A distanza di due anni, puntualissima, ecco che torna la serie targata Epix MGM+ che racconta della Harlem anni ’60, tra mafia, politica e religione, approfondendo la black culture come pochi prodotti fino ad ora. Arriverà presto anche su Disney+, come Star Original, sebbene ancora non sia stata specificata una data.
Lo show di Chris Brancato e Paul Eckstein riparte proprio da dove si era fermato, con l’esclusione di Vincent D’Onofrio, con Chin Gigante dietro le sbarre, e qualche new entry interessante a riempire tale vuoto (da segnalare la scomparsa di Paul Sorvino).
Dietro la macchina da presa c’è Joe Chappelle per “The Negro In White America”, come in tutti gli episodi di apertura e chiusura anche per le stagioni precedenti, mentre per “Alzado” si segnala l’esordio alla regia per Jack Donnelly, mestierante con un lunghissimo curriculum (I Molti Santi del New Jersey, Hamilton) nel comparto fotografia e luci.
ELEZIONI IN VISTA
La terza stagione si apre con un episodio abbastanza politico. “The Negro In White America” rientra tra le puntate volte a contestualizzare lo scenario, analizzare le conseguenze e tutti i risvolti sociali che le azioni svolte dai protagonisti hanno conseguito. Spicca il dialogo tra il sempre ottimo Giancarlo Esposito ed il presidente Lyndon B. Johnson, in cui si aggiunge un nuovo tassello al world-building, ovvero le elezioni presidenziali del 1964. In uno scenario spaccato, appena uscito dalle “rivole di Harlem del 1964“, ecco che i candidati alla presidenza devono fare il conto con l’elettorato nero e soprattutto con quello bianco.
In particolare, Johnson sembra piuttosto riluttante verso i consigli di Powell, preoccupandosi di non apparire come troppo vicino ai bisogni di una parte della popolazione ritenuta di secondaria importanza. Nonostante ciò, il senatore riesce a strappare un importante fondo da immettere nelle banche di Harlem per sostenere economicamente una popolazione distrutta. Un’occasione importante anche per Mayme, per cui questo potrebbe tradursi in una ghiotta opportunità lavorativa nel fare ciò che ha da sempre fatto anche gratis. Peccato che certe occasioni sono grosse per tutti, ed anche per il lato sporco della città che cerca di aiutare il quartiere in un modo tutto suo.
Adam Clayton Powell: “They say that actions speak louder than words. So let our actions tell heaven who we really are. And let them define us before the eyes of God.”
IL NUOVO CHE AVANZA
In questo nuovo contesto ecco che le Cinque Famiglie devono adattarsi, sostituendo Chin con qualcun altro per portare avanti il loro operato. A prescindere, sempre.
Da questa situazione ne emerge un giovane “prospetto” che ha fatto fortuna nel business del rottamaggio ma che è passato alla storia per ben altro. Portato in scena da Michael Raymond-James (Once Upon a Time) è l’inaspettato Joe Colombo, capace di rubare la scena a tutti i suoi colleghi che vantano filmografie ben più articolate. Colombo è un personaggio fin da subito ben inquadrato, grazie al cinismo con cui si sbarazza dei sicari ancora titubanti sulle sue doti. Riesce a diventare anche una spina nel fianco per Bumpy, anticipando le sue mosse per l’assoldamento di Josè Battle e l’allargamento al mercato cubano che ne consegue, per costringere Johnson ad entrare in affari con lui alle sue condizioni.
Joe Colombo è un nome, in realtà, ben noto e già riportato in altre grandi opere. Come per esempio in The Irishman, interpretato da John Polce, dove viene mostrata la sua morte. Viene citato ne I Soprano, attribuendogli la paternità della lega dei diritti civili degli italoamericani. Ma soprattutto, il nome di Joe Colombo è legato a quella pietra miliare che è Il Padrino. Nell’ambito della travagliatissima produzione del film di Coppola, la Paramount strinse un accordo con Colombo e la sua lega che osteggiavano la produzione di un film che mettesse in cattiva luce gli italoamericani. Da questo accordo, ad esempio, ne proviene il fatto che nel famoso film del ’72 non vengono mai pronunciate le parole “mafia” e/o “Cosa Nostra”.
E A HARLEM?
Dopo aver definito il nuovo status quo da cui parte questa nuova stagione, bisogna dunque spostare la lente d’ingrandimento sul quartiere protagonista della serie. Harlem e la sua popolazione sono dei protagonisti al pari di Bumpy Johnson. C’è Elise, sempre più fedele a Malcolm X, che si dimostra addirittura caritatevole nei confronti dello spregevole personaggio di Omar. Oltre ciò, alla primogenita del “padrino di Harlem” viene proposto di accompagnare Malcolm in un importante viaggio in Africa, dovendo però sacrificare alla sua nuova vita con Margaret. Si approfondisce ancor di più il discorso aperto nella stagione precedente, con la piccola Margaret che però assume un ruolo più consapevole e centrale nella vicenda.
Per quanto riguarda invece Forest Whitaker, il suo segmento è forse quello più controverso. Bumpy deve ripagare le Cinque Famiglie per le conseguenze della “french connection” della scorsa stagione e ricorre quindi a derubare il suo quartiere, sottraendo i fondi ottenuti da Clayton Powell. Un risvolto trattato in maniera stranamente superficiale e poco approfondita per gli standard di Godfather Of Harlem. Se non fosse che proprio Bumpy si dichiara pronto a scatenare una guerra tra mafie nell’episodio successivo, pur di mantenere il controllo e “proteggere”, sempre a modo suo, il quartiere.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Godfather of Harlem è ormai una certezza. Lo spettatore si aspetta un certo standard e gli autori non deludono quasi mai le aspettative. Anche senza Vincent D’Onofrio (tornerà?) lo show si conferma solido e pieno di contenuti, oltre che di parallelismi e analogie, più o meno celate, col mondo contemporaneo.
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Giovane musicista e cineasta famoso tra le pareti di casa sua. Si sta addestrando nell'uso della Forza, ma in realtà gli basterebbe spostare un vaso come Massimo Troisi. Se volete farlo contento regalategli dei Lego, se volete farlo arrabbiare toccategli Sergio Leone. Inizia a recensire per dare sfogo alla sua valvola di critico, anche se nessuno glielo aveva chiesto.