Dopo la sfavillante doppia première composta da “By Wathever Means Necessary” e “The Nitty Gritty”, Godfather of Harlem si conferma uno show di livello, girato con qualità e in grado di distinguersi nel vortice delle serie TV sulla malavita americana. L’episodio, ancora diretto da Joe Chappelle, che tra l’altro ha diretto anche alcuni episodi di The Wire, risulta scorrevole e pregno di significati.
Proprio questa continua doppia chiave di lettura di situazioni, dialoghi e personaggi risulta una scelta vincente degli autori. Brancato ed Eckestein, finora, riescono a narrare in modo ambivalente la storia di Cosa Nostra a Harlem nei primi anni ’60, tratteggiando anche i contorni umani di Bumpy Johnson, con lo sfondo dello scontro razziale in atto.
ELISE: LA FIGLIA RINNEGATA
Se c’è un personaggio che viene messo in risalto da “Our Day Will Come” questo è sicuramente Elise Johnson, la figlia tossicodipendente di Bumpy e madre segreta della piccola Margaret. Nei due episodi precedenti la figura di Elise era stata appena suggerita, grazie ad alcune scene chiave che lasciavano presagire un coinvolgimento massiccio in futuro. Con il terzo appuntamento di Godfather of Harlem viene finalmente fatta luce sul rapporto controverso presente tra padre e figlia, Bumpy e Elise Johnson. Si evince dalla lettera trovata da Margaret che un tempo il rapporto fosse roseo, mentre resta da scoprire l’evento che ha causato il deterioramento e l’allontanamento tra i due.
La chiave dell’episodio è sicuramente la scena di apertura, ovvero lo stupro di Elise per mano di un poliziotto, anch’egli afroamericano, sotto gli occhi sconcertati di un collega bianco. Mentre Bumpy reagisce come da copione, il fatto in sé costituisce un’importante prova per dichiarare guerra alle istituzioni americane. Malcolm X fiuta l’occasione e la vittima Elise non si tira indietro, finendo per accusare l’”innocente” poliziotto bianco. Nasce quindi il dilemma: può lo scontro per i diritti umani ergersi al di sopra della giustizia personale?
ROMEO E GIULIETTA
L’anello debole dell’affascinante serial Godfather of Harlem è certamente la love story in corso tra Stella Gigante, bianca, e Teddy Greene, nero. Il loro sentimento soffocato ricorda certamente la più classica storia d’amore di William Shakespeare. I cognomi Montecchi e Capuleti sono stati sostituiti dal clan Gigante e l’organizzazione di Bumpy Johnson, o più semplicemente dal colore della pelle. Dal lato di Stella viene visto come una vergogna avere in famiglia un “nigger”, mentre la madre di Teddy diffida dai sentimenti della figlia di Gigante, scambiando l’amore per ribellione giovanile.
Tale sottotrama si è rivelata finora piuttosto noiosa, capace di rallentare il ritmo dello scontro razziale e, soprattutto, dello scontro armato tra i clan di Harlem. Il personaggio di Vincent D’Onofrio soffre tantissimo la sceneggiatura, che finora lo sta relegando al semplice ruolo di padre geloso, trascurando del tutto il ruolo che deve avere Vincent Gigante in una situazione del genere. La speranza è quella di vedere una risoluzione per questa storyline, così da concentrarsi nelle faccende più serie.
ISLAM VS CRISTIANESIMO
Ciò che però sta esaltando lo show targato Star è la capacità di inserire personaggi storici realmente esistiti all’interno delle vicende narrate. Lo scontro ideologico tra Adam Clayton Powell e Malcolm X è uno dei punti forti della puntata. Ogni scena in cui sono presenti Giancarlo Esposito e/o Nigél Thatch è una scena riuscita. Le interpretazioni dei due uomini di fede (e di politica) sono magistrali. I dialoghi tra i due sono l’allegoria verbale di uno scontro teologico tra due culture, musulmana e cristiana, che non si sono mai viste di buon occhio.
Tuttavia anche due uomini così distanti devono remare verso lo stesso obiettivo quando si tratta di diritti umani. Chi in un modo, chi nell’altro, seppur con differenti approcci, Powell e Malcolm provano a ispirare la popolazione di Harlem a farsi rispettare. Il membro del Congresso è ben più moderato, vista la sua posizione politica e il suo credo del “porgere un’altra guancia”. L’attivista della NOI invece è più concreto e deciso sui metodi da adottare, vedendo nello scontro fisico uno step necessario da intraprendere, giustificato dal fine ultimo. Infine c’è però Bumpy, padrino di Harlem, a cui forse non conviene fino in fondo un quartiere in preda alla guerra civile. Infatti il personaggio di Forest Whitaker interviene per calmare gli animi, sedando gli spiriti infuocati di rabbia per porre giustizia nell’unico modo che conosce.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Godfather of Harlem conferma quanto buono di visto nei primi due episodi. Non è uno show esente da difetti, ma le interpretazioni degli attori, le atmosfere e le musiche garantiscono una visione appagante.
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Giovane musicista e cineasta famoso tra le pareti di casa sua. Si sta addestrando nell'uso della Forza, ma in realtà gli basterebbe spostare un vaso come Massimo Troisi. Se volete farlo contento regalategli dei Lego, se volete farlo arrabbiare toccategli Sergio Leone. Inizia a recensire per dare sfogo alla sua valvola di critico, anche se nessuno glielo aveva chiesto.