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All The Beauty And The Bloodshed – Tutta la Bellezza e il Dolore

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La vita dell’artista Nan Goldin e la caduta della famiglia Sackler, la dinastia farmaceutica, che fu grandemente responsabile dell’insondabile bilancio delle vittime dell’epidemia di oppioidi.

 

All the Beauty and the Bloodshed è l’ultimo lavoro documentaristico di Laura Poitras vincitore del Leone d’Oro a Venezia quest’anno. Si tratta di un documentario strutturalmente differente rispetto ai precedenti lavori della Poitras, nonostante mantenga la chiara ossatura d’inchiesta. Sia ben chiaro, prima di mettersi alla visione, che il prodotto è totalmente differente rispetto a Citizenfour, per esempio. Il motivo principale è la diversità, rispetto al documentario del 2015 (vincitore agli Oscar), del soggetto principale attorno al quale ruota la storia.
Nan Goldin non è chiaramente Edward Snowden. Non ci sono segreti da portare a galla e non ci sono rivelazioni in grado di sbalordire l’opinione pubblica internazionale, tanto da costringere il narratore a fuggire all’estero e chiedere asilo politico.
No, il racconto di Nan Goldin, pur rimanendo molto intimo, verte sul suo passato e sulla sua crescita professionale ed umana, unitamente al suo impegno di attivista a tutto campo.
All the Beauty and the Bloodshed non è un semplice documentario sulla crisi degli oppiacei, quanto piuttosto la presentazione di un personaggio che ha vissuto sempre sopra le righe, mantenendo un costante e ferreo interesse verso il prossimo e verso i diritti della persona in quanto tale.
Una struttura ed un oggetto narrativo che, di fatto, rappresentano sia il punto di forza, sia il punto debole della pellicola intera.

Goldin: “È facile trasformare la propria vita in storie. Ma è più difficile… sostenere i ricordi reali.”
Poitras: “Che cosa intendi?”
Goldin: “Beh, la differenza tra la storia e la memoria reale. L’esperienza reale ha odore ed è sporca e non è racchiusa in semplici finali. I veri ricordi sono quelli che mi riguardano ora. Possono apparire cose che non si volevano vedere, dove non si è al sicuro. E anche se non si scatenano i ricordi, l’effetto c’è. È nel tuo corpo.”

Il soggetto narrativo, come si menzionava in precedenza, è la vita di Nan Goldin, fotografa e attivista statunitense il cui lavoro più conosciuto è The Ballad Of Sexual Dependency (presente all’interno della pellicola), così come l’azione diretta Blizzard Of Prescriptions portata in scena al Guggenheim Museum. Una figura eclettica, artisticamente folle e sopra le righe, il cui passato viene mostrato al pubblico incedendo sui singoli dettagli che lo rappresentano. La commistione tra questa difficile figura, sicuramente complicata da raccontare, e la duplice costruzione del documentario (biografico e denuncia sociale) portano All the Beauty and the Bloodshed a risultare in parte poco appetibile e coinvolgente. Il racconto del passato della Goldin è ben raccontato dalla fotografa stessa, accompagnato da uno slideshow di fotografie (The Ballad Of Sexual Dependency ma non solo) che ne mostra la cruda realtà. Meno convincente risulta invece il minutaggio dedicato alla denuncia sociale (legato all’Oxycontin e alla famiglia Sackler) che in certi passaggi risulta quasi un mero riempitivo o stacco per poi riaccompagnare lo spettatore nel gretto passato della Goldin.
Come detto nel precedente paragrafo è la struttura in sé a non convincere, anche per via dell’utilizzo degli slideshow: non puri e semplici inframezzi di accompagnamento, ma sfruttati come strumento all’interno del documentario per staccare in maniera “brutale” mentre la tematica prettamente sociale sembra voler prevaricare il racconto.

Sono sopravvissuta alla crisi degli oppioidi. L’ho scampata per un pelo. Il mio rapporto con l’ossicodone… è iniziato diversi anni fa a Berlino. Inizialmente era stato prescritto per la chirurgia. Anche se l’ho preso come da istruzioni, sono diventata dipendente da un giorno all’altro. All’inizio, 40 milligrammi era troppo forte.
Ma man mano che la mia abitudine cresceva, non era mai abbastanza. Sono passata da 3 pillole al giorno, come prescritto, a 18. Il farmaco, come tutti i farmaci, ha perso il suo effetto. Così raccolsi la paglia. La mia vita ruotava interamente intorno all’ottenimento e all’uso dell’ossicodone. Contare e ricontare, schiacciare e sniffare era il mio lavoro a tempo pieno.

