Il film si basa sul caso di cronaca nera dell’omicidio di Yara Gambirasio, avendo tuttavia come focus la PM Letizia Ruggeri e la sua personale ricerca della verità in un caso che nasconde diverse ombre. |
26 novembre 2010, Yara Gambirasio si reca alla palestra del centro sportivo del suo paese, Brembate di Sopra, per consegnare una radio che sarebbe servita nei giorni successivi per una gara che sarebbe stata disputata proprio lì.
La ragazza rimane lì fino alle 18:40 circa (secondo diverse testimonianze). Dopo tale orario se ne perdono le tracce, ma il cellulare riporta uno spostamento nei minuti successivi: tra le 18:44 e le 18:55 il cellulare aggancia tre celle telefoniche diverse in un raggio (distanza ad aria) di circa 2 km. Poi, il nulla.
Yara scomparirà nell’incredulità del paese e nella disperazione di una famiglia intera che vedrà disintegrate le speranze di poterla riabbracciare il 26 febbraio 2011 quando il corpo verrà ritrovato in un campo aperto a Chignolo d’Isola, a circa 10 chilometri da Brembate di Sopra. Scatta quindi la caccia al colpevole portata avanti dai Carabinieri di Bergamo e dal pubblico ministero Letizia Ruggeri.
Appena noi arrivammo a Brembate, chiedemmo in giro e cercammo di parlare con i genitori di Yara, capimmo subito che erano delle persone normali, semplici. In poche ore ci fu subito chiaro che questa era una bambina che non aveva anche lei né segreti, né strane conoscenze. Cioè, era proprio la bambina normale di una famiglia normale di un normale paese italiano. E proprio per questa normalità questa scomparsa aveva scioccato tutti. (Giorgio Tosi, Ignoto 1: Yara, DNA di un’indagine)
Criticare il film per il livello attoriale o per la ricostruzione registica di Marco Tullio Giordana sarebbe riduttivo. Yara è un prodotto cinematografico che falsa la storia, gli avvenimenti, cerca di riscriverne alcuni passaggi, omette parte della narrazione. Ma l’elemento più disturbante è che regia e sceneggiatura costruiscono fin dal principio il film attorno al pm Letizia Ruggeri rendendola quasi un giallo in cui alla fine il suo personaggio riesce a raggiungere un proprio obbiettivo personale. Cosa che potrebbe funzionare, se il film non fosse incentrato sulla storia vera di un efferato omicidio che ha come vittima una tredicenne, lasciata a morire di stenti e di ipotermia in un campo dopo averla massacrata a suon di colpi di spranga e coltello.
Fatta questa premessa, purtroppo, occorre parlare del film.
Fin dalle primissime scene si percepisce il desiderio della regia di avere come fulcro centrale Letizia Ruggeri, così come la figura di Massimo Bossetti, nascosto all’interno del proprio furgone, a fare da contorno negli ultimi istanti in cui Yara viene ripresa mentre lascia la palestra. Se del primo elemento si è accennata l’assurdità poche righe sopra, relativamente alla figura di Massimo Bossetti andrebbe aperto un capitolo di cui RecenSerie non può essere sede di dibattimento per ovvi motivi. Ma qualcosa è necessariamente da appuntatare.
Per quanto si possa incorrere nella facile associazione “presenza del DNA, colpevolezza certa”, il caso dell’omicidio di Yara Gambirasio ha diverse facciate oscure.
Il DNA nucleare di Massimo Bossetti è risultato sovrapponibile con quello del fantomatico “Ignoto 1” con cui era stata definita la traccia trovata sugli slip della ragazza. Prova regina dell’accusa che baserà totalmente la propria arringa su ciò. Bossetti verrà infatti giudicato colpevole e condannato all’ergastolo senza che movente, dinamica o altre prove puntassero nella sua direzione.
Eppure su leggings e giubbotto ritrovati nel campo c’erano altre ed abbondanti tracce di DNA che non sono state delle piste prese in considerazione da parte dei Carabinieri; oppure, è stato riscontrato che combaciassero con figure vicine a Yara (l’insegnante di ginnastica), ma senza ulteriori approfondimenti.
La PM Ruggeri (ma così anche i Carabinieri) sottolineerà spesso durante le indagini che Massimo Bossetti era assiduo frequentatore di siti pedopornografici (cosa poi accertata come non vera), così come è stato più volte fatta presente la quantità di materiale pornografico sul pc dell’uomo cercando di dipingere l’imputato come un “assatanato del sesso” (come dirà lei stessa nel documentario Ignoto 1: Yara, DNA di un’indagine). Tuttavia la requisitoria non verterà minimamente su questo frangente attestandosi, come detto, sulla prova regina del DNA.
