Come immaginato dallo spoileroso titolo di questa puntata, il viaggio al neon rosso e blu si focalizza nella parte cittadina, a Copenhagen. Refn continua il percorso di Miu verso la consapevolezza del suo ruolo nel mondo, dove sembra evidente la necessità di avere una nemesi, visto il suo potere.
Sembra scontato dirlo ma la priorità di Refn in Copenhagen Cowboy (come anche in molte altre sue opere) non è la comprensione del senso della narrazione. Pertanto l’impianto narrativo delle serie sceglie volutamente di non rispondere alle domande che ogni singola situazione genera per decodificarla.
Se si prende il personaggio di Miu, arrivati al quinto episodio, nessuno, compresi gli spettatori, ha ancora compreso chi o cosa sia. Il suo vagare senza senso apparente in un mondo sospeso dalla realtà “storica” non ha mai (volutamente) aiutato nel fornire la chiave del suo ruolo del mondo. Le pochissime emozioni espresse sul suo volto incrementano la distanza dal senso degli avvenimenti.
Soltanto il ravvicinamento della figlia con la madre sembra importare, mentre il mondo la teme più di ogni altra cosa, portandola a compiere scelte estreme come la risurrezione della sorella gemella morta del maniaco, unica possibilità di darle una nemesi narrativa. Infatti, come un vortice, Miu attira tutto a sé e ne verrà semplicemente travolto, così niente sarà come prima.
FORSE LA RAPPRESENTAZIONE DEL CASO E DELLA MORTE?
C’è gente che muore e altra che viene salvata, sempre in maniera casuale, seguendo uno schema noto solo a Miu. Sarà forse questo uno dei sensi della narrazione? La casualità intrinseca dell’esistenza, costellata di tanti momenti di per sé meritevoli ma portatori di morte e vita senza uno schema che si vuole invece avere per dare senso ad essa?
In quest’ottica, tutte le scene di questa serie, mostrate nella loro bellezza intrinseca, sembrano voler far notare che, se si presta attenzione al momento presente, quello acquisisce valore e apprezzamento.
Stavolta la vita nella città, finora ai margini della visione, acquista un ruolo interessante. La violenza insita nella società non può però prescindere dall’arrivo del caos che, nell’ordine:
- rompe gerarchie consolidate (quella della malavita),
- uccide persone buone e ingenue (lo spacciatore nella guerra tra bande),
- usa e sacrifica Dusan e in qualche modo la madre di Nicklas per un fine “superiore”.
In pratica, nessuno ha un vero potere nonostante apparentemente lo si detenga all’interno di uno schema canonico della società.
LE ORIGINI DI MIU QUINDI
Mirostav, in una scena tra le più strazianti, proprio perché contrappone l’apparente potere che detiene contro una realtà delle cose molto distante da questo, fa capire che Miu non sia di questo mondo ma che invece il suo legame con esso sia di co-dipendenza. Se da un lato la madre adottiva di Miu l’ha nutrita col suo latte, dall’altro nel tempo Miu, a seconda del suo stato di dormienza o meno, ha acquisito il potere di veto sulla vita delle persone che incontra lungo il suo percorso, un’umanità ai margini vittima delle situazioni più empie che la società rende possibile. Così, se lo sguardo cade su qualcuno, quel qualcuno è semplicemente spacciato, anche se chiede pietà e promette di cambiare. Non viene assicurata nessuna clemenza.
Refn non partecipa alla sceneggiatura degli episodi (pur avendo sviluppato la storia insieme a Sara Isabella Jönsson) ma è evidente come la sua visione del mondo sia ancora nettamente negativa poiché nega ogni libero arbitrio e rappresenta chiaramente un’umanità sempre vittima di cose (dei???) più grandi di essa.
Non rimane che contemplare la realtà delle cose ed subirne la sua fascinazione (sicuramente estetica).
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Come detto, questa serie è fuori dai soliti schemi quindi il voto alto è dovuto proprio alla sua peculiarità. In un mondo spesso troppo convenzionale nelle sue narrazioni, ogni tanto punti di vista assolutamente peculiari fanno riflettere e offrono esperienze estetiche notevoli ed… estreme.
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Dopo miliardi di ore passate a vedere cartoni giapponesi e altra robaccia pop anni ’80 americana, la folgorazione arriva con la visione di Twin Peaks. Da allora nulla è stato più lo stesso. La serialità è entrata nella sua vita e, complici anche i supereroi con le loro trame infinite, ora vive solo per assecondare le sue droghe. Per compensare prova a fare l’ingegnere ma è evidentemente un'illusione. Sogna un giorno di produrre, o magari scrivere, qualche serie, per qualche disperata tv via cavo o canale streaming. Segue qualsiasi cosa scriva Sorkin o Kelley ma, per non essere troppo snob, non si nega qualche guilty pleasure ogni tanto.