Nan Goldin nel 2017 ha fondato P.A.I.N. (Prescription Addiction Intervention Now) dopo una quasi fatale overdose di fentanyl e la sua dipendenza di lunga data dall’Oxycontin. La dipendenza da oppiacei negli Stati Uniti è una piaga sociale che a livello di opinione pubblica sembra ritagliarsi sempre più spazio negli ultimi anni. Produzioni cinematografiche di dubbio gusto (Crisis) e seriali di ottimo livello (Dopesick) hanno sicuramente aiutato a portare alla luce un aspetto di cui si parla poco e conosciuto ancor meno.
All the Beauty and the Bloodshed ha il pregio di mostrare un aspetto ulteriormente diverso rispetto ai prodotti precedentemente menzionati. Attraverso gli occhi, le parole e le fotografie di una persona che da sempre ha combattuto per i diritti delle persone abbandonate a se stesse dalla società, questo documentario mostra il progressivo insinuarsi della dipendenza fino ai singoli tragici epiloghi che costellano la vita di Nan Goldin. La maggior parte delle persone raffigurate all’interno di The Ballad Of Sexual Dependency, infatti, morirà negli anni ’90 a causa di overdose o AIDS.
Il distacco da parte della Goldin nel racconto è spesso freddo, percepibile. Ma verso la fine del documentario, probabilmente, quando tutti i ricordi precedentemente raccontati tornano a galla uno dopo l’altro, la donna cede chiedendo alla Poitras di sospendere momentaneamente le riprese. Un lato delicatamente umano che viene mostrato anche poco dopo quando il gruppo di P.A.I.N. torna al Metropolitan Museum of Art per scoprire che l’ala dedicata alla famiglia Sackler è stata “cancellata”.
Una notizia che commuove la fotografa e sottolinea ulteriormente l’impegno profuso in tutti questi anni affinché il dolore elargito a numerose famiglie venisse pagato (non solo economicamente) dalla Purdue Pharma e dai suoi proprietari.

Quando sono uscita dalla terapia, ho saputo che la famiglia Sackler, il cui nome conoscevo da musei e gallerie, erano responsabili dell’epidemia. La famiglia Sackler e la sua società privata, la Purdue Pharma, pubblicizzavano e distribuivano il loro farmaco, conoscendo tutti i pericoli. Ho creato un gruppo, P.A.I.N., per responsabilizzarli. Per ottenere il loro ascolto, mireremo alla loro filantropia. Hanno lavato il loro denaro sporco con sangue nei corridoi di musei e università in tutto il mondo.

Parallelamente al racconto sociale del periodo anni ’80/’90 e alla denuncia riguardante l’Oxycontin, Laura Poitras porta Nan Goldin ad aprirsi ulteriormente al pubblico parlando della figura familiare a cui era fortemente legata: la sorella maggiore Barbara. I racconti di Nan che la riguardano sono spesso disincantati, tipico dei fratelli/sorelle minori che guardano con trepidante ammirazione ad una figura più grande di loro.
Barbara, dopo anni di continui dentro e fuori da istituti di igiene mentale, si suicidò nel 1965 quando Nan aveva solamente 12 anni. Una perdita che accentuò ulteriormente il carattere di ribellione di Nan, convinta che la sorella non fosse malata ma solamente “una donna arrabbiata e sessualmente libera” in un periodo storico e in un contesto sociale poco incline ad accettarla come tale e che la represse fino alla morte.
Il titolo del documentario, inoltre, è estrapolato proprio dalla cartella clinica di Barbara. Durante il test di Rorschach, alla fatidica domanda riguardo cosa vedesse, il medico appunta: “she sees the future and all the beauty and the bloodshed”.

È una cosa strana la vita, questa misteriosa disposizione di una logica spietata per uno scopo futile. Il massimo che puoi sperare è una certa conoscenza di te stesso… che arriva troppo tardi… Una raccolta di rimpianti inestinguibili.


All the Beauty and the Bloodshed potrà non essere il miglior lavoro di Laura Poitras, ma la cosa va chiaramente messa in prospettiva: vincitore del Leone d’Oro a Venezia così come svariati altri premi e candidato ai recenti Oscar. Documentario apprezzato dalla critica, ma che per ovvi motivi al box office non ha sbancato.
Considerati i precedenti lavori della Poitras era forse lecito attendersi un documentario maggiormente tagliente e meno “intimista” rispetto a quello che si è poi rivelato essere All the Beauty and the Bloodshed. Ma la pellicola, sintomatica unione stilistica tra Poitras e Goldin, resta un solido appuntamento cinematografico che, anche solo per amore di completezza, non si può ignorare.

Credo che questa storia sia una storia importante, non solo per me, ma per la società… Sul conformismo e sulla negazione. E anche sullo stigma. Le cose sbagliate vengono tenute segrete e questo distrugge le persone. Mia sorella è stata vittima di tutto questo, ma sapeva come reagire. La sua ribellione è stata il punto di partenza per la mia. Mi ha mostrato la strada.

 

TITOLO ORIGINALE: All the Beauty and the Bloodshed
REGIA: Laura Poitras
SCENEGGIATURA: Laura Poitras, Nan Goldin
INTERPRETI: Nan Goldin, Patrick Radden Keefe, Megan Kapler
DISTRIBUZIONE:NEON
DURATA: 113′
ORIGINE: USA, 2022
DATA DI USCITA: 03/09/2022, 79ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia

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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.

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