Il “problema” di dover recensire un telefilm puntata per puntata, e non la stagione completa, è ovviamente quello di non poter avere del materiale tra le mani che permette ai recensori di commentare l’evoluzione della serie nel corso della stagione. Ergo, quando la trama procede (sia nel bene che nel male) ci si deve purtroppo affidare a speculazioni, ipotesi e teorie per capire (e carpire) il suo andazzo. Prendiamo Preacher stesso come esempio.
Uno dei grandi difetti di questa stagione è stato quello di non avere impostato una trama precisa e consistente fin dall’inizio, cosa che ha creato nello spettatore (abituato ad aver fin da subito chiare le intenzioni dei personaggi) sufficiente disagio pari a quello di ritrovarsi coinvolto in un discorso di cui non si hanno le competenze e le conoscenze necessarie per dire qualcosa al riguardo. Anche se poi la serie AMC ha trovato il suo equilibrio, gli svolgimenti visti finora erano comunque una parentesi che anticipavano svolte narrative più importanti e che tardavano ad arrivare; eventi, insomma, utili solo per temporeggiare e che allontanavano il pubblico da ciò che voleva veramente: una trama. Arrivati al season finale ci si rende conto di come questa scelta, anche se sofferta, si sia rivelata vincente sotto due principali punti di vista (con questo non si vuole dire che, improvvisamente, ci si rimangia tutte le critiche mosse al nuovo serial comics di casa AMC, anzi, tutt’altro: quelle critiche ci sono e valgono ancora oggi come ieri). Al termine della visione di “Call And Response”, si realizza che ne è valsa la pena soffrire in termini di noia e torpore un po’ all’inizio, per poi essere ripagati per la pazienza in seguito.
Conclusa questa prima annata si può notare non solo un grande rispetto riguardo alla fedeltà di eventi e di spirito della serie partorita dalla premiata ditta Garth Ennis/Steve Dillon, ma anche una certosina programmazione per adattare anche il concetto di serialità e traslare le leggi fumettistiche in quelle televisive (senza ovviamente snaturarle), sopratutto considerando che la serie fumettistica di Preacher venne pubblicata tra il 1995 e il 2000, lustro in cui i telefilm muovevano i loro primi timidi passi verso l’evoluzione odierna. I tempi narrativi sono diversi per i due media e, con “Call And Response”, si viene definitivamente a patti con la cosa, sopratutto grazie al risultato finale; nel caso di Preacher, quello che nel fumetto era l’inizio, nella serie è stata la fine ed ha funzionato alla grande, sia a livello di narrazione, sia a livello di marketing.
A livello narrativo, non solo abbiamo la conferma di quanto detto nelle prime recensioni riguardo al fatto che questa stagione è più una “stagione zero” o un “episodio pilota lungo dieci ore”, ma abbiamo anche la trama: Dio è scappato dal Paradiso e tocca al trio protagonista andare a riprenderselo in una missione uguale e contraria a quella dei Blues Brothers.
La trama generale presentata dopo lunghi episodi di caratterizzazione dei personaggi, e sopratutto trasformata da concetto base nel fumetto a cliffhanger di fine stagione, ha finito per caratterizzare le future stagioni e l’intera serie anche, se non totalmente, grazie alla distruzione di Annville che conferisce a questa svolta narrativa ancora più importanza trasformandolo in un punto di non ritorno. La location di Annville, infatti, si pone come un luogo di origini e formazione ma ora che è distrutto e molti dei personaggi cardine di questa stagione – come Odin Quincannon – sono morti, però, preclude qualsiasi strada ad eventuali “ritorni alle origini” della serie, permettendo (grazie alle caratteristiche da road movie che Preacher promette di accorpare al suo arsenale) al serial di diventare un telefilm in continua evoluzione.
A livello di marketing, qualcuno potrebbe recriminare agli showrunner la scelta di aver interrotto tutto sul più bello ma, come diceva Dan Slott in una recente intervista sul suo operato nella serie fumettistica “The Amazing Spider-Man”, spiegando alcune leggi non scritte della serialità: “Tutte le migliori storie serializzate consistono nello stuzzicare il lettore mostrandogli quel che desidera, per poi fargli vedere le conseguenze. In poche parole, dai loro sempre quello che vogliono, ma non nel modo che vogliono loro“. Quindi, strategicamente parlando, concludere Preacher rivelando quello che agli spettatori è stato nascosto fin dall’inizio è stata una manovra di marketing perfetta, anche perché, così facendo, si è trasformata la premiere della seconda stagione in un appuntamento imperdibile. E giusto perché non ci si voleva far mancare nulla, alcune delle storyline portanti della prima stagione non sono arrivate alla conclusione, così da lasciare qualche compitino da svolgere ai nuovi arrivati.
Purtroppo, anche in questo gaio momento di giubileo, qualcosa fa storcere il naso e non sono le trame lasciate volutamente in sospeso, quanto più la spiegazione dietro la distruzione di Annville. Per quanto narrativamente giustificata, i motivi sembrano decisamente forzati poiché gli showrunner dovevano tenersi in qualche modo buona Annville per una stagione intera e non potevano permettersi la previa distruzione nel pilota, quando Jesse si fonde con Genesis. Il problema è che, come dice il detto, “ogni lasciata è persa” e l’esplosione è sembrata abbastanza campata in aria; tanto valeva far dire al telegiornale della tavola calda in cui Jesse e gli altri mangiano: “Annville è esplosa per motivi di sceneggiatura” e forse sarebbe stato tutto molto più onesto.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Finish The Song 1×09 | 1.56 milioni – 0.6 rating |
Call And Response 1×10 | 1.72 milioni – 0.6 rating |
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