“You don’t deserve to be in the White House.”
House Of Cards avanza con il suo lento andamento, cadenzato da improvvisi sussulti e da sonnolente atmosfere claustrofobiche. Il dialogo, il monologo, la parola e il discorso la fanno da padroni. Gli sviluppi di trama sposano perfettamente l’arte dell’oratoria, indispensabile in politica. Arte dell’oratoria che, in House Of Cards, è costituita da minacce, ricatti, sporchi giochi di potere e machiavelliche cospirazioni.
La struttura di quella che fu la prima serie originale della piattaforma Netflix – in Italia su Sky, vabbè – non permette di discriminare, al binge watcher, la linea di demarcazione tra un episodio e l’altro. Un obiettivo quasi sempre prevedibile – quando non stravolto da violenti colpi di scena come spesso è capitato – è lì, all’orizzonte, bisogna sbrogliare solo una serie di fili sceneggiativi per toccarlo (Francis Vicepresidente, poi Presidente, poi contrasti moglie-marito, poi Claire Presidente). Ciò che deve accadere, quasi sempre, accade.
Ed è proprio per questo che “Chapter 59” riesce ad essere un episodio contemporaneamente brillante e grottesco. Geniale caricatura e “miniatura” della serie in sé, due sono gli aspetti in cui occorre focalizzare l’attenzione per motivare quanto affermato.
Claire Presidente
La nomina di Claire a Presidente ad interim, come detto, era qualcosa di abbondantemente prevedibile (non con un’accezione negativa del termine), era un volto della serie che prima o poi sarebbe dovuto essere mostrato. Eppure, proprio per questo motivo, vedere Claire nella stanza ovale e, in generale, a ricoprire i ruoli appartenenti alla sua nuova carica ha anche il sapore di un qualcosa di forzato. L’impressione è quella di una variazione sul tema, un divertimento. Se House Of Cards fosse una serie più scanzonata e sperimentale, si potrebbe pensare al classico episodio what if, quasi una parodia in cui si gioca sulla ricombinazione di elementi familiari al pubblico.
Si potrebbe obiettare: ma per far arrivare Claire lì dove è arrivata sono state tessute trame che partono per lo meno dalla clamorosa separazione dei due coniugi Underwood alla fine della terza stagione, non certo un qualcosa buttato lì a caso. Verissimo. Ma tanto per aumentare un po’ la schizofrenia di chi vorrebbe farsi un’idea leggendo questa recensione, si potrebbe anche girare il tutto: per creare la simpatica variazione sul tema di cui sopra sono stati smossi mari e monti.
Un aspetto è indubbio: negli ultimi anni sono state create delle serie tv capaci di toccare la politica in maniera molto più reale e verosimile, anche giocando con il paradosso e, addirittura, la fantascienza (come il compianto BrainDead). Accettato che House Of Cards non voglia essere una rappresentazione fedele dell’attualità, bensì un dramma che sfrutta istituzioni reali per raccontare la storia di due personaggi fuori dal comune, a quel punto perplessità come quelle sopra esposte perdono totalmente peso.
Il bunker
Sarà l’episodio intermedio della stagione, ma questa volta House Of Cards smentisce la sua natura di filo ininterrotto. Il cinquantanovesimo capitolo ha la struttura che si potrebbe individuare in una serie tv di stampo maggiormente classico. Durante l’episodio avviene un evento che porta i personaggi a stare chiusi in un luogo confinato. Tale evento è delimitato nell’arco dell’episodio stesso e porta Francis, a fine episodio, a dare una svolta alla trama, proprio come conseguenza della situazione presente nella 5×07.
Anche in questo caso, il falso allarme terroristico è solo uno dei tasselli che vanno a costruire la macrostoria di questa quinta stagione, tuttavia si crea l’illusione di una proceduralità. Come se tutti e 13 gli episodi avessero trame verticali destinate ad alimentare una più grande trama orizzontale. Così non è, chiaramente. L’effetto, tuttavia, crea il giusto stacco dalla straziante (non con un’accezione negativa del termine) continuità della trama.
Da dove nasce però, da questo aspetto, la caricatura e “simbolizzazione” della serie di cui si parlava? In questo caso il risultato è ben più lusinghiero della variazione sul tema dettata da una Claire Presidente. Il disagio estremo che lo spettatore prova insieme ai personaggi, chiusi in un sotterraneo di sicurezza, è l’estremizzazione della tessitura narrativa che ha sempre avuto House Of Cards.
Concentrati in poche stanze, i personaggi esplicitano tutta la loro insofferenza per un’ambigua situazione politica, una vacillante situazione estera e un vuoto di potere niente male. I dialoghi sono brevi ed isterici. Praticamente è un avanti veloce di quello che si vede per esteso in un’intera stagione.
Risulta chiaro che un giro di boa così simbolico ma anche esplicito nei suoi sviluppi, soprattutto nelle reazioni dei personaggi (il litigio iniziale tra Claire e Francis, Francis che butta il busto per terra, la tensione palpabile), stia aprendo le porte verso il canto del cigno di questa fase di potere degli Underwood. La velocità di questo processo ovviamente dipende da quanto si vorrà far andare avanti la serie. Sicuramente un po’ di montagne russe non guasterebbero al ritmo del tutto, soprattutto ora che tutti e due hanno raggiunto il massimo cui potessero ambire a livello di potere. E anche la vittoria alle elezioni potrebbero essere cosa scontata viste le condizioni del povero Conway.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Chapter 58 5×06 | ND milioni – ND rating |
Chapter 59 5×07 | ND milioni – ND rating |
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Approda in RecenSerie nel tardo 2013 per giustificare la visione di uno spropositato numero di (inutili) serie iniziate a seguire senza criterio. Alla fine il motivo per cui recensisce è solo una sorta di mania del controllo. Continua a chiedersi se quando avrà una famiglia continuerà a occuparsi di questa pratica. Continua a chiedersi se avrà mai una famiglia occupandosi di questa pratica.
Gli piace Doctor Who.