Sin dal primo episodio di questa terza stagione di Godfather Of Harlem era chiaro come la direzione dello show andasse verso un evento cruciale: la morte di Malcolm X.
Il più grande merito della serie di Brancato e Eckstein è infatti proprio il lavoro svolto sul personaggio del famosissimo predicatore afroamericano. Una storia già narrata al cinema da Spike Lee ma che merita di essere divulgata il più possibile per narrare anche le nefandezze e le ombre degli USA nel secondo dopoguerra. Bisogna anche dare i giusti meriti a Nigél Thatch (prima) e Jason Alan Carvell (poi), che hanno saputo interpretare splendidamente un personaggio così sfaccettato.
Passando alla sponda della malavita, che è intrecciata strettamente al lato politico/storico, ecco finalmente il ritorno di Vincent D’Onofrio. La new entry di Joe Colombo è stata sicuramente un punto di forza della stagione, ma l’assenza di un attore carismatico come D’Onofrio è stato un peso che la scrittura ha dovuto portarsi dietro. Vincent Gigante invece è tornato e finalmente parla per sé stesso, rimpolpando lo show con un altro personaggio di peso all’interno delle dinamiche intricate tra mafia, CIA e FBI.
CHIN IS BACK
La prima buona notizia, che arriva già all’inizio di “We Are All Kings” è il ritorno di Chin Gigante. Dopo alcune scelte rivedibili, nel trasmettere il suo pensiero e la sua volontà agli spettatori tramite le parole di altri personaggi, Vincent D’Onofrio torna a rubare la scena. Una scelta necessaria anche per dare una degna risoluzione alla trama relativa a sua figlia Stella e l’ambizioso Joe Colombo. Chin e Bumpy tornano a fare squadra, dopo mille peripezie, per mettere i bastoni tra le ruote alla CIA e riconquistare il potere sulla Commissione e su Harlem. Un giusto finale, in attesa di una futura quarta stagione di cui ancora non trapela nulla, che potrebbe essere anche definitivo.
In fondo entrambi i protagonisti hanno avuto il loro arco narrativo, con Bumpy in particolare che sceglie di allontanarsi dal business della droga per ripulire il suo nome dalle contraddizioni di gangster impegnato socialmente. Lascia qualche spiraglio la scena in obitorio, in cui Johnson reclama vendetta per l’assassinio del suo amico, ma anche se dovesse finire così, Godfather Of Harlem avrebbe ricevuto comunque il suo giusto commiato.
MORTE DI MALCOLM X
Si sapeva e, infatti, era l’evento che tutti gli spettatori di Godfather Of Harlem stavano attendendo. Un qualcosa di preparato, cucinato a fuoco lento nel corso di tutte e tre le stagioni, mostrando tutti i passaggi degli ultimi anni di Malcolm X fino all’inevitabile e tragico epilogo. La regia riesce a rendere ogni scena con Malcolm in questi due episodi un qualcosa al limite del biblico, mostrando il predicatore come una sorta di messia che respingeva ogni tipo di protezione per non apparire al di sopra dei suoi fratelli.
In particolare, “Our Black Shining Prince” sceglie di raccontare la data del 21 febbraio 1965 ora dopo ora. Lo spettatore già sa come andrà a finire e per questo gli autori scelgono di giocarsela sulla suspense, nel raccontare il viaggio piuttosto che la meta. Ogni scena con Jason Carvell è una piccola pugnalata al cuore, mettendo il carico tutte le volte che vengono inquadrate sorridenti le due piccole figlie presenti in prima fila all’ultimo discorso del loro papà. L’attentato, invece, è la degna ciliegina sulla torta, con lo slow motion a costruire il pathos necessario per raccontare un momento così decisivo nella storia dello show (e non solo).
Bumpy Johnson: “I did what you said, Malcolm. Tried to do the right thing. That’s what you wanted, right? Stubborn fool! Who’s laying on the slab now, you or me? I tried to protect you. Why wouldn’t you let me? How am I supposed to forgive myself for this? I promise you, Malcolm: one day, I’m gonna be the man that you wanted me to be. May we all, our people, be who you wanted us to be.“
AFFARI DI STATO
L’altro grande pregio di questa terza stagione di Godfather Of Harlem è stato quello di andare a scavare a fondo nelle ombre della storia recente statunitense. Una mossa intelligente che ha permesso di raccontare come la CIA in più di un’occasione si sia sporcata le mani, compiendo operazioni a dir poco discutibili con partner poco raccomandabili. Anche questa trama trova una sua risoluzione nel finale, lasciando presagire poco su un’eventuale quarta stagione.
Qualche volta lo show inciampa anche su inesattezze storiche più o meno grosse, come la morte di William Harvey. Tuttavia, è appagante vedere Bumpy e Chin mettere in un sol colpo tutti nel sacco, chiudendo in un certo senso un cerchio, affidandosi ai suoi personaggi portanti per la conclusione della stagione. A risentirne è forse Joe Colombo, che dopo una grande crescita subisce una regressione, spazzato via dalla potenza di Gigante (nella storia) e dal magnetismo di D’Onofrio (sullo schermo).
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Non avendo alcuna notizia in merito e alla luce di “Our Black Shining Prince”, con le sue vibes da finale, si può dire che Godfather Of Harlem potrebbe anche chiudersi qui. Un finale giusto e più che degno, che coincide con la morte di Malcolm X e la conseguente conversione di Bumpy Johson.
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Giovane musicista e cineasta famoso tra le pareti di casa sua. Si sta addestrando nell'uso della Forza, ma in realtà gli basterebbe spostare un vaso come Massimo Troisi. Se volete farlo contento regalategli dei Lego, se volete farlo arrabbiare toccategli Sergio Leone. Inizia a recensire per dare sfogo alla sua valvola di critico, anche se nessuno glielo aveva chiesto.