massa per il suo accento british, protagonista di scene di dubbio interesse riguardanti gli affari del sindaco. Nel momento in cui si è scoperto di una misteriosa amante di PJ, era facile pensare al primo personaggio femminile mai troppo approfondito. Nel voler chiudere un primo capitolo, magari per aprire in futuro porte ben più importanti, si è arrivati ad Anne con troppa facilità. Quale persona che si sente seguita sì alza in un luogo aperto e pubblico lasciando la borsa da una parte? Perché invitare poi in casa la madre dell’ex-amante in coma, tenendo poi in bella vista una foto dei due? Per non parlare dell’aver dato le spalle in maniera così leggera ad una donna disperata, sul punto di scoprire un brutto segreto, così come sul punto di esplodere.
La chiusura fin troppo precisa del mistero ha quindi stonato con l’ampio respiro dato alla serie, lasciando a noi spettatori la possibilità di speculare. La logica, ma solo quella, ci suggerisce che il mistero dello stupro è tutt’altro che finito, ben pochi elementi – per lo meno in questo episodio – ce ne danno conferma. Tutto questo ovviamente non toglie nulla alla fantastica realizzazione della sequenza del confronto tra Anne e Crystal.

“Hallelujah!”

Sulla falsa riga della buona realizzazione di una soluzione telefonata, così si pone l’ambiguo cliffhanger finale. È soggettivo il considerare telefonato o meno un colpo di scena, tuttavia un semplice elemento ci poteva già suggerire il miracoloso finale. La 1×01 terminava con la confessione del morente agente Shane. Per gran parte dell’episodio Pernell&KD sembravano due invasati in preda al delirio. Mossi dal delirio, quindi, se la prendevano con un innocente (all’apparenza). Eppure, alla fine, il delirio sotto forma di voce divina non si rivela più tale, dando ragione ai segnali mistici. Dove lo spettatore è spinto a guardare in forma materialistica, quindi, si nasconde in realtà lo spirituale. Temi come aborto ed eutanasia vengono scartati, rimandati ed esclusi, spingendoci sempre di più, fino a fine stagione, a guardare il tutto con un occhio cristiano. Per questo motivo la rinuncia alle allucinazioni di Pernell, durante la stagione, inducono lo stesso tipo di sofferenza allo spettatore che avveniva quando Walter White e Jesse rompevano momentaneamente la loro società.
E così, banalmente citando Breaking Bad, il respiro di PJ, nel finale, rappresenta il “Wanna cook?” definitivo, e a Pernell, e a noi spettatori. Si può essere credenti o no, ma nell’universo narrativo di Hand Of God qualcosa di superiore c’è ed è questo enorme mistero che sopraggiunge prepotente nella narrazione. Come nelle serie di gangster lo spettatore diviene a sua volta un criminale, parteggiando per l’illegalità nel solo momento dell’alienazione davanti lo schermo, così lo spettatore di HoG, quale che sia il suo credo, durante la visione della serie, diviene credente.
Ed ecco perché il finale era annunciato. Il mistero dello stupro di Jocelyn è stato risolto (?) e come promesso PJ si sveglia (forse: il suono finale prima dei titoli lascia una libera interpretazione) da quello che era un coma irreversibile. Quindi, come nella 1×01, quando la razionalità (degli spettatori o dei personaggi, che sia) sta prendendo piede, un segno divino si affaccia prepotente.
Indubbiamente gli sceneggiatori si sono cautelati alla possibilità di una cancellazione, chiudendo diversi cerchi, mantenendo comunque un finale aperto che non avrebbe mai e poi mai sfigurato in un lungometraggio. La possibilità che la serie possa cambiare registro, in una seconda stagione, non è così remota. Un possibile risveglio di PJ, le conseguenze degli omicidi di Pernell/KD e Crystal, le gravidanze di Tessie e Alicia: le tematiche non mancano, purché vengano portate avanti dalle vere protagoniste di Hand Of God che sono fede e spiritualità, inserite in un contesto corrotto, ambiguo, amorale e tremendamente contemporaneo.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Realizzazione della scena finale
  • Apertura a nuove trame future, pur regalando alcune chiusure, dovesse finire tutto così
  • Confronto Crystal/Anne prima e Crystal/Pernell poi
  • Ritorno di KD all’ovile, dopo le giuste frustate a Pernell
  • Inutile colpo di scena di Tessie madre anziché sorella, ma veramente inaspettato
  • Interpretazione di Dela Delany
  • Ron Perlman in tutto e per tutto
  • Personaggio di Anne che era troppo ambiguo per non rivelarsi importante
  • Tutto troppo semplice nella rivelazione di Anne, a partire dalla borsa lasciata incustodita
  • Veramente inaspettato colpo di scena di Tessie madre anziché sorella, ma abbastanza inutile

 

Il non essere un finale memorabile, da strapparsi i vestiti e urlare al capolavoro in preda a deliri estatici è un buon segno. Ci lascia ancora con un vago languorino, senza la sazietà di quei finali esplosivi che ci portano a dire: “per me la possono anche finire qui”.
Tra tante stelle che stanno brillando nel firmamento televisivo, verso cui le attenzioni sono tutte rivolte, nell’oscurità e in silenzio, lontano dalle voci e dal baccano generale, si è acceso un lumicino. Speriamo non si spenga.

 

A Flower That Bees Prefer 1×09 ND milioni – ND rating
The Tie That Binds 1×10 ND milioni – ND rating

 

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Approda in RecenSerie nel tardo 2013 per giustificare la visione di uno spropositato numero di (inutili) serie iniziate a seguire senza criterio. Alla fine il motivo per cui recensisce è solo una sorta di mania del controllo. Continua a chiedersi se quando avrà una famiglia continuerà a occuparsi di questa pratica. Continua a chiedersi se avrà mai una famiglia occupandosi di questa pratica.
Gli piace Doctor Who.

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