Person Of Interest 4×10 – Cold WarTEMPO DI LETTURA 6 min

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Con questo mid-season finale Person Of Interest ci dimostra ancora una volta di essere una grande serie tv e di avere ancora molto da dare e dire. Con forza e vigore la creatura di Jonathan Nolan confeziona un episodio senza pari e con pochissime, per non dire nessuna, sbavature; “Cold War” dichiara con tutto sé stesso che da oggi nulla sarà uguale a prima: “It has begun“.
L’abbiamo aspettato, atteso, voluto e desiderato e finalmente è accaduto: l’incontro/scontro tra Samaritan e The Machine. Due interfacce, due volti, due fisicità per rappresentare due Divinità diverse e agli antipodi. Da una parte Root, dall’altra un bambino – metafora di una divinità giovane pronta ad “insediarsi”. Nella mitologia greca e romana la Divinità ha fragilità tutte umane e la stessa cosa vale per queste, fantascientifiche invece. Se The Machine sa di essere in ginocchio, è “spaventata” per ciò che accadrà al suo esercito umano, Samaritan è pieno di sé stesso, convinto di avere il mondo ed il potere in pugno anche per via della sua legittimazione conferitagli dal Congresso degli States. Da una parte il codice morale, dall’altra il desiderio di controllo. Da una parte una divinità che conserva e protegge, dall’altra una che “tutto muove e tutto puote”, pronta a distruggere tutto ciò che le capita a tiro pur di raggiungere il suo obiettivo primario. Da una parte c’è The Machine che accoglie e salva combattendo per la libertà dell’umanità intera pur controllandola quando ce n’è bisogno, dall’altra c’è Samaritan che, convinta che l’umanità abbia bisogno del pugno di ferro, della sorveglianza più dura e severa, è pronta a spazzare via tutto.
Il suo progetto è quello di far crollare il mondo, smuovendo esso e la sua controparte positiva, alternando il Caos all’Ordine. E’ chiaro siamo vicini allo scontro finale, e come dice l’avatar attraverso il quale Samaritan parla, “I’m a God” – e tutto il genere umano crederà in Lui – e se già lo avevamo percepito negli scorsi episodi, qui è lampante: prima la pace, poi il disagio più totale, morte, incidenti. Ora il cielo non è più nuvoloso, non c’è più la quiete, ora c’è la tempesta.
Le due divinità sono scese in guerra ed il team di The Machine sembra oramai impotente, privo di strumenti e anche di uomini, ma questo può bastare per decretare la vittoria di Samaritan? Il gruppo di Finch e Reese continuano a lottare contro i loro cloni al negativo dall’altra parte mentre sguazzano nella cloaca in cui si trovano. Il termine “cloni al negativo” non è usato a caso perchè, se ci fate caso, il braccio armato di Samaritan è stato costruito sulla base del braccio armato della Machine:

