True Detective: Night Country 4×02 – Part 2TEMPO DI LETTURA 5 min

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True Detective 4x02Dopo anni di attesa per la nuova stagione di True Detective e la piacevole sorpresa di “Part 1” che ha restituito nello spettatore la gioia e le emozioni di un thriller promettente giocato sul binomio indagini/mistero, bisogna vedere come tutto questo hype riuscirà a mantenersi attivo lungo tutti e sei gli episodi, senza fare la fine delle stagioni precedenti che, semplicemente, non sono riuscite a reggere il passo ad un capolavoro di scrittura e regia come la prima stagione.
Per il momento si può tranquillamente affermare che tale pericolo sia lontano: anche questa “Part 2” si dimostra infatti brillantemente scritta e diretta dalla new entry Issa López, così come la sigla iniziale composta da Billie Eilish si dimostra perfetta per far entrare lo spettatore nel mood di uno show del genere (anche se non si riuscirà mai a battere la storica intro della prima stagione). Ci sono però ovviamente alcuni elementi che bisogna prendere in causa per dare un giudizio definitivo su questi primi due episodi.

LA SINDROME DEL SECONDO EPISODIO


Come tutti i “secondi episodi” di uno show, anche questo (seppur molto bello) necessita del giusto percorso e dei giusti tempi per delineare bene la propria storia. In questo modo si ha inevitabilmente un rallentamento del ritmo narrativo e un andamento molto più “lento”, elementi che in genere sono molto ostici da digerire per lo spettatore.
“Part 2” quindi riparte direttamente dal cliffhanger finale della scorsa puntata e comincia a scavare, in maniera molto più approfondita, fra le pieghe dei personaggi narrati.
Non bisogna infatti dimenticare che True Detective (in tutte le sue evoluzioni) è pur sempre una serie corale, per cui ogni character avrà bisogno sia del proprio minutaggio sia di evolvere. In questo caso sono ovviamente le due detective co-protagoniste Liz Danvers (Jodie Foster) ed Evangeline Navarro (Kali Reis) ad essere messe sotto i riflettori. Quasi tutta la puntata risulta un intricato susseguirsi di dialoghi (molto più che d’azione) che vertono sulla vita privata delle due, con particolare attenzione ai loro rapporti extra-indagine.
Tutto questo generalmente sarebbe da considerarsi un difetto, ma anche in questo caso l’attenzione di fatto non viene mai meno, soprattutto per via della bravura delle due interpreti. In particolare Jodie Foster è protagonista di scene veramente memorabili e dimostra tutta la sua esperienza. Non di meno, l’esordiente Kali Reis si dimostra sempre più in parte, per cui lo show mostra un bello scontro dialettico e filosofico fra due character femminili “forti” e interessanti.

MISTERI E CLICHÈ…


Rose Aguineau: “I think the world is getting old…”

Allo stesso modo i personaggi secondari finora mostrati sono stati rappresentati piuttosto bene. In questo senso però è utile anche far notare come questi si rifacciano a determinati cliché narrativi stra-abusati che rendono finora True Detective: Night Country leggermente stereotipato. Fin troppo telefonato, infatti, il rapporto che si va a creare fra il giovane agente Peter Prior (Finn Bennet) e Leah (Isabella Lablanc).
D’altronde lo show non ha mai fatto mistero di affondare le proprie radici proprio nell’uso e stra-abuso di cliché e topoi del noir e del thriller, non mancando però di inserire sempre quel tocco cinico e disincantato proprio del creatore dello show Nic Pizzolatto che non è coinvolto in questa stagione.
Anche in questo caso, dunque, la narrazione procede unicamente grazie ai numerosi dialoghi, quasi sempre cinici e disillusi, forse un po’ troppo dal momento che, in certi momenti, si sfiora quasi l’auto-parodia.
E anche grazie a trovate visivo-stilistiche intriganti che dimostrano, ancora una volta, la volontà di stupire sempre di più e di sperimentare (molto bella la scena d’introduzione e la scelta del campo da hockey come “scena del crimine”).
Bisogna poi rendere merito a Issa López Molto per il tema scelto per questa stagione, con uno scontro non solo etnico-razziale fra le due co-protagoniste, ma anche di filosofia umana, con l’attenzione verso la cultura dei nativi americani dell’Alaska e del loro rapporto con la natura.

… E UN PO’ DI AMBIENTALISMO!


“Other Arctic Station rotate crews but not Tsalal. No one comes in, no one comes out.”

Proprio quest’ultimo punto sembra essere il leitmotiv di tutta la stagione, nonché principale motivo di scontro fra le due detective protagoniste. Issa López mostra una società fortemente divisa fra wasp anglosassoni e nativi. E, in questo senso, la fine fatta dai ricercatori dello Tsalal appare quasi come una “punizione divina” per aver osato oltrepassare i limiti di quello che evidentemente è un luogo sacro seppur per ambizioni più che lecite (si lascia intendere che le ricerche sui micro-organismi avevano lo scopo di trovare una cura per il cancro). Anche in questo caso, dunque c’è un po’ il cliché del mito di Prometeo in sottofondo, ma anche un’attenzione particolare ai temi ambientali e della sostenibilità, ovviamente declinati in salsa thriller-horror come solo True Detective può fare.
Elementi che concorrono a rendere estremamente interessante lo show, per cui all’episodio viene dato Save unicamente per la sua natura di “episodio di raccordo” nonostante un altro cliffhanger finale che promette bene per il futuro e la conferma di essere davanti ad una stagione ben costruita e anche piuttosto ambiziosa. Ci sono tutti i presupposti per fare bene, insomma.

E SE NON FOSSE PIÙ UNA SERIE ANTOLOGICA?


A margine solo una piccola nota che sembra collegare questa stagione alla prima: in questo episodio si viene a conoscenza di un nome che potrebbe rievocare certe memorie, ovvero la famiglia Tuttle.
Viene infatti mostrato come il laboratorio di ricerca Tsalal sia stato finanziato dalla Tuttle United, un chiaro riferimento ad una famiglia che era assorta agli onori della cronaca nella prima stagione visto che è la famiglia dietro alla setta che Marty e Rust cercano di fermare. In particolare il killer Errol Childress era direttamente collegato alla Light Of The Way Academy, una delle scuole religiose fondate dai Tuttle, nome che quindi diventa un piacevole easter egg ma forse anche qualcosa di più considerando che Rust sostiene di essere stato in Alaska in passato.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Jodie Foster über alles!
  • Intro e scena della rissa al bar
  • Scena del crimine dentro una palestra di hockey
  • Scena finale
  • Il collegamento tra stagioni con la famiglia Tuttle
  • “Sindrome da secondo episodio”: almeno un paio di dialoghi/scene che potevano tranquillamente essere tolte
  • Episodio perlopiù introspettivo
  • Qualche cliché narrativo qua e là

 

La “sindrome del secondo episodio” colpisce anche “Part 2” che, pur essendo una puntata decisamente interessante e ben costruita, procede un po’ troppo a rilento rischiando di giocarsi l’attenzione dello spettatore.

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Laureato presso l'Università di Bologna in "Cinema, televisione e produzioni multimediali". Nella vita scrive e recensisce riguardo ogni cosa che gli capita guidato dalle sue numerose personalità multiple tra cui un innocuo amico immaginario chiamato Tyler Durden!

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