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Dopo un inizio di stagione abbastanza convincente, Homeland subisce una brusca battuta d’arresto e ci regala “Rebel Rebel”, episodio che cerca (con scarsi risultati) di nascondere dietro la fisiologica transitorietà insita nel secondo appuntamento stagionale la sua reale natura di filler. La trama compie piccoli passi avanti, più che altro consolidando quanto già visto nella premiére e, a parte donare nuovamente la libertà a Saul, l’episodio non offre nulla di nuovo (o significativo) allo spettatore.
In realtà in alcuni momenti pare addirittura di rivivere le medesime dinamiche proposte una stagione sì e l’altra pure, con la protagonista divisa tra lavoro e famiglia e minacciata dallo spettro di un possibile ritorno del suo disturbo mentale. A rincarare la dose, in questa occasione, giunge un inaspettato ricatto da un tizio qualunque intercettato su 4chan, intenzionato a diffondere il contenuto dell’hard disk di Carrie nel caso la donna si rifiutasse di esaudire le sue richieste. Segmento che, in maniera abbastanza deludente, si esaurisce a fine episodio e tra l’altro nel modo più scontato in assoluto, col giovane hacker pestato a sangue a causa della sua libido incontrollabile e dalla sua totale assenza di raziocinio. Sebbene il ragazzo non fosse effettivamente a conoscenza della vita professionale di Carrie, i dati presenti sull’hard disk avrebbero quantomeno dovuto far suonare un campanello nella sua testa, senza contare che forse avrebbe potuto condurre qualche ricerca in più sulla vittima prima di presentarsi a volto scoperto ad un incontro con una perfetta sconosciuta visibilmente intenzionata a fregarlo. Stendendo un velo sull’espediente della cerniera incastrata, è innegabile la soddisfazione nel vedere il ragazzo pestato a sangue; soddisfazione che però termina precocemente esattamente come lo stesso segmento narrativo, tentativo autoriale discretamente impacciato di buttare nel pentolone temi quali la sicurezza informatica, i bitcoin e la tutela della privacy.
Protagonisti dei segmenti narrativi più interessanti sono invece Saul e O’Keefe, ai lati opposti della barricata, il primo nominato consigliere personale del Presidente solo ed esclusivamente per motivi di comodo, così da scongiurare la crisi nazionale instaurando una temporanea tregua tra leader del paese ed elettorato, il secondo rintanato in un vero e proprio covo di rivoluzionari estremisti, i quali certamente porteranno guai. Forse un po’ troppo didascaliche le scelte compiute dagli autori, a partire dal tatuaggio sul braccio del ragazzo o dalla foto del Presidente utilizzata come bersaglio, così come la scelta di mostrare un O’Keefe incapace di utilizzare una pistola, così da metterne in evidenza l’evidente distacco rispetto al gruppo di lunatic fringe che gli sta dando asilo, ma nel complesso la storia funziona, spingendo quantomeno lo spettatore a chiedersi dove porterà l’intera faccenda.
Inutile dire che la serie dovrà cercare di fare meglio per riuscire a mantenere alto quell’interesse catturato nella premiére, evitando ulteriori parentesi fini a se stesse e valorizzando invece quei segmenti narrativi che mostrano una maggiore consonanza con i temi d’attualità. Homeland è certamente uno dei migliori drama fantapolitici in circolazione, frutto dell’ottima commistione tra intrattenimento e riflessione su questioni scomode legate al panorama politico contemporaneo, ma il suo vero punto di forza (e al contempo punto debole) sta da sempre nella scrittura, estremamente altalenante e in grado, nel giro di una manciata di episodi, di portare lo show dal picco d’interesse più alto a quello più basso, e questi primi due episodi stagionali rappresentano la prova inconfutabile di quanto appena detto.
In realtà in alcuni momenti pare addirittura di rivivere le medesime dinamiche proposte una stagione sì e l’altra pure, con la protagonista divisa tra lavoro e famiglia e minacciata dallo spettro di un possibile ritorno del suo disturbo mentale. A rincarare la dose, in questa occasione, giunge un inaspettato ricatto da un tizio qualunque intercettato su 4chan, intenzionato a diffondere il contenuto dell’hard disk di Carrie nel caso la donna si rifiutasse di esaudire le sue richieste. Segmento che, in maniera abbastanza deludente, si esaurisce a fine episodio e tra l’altro nel modo più scontato in assoluto, col giovane hacker pestato a sangue a causa della sua libido incontrollabile e dalla sua totale assenza di raziocinio. Sebbene il ragazzo non fosse effettivamente a conoscenza della vita professionale di Carrie, i dati presenti sull’hard disk avrebbero quantomeno dovuto far suonare un campanello nella sua testa, senza contare che forse avrebbe potuto condurre qualche ricerca in più sulla vittima prima di presentarsi a volto scoperto ad un incontro con una perfetta sconosciuta visibilmente intenzionata a fregarlo. Stendendo un velo sull’espediente della cerniera incastrata, è innegabile la soddisfazione nel vedere il ragazzo pestato a sangue; soddisfazione che però termina precocemente esattamente come lo stesso segmento narrativo, tentativo autoriale discretamente impacciato di buttare nel pentolone temi quali la sicurezza informatica, i bitcoin e la tutela della privacy.
Protagonisti dei segmenti narrativi più interessanti sono invece Saul e O’Keefe, ai lati opposti della barricata, il primo nominato consigliere personale del Presidente solo ed esclusivamente per motivi di comodo, così da scongiurare la crisi nazionale instaurando una temporanea tregua tra leader del paese ed elettorato, il secondo rintanato in un vero e proprio covo di rivoluzionari estremisti, i quali certamente porteranno guai. Forse un po’ troppo didascaliche le scelte compiute dagli autori, a partire dal tatuaggio sul braccio del ragazzo o dalla foto del Presidente utilizzata come bersaglio, così come la scelta di mostrare un O’Keefe incapace di utilizzare una pistola, così da metterne in evidenza l’evidente distacco rispetto al gruppo di lunatic fringe che gli sta dando asilo, ma nel complesso la storia funziona, spingendo quantomeno lo spettatore a chiedersi dove porterà l’intera faccenda.
Inutile dire che la serie dovrà cercare di fare meglio per riuscire a mantenere alto quell’interesse catturato nella premiére, evitando ulteriori parentesi fini a se stesse e valorizzando invece quei segmenti narrativi che mostrano una maggiore consonanza con i temi d’attualità. Homeland è certamente uno dei migliori drama fantapolitici in circolazione, frutto dell’ottima commistione tra intrattenimento e riflessione su questioni scomode legate al panorama politico contemporaneo, ma il suo vero punto di forza (e al contempo punto debole) sta da sempre nella scrittura, estremamente altalenante e in grado, nel giro di una manciata di episodi, di portare lo show dal picco d’interesse più alto a quello più basso, e questi primi due episodi stagionali rappresentano la prova inconfutabile di quanto appena detto.
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“Rebel Rebel” non fa altro che enfatizzare i difetti oramai connaturati alla serie da anni, regalando nient’altro che un episodio filler in un momento in cui si poteva cercare di premere sull’acceleratore; a maggior ragione tenendo conto del buon inizio di questa settima stagione. Questa settimana dunque la serie si merita il nostro personalissimo schiaffo, giudizio che comunque porta con sé una speranza: quella di chiudere a breve questa noiosissima parentesi interlocutoria.
Enemy Of The State 7×01 | 1.22 milioni – 0.3 rating |
Rebel Rebel 7×02 | 1.12 milioni – 0.3 rating |
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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.