  • John Greer/Harold Finch: le teste pensanti di ciascun gruppo e gli unici che si interfacciano con sistemi informatici e con le rispettive divinità (anche se Finch solo tramite cabine telefoniche)
  • John Reese/Jeremy Lambert: entrambi sono considerati come coloro che gestiscono attivamente e direttamente le operazioni sul campo, due personalità che riflettono prima di premere il grilletto al contrario delle rispettive compagne
  • Sameen Shaw/Martine Rousseau: due donne che prima sparano e poi fanno domande, entrambe con alle spalle una scia di cadaveri non indifferenti ed entrambe molto restie a starsene in panchina ad osservare gli eventi
  • Root/Gabriel Hayward: a questo punto della serie possono essere considerati a tutti gli effetti come gli avatar umani delle rispettive Divinità, Root per The Machine mentre il piccolo Hayward per Samaritan
La contrapposizione dei due team è studiata per accoppiare adeguatamente ogni character in puro stile fumettistico, un modus operandi che serve a creare delle piccole faide tra ciascun personaggio che esaltino anche la trama principale per via indiretta. Inutile dire che la cosa funziona, e funziona pure bene e raggiunge il suo apice nella trasposizione del film “The Human Centipede” fatta in stile Person Of Interest tra i banchi della chiesa. Magari la scena sarà pure poco credibile ma il risultato e l’effetto che suscita legittima totalmente lo script.
“Cold War” non è solo un midseason ma è anche l’inizio di un’altra winter trilogy che ci viene riproposta ad un anno esatto dalla prima trilogia (Parte 1, Parte 2, Parte 3) che si focalizzava sulla compianta Joss Carter e HR. La contrapposizione del focus fatto per ciascuna trilogia ha una sua spiegazione razionale e risiede nelle storyline che si è deciso di trattare precedentemente: se la scorsa stagione c’era un focus sui problemi macroscopici dell’universo narrativo di POI (Vigilance e Decima Technologies) ed un trittico di episodi che trattava una storyline a livello microscopico, al contrario questa prima parte di stagione si è sviluppata molto la parte microscopica (Brotherhood ed Elias) e per contraltare la winter trilogy si pone ad un livello macroscopico (Samaritan VS The Machine). C’è quindi da tenere in considerazione che la visione di “Cold War” deve essere valutata sia singolarmente ma soprattutto nell’ottica di una storia in tre parti che, come dimostra l’ultima inquadratura, è stata solo alla prefazione attualmente.
Di per sè il team Samaritan non ha mai avuto una grande caratterizzazione, cioè conosciamo Greer, molto poco gli altri membri, ma effettivamente del diretto “clone negativo” di Finch sappiamo veramente poco ma a questo viene posto rimedio in questo episodio al fine di dare anche maggiore tridimensionalizzazione al big bad in questione. Comprendiamo meglio la statura di Greer nei flashback che lo riguardano, siamo catapultati nel 1973 – interessante la ricostruzione dell’ambientazione e dell’atmosfera tipica delle storie di spie e spionaggio. Siamo in piena Guerra Fredda e non ci stupisce dunque che uno dei villain più riusciti di questa quarta stagione sia quello che è oggi, nel 2014. “We are all men without a country now” dice nel 1973, oggi è compiaciuto e sornione quando comprende che il volto dell’altro dio si sta sgretolato e sta precipitando dall'”Olimpo” e sono parole chiarificatrici quelle di Root: “there are little differences between gods and monsters“, la risposta è già presente in questa frase.
Di base “Cold War” affonda a piene mani in una delle tematiche più affascinanti e sviscerate: quanto è libero l’uomo sotto “l’egida” della Divinità? Da sempre, in tutte le mitologie e non, si è trattato l’argomento, misurando, alle volte centellinando, la libertà individuale. E la questione diventa ancora più complessa quando si parla di Intelligenze Artificiali. Attraverso Root, The Machine dimostra il suo desiderio di controllare un uomo libero, Samaritan invece “aggredisce” un uomo – di cui prima di tutto non ha né stima né rispetto, perché “esiste” in un mondo dominato dall’orrore, dalla corruzione e dalla povertà – che deve essere pedina nelle sue mani. Esplode dunque il timore per ciò che potrà accadere – Finch ha sempre guardato con sospetto la sua stessa “creatura” -, per quella che sarà la sorte dei nostri – Shaw è fuggita dal nascondiglio, mettendo a repentaglio la sua stessa vita – e dell’umanità tutta. E se questa era solo la prima parte della trilogia, viene la pelle d’oca a pensare cosa ci aspetterà da “If-Then-Else” e “Control-Alt-Delete”.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Il giovane Greer
  • Il dialogo tra Root ed il bambino a.k.a. Samaritan
  • “It has begun”
  • Riebolarazione dello “human centipede” a base di pistole tra i banchi della chiesa
  • Forse esageratamente eccesiva la scelta di usare un bambino come avatar di Samaritan

 

“Cold War” rappresenta una delle vette più altre di questa stagione di Person Of Interest a cui purtroppo si contrappone l’ingloriosa palma di essere stata anche l’episodio meno visto di sempre. Onestamente non ci può essere una spiegazione razionale per questo, tuttavia c’è per il voto che è stato dato tenendo conto dell’altissimo potenziale delle prossime due puntate e pertanto è stato scelto di dare 4,5/5 solo per avere un margine per premiare, se ce ne sarà bisogno, le successive.

 

The Devil You Know 4×09 9.68 milioni – 1.6 rating
Cold War 4×10 8.9 milioni – 1.3 rating

 

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