Purtroppo, esattamente a metà della stagione, Mayor of Kingstown arriva (di nuovo) ad una situazione di stallo narrativo, cosa già avvenuta a circa metà della scorsa. Il duo Sheridan/Dillon non sembra ancora capace di uscire brillantemente da questo impasse narrativo e la cosa non promette affatto bene.
ESSERE PARTE DI UN CLAN
Parlando prima delle cose che funzionano, è evidente come la tematica portata avanti dalla serie, ed in questo episodio in particolare, sia la necessità di ogni personaggio di appartenere ad uno dei gruppi (o meglio, un clan) in cui la città di Kingstown è divisa, a prescindere se sia una gang, un stato sociale superiore o per un proprio tornaconto personale. Da soli, si può solo cadere.
A partire dai 4 “generali” messi dentro la prigione “di tende” per sedare gli scontri fuori e dentro la prigione e trovare l’accordo. Questi ora cominciano ad essere molto preoccupati riguardo Mike e il suo rispettare l’accordo preso per farli uscire solo dopo qualche giorno, temendo che quella promessa sia stata solo un modo per prendersi gioco di loro e del potere che rappresentano. L’inquietudine di Bunny è esemplare in questo senso, stretto tra il suo rapporto speciale con Mike e il potere che rappresenta che si sta inesorabilmente erodendo. Come egli stesso dice a Mike, c’è in gioco la loro stessa vita.
Estendendo il discorso, ogni personaggio cerca il proprio posto di “privilegio” all’interno della società rappresentata dalla cittadina di Kingstown, dove ora vige in realtà una sostanziale anarchia di potere a favore di personalità mutevoli e arroganti. Un ritratto non molto lontano dalla visione quasi nichilista di Sheridan.
MILO, WHERE IS MILO?
Una delle grandi incognite di tutta la serie è il peso che il personaggio di Milo dovrebbe avere e che in realtà non ha. Da sempre aleggia la sua figura di grande criminale che tiene le fila di tutta la città dall’alto della sua astuzia. Peccato che questo “peso” non si sia visto quasi mai, perso in una trama che risucchia anche il personaggio di Iris in un sostanziale e poco appassionante nulla narrativo. Quest’ultima sostanzialmente dimenticata anche da Mike ormai per quasi 2 episodi e lasciata al suo destino. Si tenta di ravvivare la trama scoprendo i bond di Milo sepolti una stagione fa che potrebbe aprire nuovi scenari potenzialmente interessanti. O, almeno, alternativo a questo rapporto pappone/prostituta che li lega, allungato per troppo tempo. Va detto, però, che la veloce e triste parabola del manovale Horace regala un finale d’effetto niente male.
COSA RIMANE?
Purtroppo non molto altro.
Ovviamente, il personaggio di Mike rimane al centro della narrazione. Il suo castello di carta sta per crollare e il suo ruolo di “sindaco” sembra perdere sempre più di senso. È interessante vedere come chiunque s’interfacci con lui non sembra minimamente dargli credito e neanche mostrargli empatia. Persino il fratello lo vorrebbe usare, anche solo per trovare un lavoro. Probabilmente nelle intenzioni degli autori Mike deve rimanere solo a sbrogliare tutta la situazione. Conoscendo Sheridan e la sua poetica, la sua disfatta definitiva (vedi crollo emotivo) potrebbe essere uno sviluppo narrativo interessante. Forse il trasferimento dei detenuti in un’altra prigione può dare uno scossone in una direzione diversa.
Una menzione speciale va fatta, di nuovo, al personaggio di Mariam McLusky. La sua trama oscilla sempre nell’inconsistenza. Potenziale portatrice di un diverso e distante punto di vista sulla situazione carceraria, rimane troppa slegata dal resto. Questo è un peccato perché anche qui potenzialmente il suo punto di vista da educatrice dei detenuti permetterebbe di allargare il discorso cogliendo altre sfaccettature che vadano oltre la mera lotta del potere (e della sopravvivenza), virando più verso le conseguenze di quel potere effimero. Va detto che in termini interpretativi Dianne West ha fatto prove migliori in passato. Un vero peccato.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Si vuole tanto bene a Sheridan ma questa serie ha decisamente bisogno di dare una sferzata decisa alla trama altrimenti a furia di preparare il terreno per il gran finale si rischia di abbandonarla per sfinimento.
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Dopo miliardi di ore passate a vedere cartoni giapponesi e altra robaccia pop anni ’80 americana, la folgorazione arriva con la visione di Twin Peaks. Da allora nulla è stato più lo stesso. La serialità è entrata nella sua vita e, complici anche i supereroi con le loro trame infinite, ora vive solo per assecondare le sue droghe. Per compensare prova a fare l’ingegnere ma è evidentemente un'illusione. Sogna un giorno di produrre, o magari scrivere, qualche serie, per qualche disperata tv via cavo o canale streaming. Segue qualsiasi cosa scriva Sorkin o Kelley ma, per non essere troppo snob, non si nega qualche guilty pleasure ogni tanto.