Il Gusto delle Cose recensione film
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Il Gusto Delle Cose

Il Gusto delle Cose propone un'indagine dei rapporti umani in una zona considerata rischiosa da esplorare in film e serie tv: quella delle relazioni stabili di lunga data.

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Francia, 1885 circa. Dodin Bouffant è un cultore della buona cucina, che ama ricevere un piccolo giro di amici altrettanto gourmet. Suo imprescindibile braccio destro è la cuoca Eugénie, a cui lo lega un sodalizio professionale e personale da oltre vent’anni.

 

L’inizio del film non è particolarmente agevole per ogni tipo di spettatore. Vengono presentati Dodin ed Eugénie che cucinano e mangiano, per lunghi minuti, nella loro cucina. Li aiutano la serva Violette e la piccola Pauline, la quale già dimostra doti di futura chef.
Se chi guarda ha il gusto delle cose, cioè apprezzare ambientazioni dove ancora si andava a prendere l’acqua al pozzo, o la trasformazione dei cibi cucinati piano piano, senza la tensione della gara di Masterchef, con il passare dei minuti già comincia a mettersi a suo agio.
In realtà, però, il regista franco – vietnamita Tran Anh Hùng, qui anche sceneggiatore, si è buttato in un’impresa da veri prodi: descrivere quell’amore “autunnale”, coniugale, di una coppia consolidata che fa tanta paura ad ogni showrunner moderno.

L’ESTATE E L’AUTUNNO


Dodin è perfettamente soddisfatto della sua vita e dichiara di amare l’autunno, “che prepara ai piaceri dell’inverno”. In effetti, per chi ama cucinare e mangiare, nella stagione fredda ci sono piatti più elaborati e sostanziosi. Eugénie, invece, dichiara di amare l’estate. Lei è un tipo più particolare: nonostante la lunga relazione, non vuole sposare Dodin “per conservarsi il diritto di chiudere a chiave, la sera, la porta della sua stanza.” Nessuno dei due è più giovanissimo.
Il film evita ogni noia che l’argomento poteva presentare non solo offrendo gioie visive, con ambientazioni e scene ispirate a quadri impressionisti. Il regista ha dedicato l’opera alla moglie Yên Khê, attrice e qui costumista. Benoît Magimel e Juliette Binoche, in passato, hanno avuto una relazione da cui è nata una figlia e si ritrovano sul set 25 anni dopo I Figli del Secolo. Di certo questo retroscena non è estraneo all’alchimia, all’equilibrio che si crea sullo schermo.

IL GUSTO DELLE COSE SEMPLICI


Se la narrazione vuole lasciare un messaggio, potrebbe essere “il lusso della semplicità” (cit. chef Alessandro Borghese). Lo si vede quando Dodin e il suo giro di amici vengono invitati a pranzo dal “principe d’Eurasia” (un nome immaginario per non offendere nessuno). L’infinita sfilata di portate viene bocciata dai gastronomi, perché mette assieme gli ingredienti più disparati “senza senso” e risulta pesantissima.
Bouffant, quindi, pensa di ricambiare l’invito offrendo al principe un pot-au-feu, semplice piatto di carne con verdure, da secoli capo saldo del sostentamento di buona parte delle famiglie francesi. Certo, lo vuole realizzare accordandosi con Eugénie, per dare anche alla tradizione un tocco personale e originale.
Esattamente a questo punto, però, in una trama che sembrava la più lenta e placida possibile, c’è una svolta inaspettata. Niente di epico, ma conferisce un tocco di autunnale malinconia, o forse di saggezza, a tutta la storia.

L’IMPORTANZA DEGLI INGREDIENTI


Un film dove il cibo e la cucina hanno un’importanza centrale può assumere diverse sfumature. C’è il classico La Grande Abbuffata, dove i piatti presentati in scena erano curati personalmente dal gourmet Ugo Tognazzi. Lì il rapporto con il cibo era declinato nei suoi toni più neri e mortiferi, per dare un’opera di tristezza assoluta. C’è il molto più recente The Menu. Lì il ristorante, lo chef e gli avventori sono strumento per una critica al vetriolo della società.
Il Gusto delle Cose, invece, propone un’indagine dei rapporti umani, in particolare di una loro zona considerata rischiosa da esplorare in film e serie tv: quella delle relazioni stabili di lunga data. Passata la fiammata dell’amore giovanile, contano le piccole cose di ogni giorno, di solito giudicate noiose. Tutto cambia se, dopo i 40 anni, si riesce a diventare “buongustai” grazie a gusto, esperienza e cultura.


Quando finisce un film lungo 134′ e se ne vorrebbe un altro pochino, è un sicuro marchio di qualità. Nella descrizione minuziosa di gesti quotidiani, lo straordinario è dato dalla passione che i personaggi provano l’uno per l’altro, ma soprattutto nei confronti di quello che stanno facendo, della loro attività.
Il regista, in conclusione, ha vinto la sua sfida. Ha saputo evitare i toni edificanti, che qui sarebbero stati fuori posto, mentre centrano perfettamente il bersaglio nel film Il Pranzo di Babette.

 

TITOLO ORIGINALE: La Passion de Dodin Bouffant
REGIA: Tran Anh Hùng
SCENEGGIATURA: Tran Anh Hùng

INTERPRETI: Juliette Binoche, Benoît Magimel, Galatea Bellugi, Bonnie Chagneau – Ravoire, Emmanuel Salinger, Patrick d’Assumçao 
DISTRIBUZIONE: Lucky Red
DURATA: 134′
ORIGINE: Francia, 2023
DATA DI USCITA: 09/05/2024

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Casalingoide piemontarda di mezza età, abita da sempre in campagna, ma non fatevi ingannare dai suoi modi stile Nonna Papera. Per lei recensire è come coltivare un orticello di prodotti bio (perché ci mette dentro tutto; le lezioni di inglese, greco e latino al liceo, i viaggi in giro per il mondo, i cartoni animati anni '70 - '80, l'oratorio, la fantascienza, anni di esperienza coi giornali locali, il suo spietato amore per James Spader ...) con finalità nutraceutica, perché guardare film e serie tv è cosa da fare con la stessa cura con cui si sceglie cosa mangiare (ad esempio, deve evitare di eccedere col prodotto italiano a cui è leggermente intollerante).

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