Parte della ricostruzione prevederebbe che il corpo di Yara sia stato trasportato da Bossetti a mezzo furgone (su cui non è stato trovata alcuna traccia della ragazza, ma erano anche trascorsi 3 mesi) e portata a peso dalla strada al centro del campo per diverse centinaia di metri. Un’azione sicuramente non semplice per un uomo recentemente operato di ernia. Sempre in relazione al furgone c’è poi da tenere in considerazione il video costruito ad hoc dai Carabinieri “per esigenze comunicative”: un video falso in cui frame del furgone di Bossetti veniva alternato da frame che riprendevano altri furgoni per dimostrare la costante presenza attorno alla zona della palestra dell’uomo.
Senza considerare i tre cani molecolari, arrivati direttamente dalla Svizzera, che avevano portato le indagini (a dicembre 2010) al cantiere di Mapello, sintomatico che la ragazzina fosse stata lì. Eppure anche questo elemento venne accantonato e non preso in considerazione dalla PM.
Da annotare, come ultimo appunto, che la controprova della difesa relativamente al DNA di Bossetti è stata negata più volte rendendo di fatto impossibile agli avvocati dell’imputato di poter controbattere sull’unico tema caldo dell’accusa.
Yara, 13 anni, terza media. Il mio nome è di origine araba. Significa “farfalla”. Ogni volta devo spiegare ai miei compagni come si scrive.
Tutta questo elenco di aspetti giudiziari non è stato inserito per appuntare una possibile innocenza di Bossetti, quanto per mettere in luce diverse ombre del processo che il film ha deciso deliberatamente di ignorare riducendo il tutto attorno ad una misera caccia al colpevole che già veniva preannunciata dalle sequenze di Yara all’esterno della palestra inseguita da un furgone. Sarebbe stato interessante spostare l’attenzione sul vero oggetto del racconto (Yara), mettendo momentaneamente da parte il protagonismo di Letizia Ruggeri; e sarebbe stato altresì interessante, per dare ampio spettro al racconto, vedere presentate almeno alcune delle altre piste. L’arresto ed il successivo rilascio di Mohamed Fikri (dopo che i cani molecolari avevano condotto all’interno del cantiere edile di Mapello) avevano lasciato presagire una presa in esame più accurata, tuttavia quello che il film restituisce è una rappresentazione minima di ciò che hanno effettivamente rappresentato i quasi 4 anni di indagini.
Per poter racimolare un minutaggio coerente con un prodotto cinematografico, non essendo stato di fatto affrontato il caso vero e proprio, il film si ritrova a dover imbastire sottotrame approssimative e abbandonate a loro stesse riguardanti politica e pressioni lavorative attorno alla PM. Altro elemento mancante è un punto di riferimento cronologico di quanto sta avvenendo visto e considerato che spesso lo spettatore non viene informato dei salti temporali: un elemento surreale per un film che tratta di un caso di omicidio in cui anche un singolo minuto era fondamentale per poter ricostruire la dinamica degli avvenimenti.
Menzione d’onore come sequenza meglio inserita all’interno del film va fatta alla scena dell’appello in tv dei genitori di Yara per il rilascio della figlia. La sequenza vede una camera fuoricampo riprendere la giornalista di fronte ai genitori ed un cameraman alle spalle della donna intento a riprendere il tutto. Tuttavia le riprese che verranno mostrate (fittiziamente) in televisione saranno riprese dalla vera telecamera e non da quella posizionata di fronte ai genitori durante l’intervista. Una sequenza totalmente senza senso.
Nonostante i dialoghi siano spesso e volentieri approssimativi, in certi momenti la pellicola sembra voler istruire il proprio pubblico. In relazione ad alcuni tecnicismi (DNA mitocondriale e DNA nucleare), infatti, vengono costruiti dialoghi/monologhi ad hoc per tentare di elevare il livello contenutistico. Scelta, questa, che scade nel grossolano maccheronico: durante la visione lo spettatore si sente un po’ come Maccio Capatonda nell’episodio “L’Ispettore Catiponda – L’uomo piegato alla giustizia” quando per un errore della costumista si ritrova a passare da prete ad ispettore. Non se ne capisce il come, qui uguale.
Pensate che inserire un paragone con Maccio Capatonda in una recensione che parla del film su Yara Gambirasio sia fuori luogo? Evidentemente non avete ancora visto il film in questione di Marco Tullio Giordana, fuori luogo in ogni singolo aspetto.
Yara, il film, lascia l’amaro in bocca per una gestione approssimativa delle oltre sessanta mila pagine di documenti ascritti agli atti per il processo contro Massimo Bossetti e le relative indagini dei Carabinieri prima dell’individuazione di Ignoto 1. Se questo è il risultato finale…
TITOLO ORIGINALE: Yara REGIA: Marco Tullio Giordana SCENEGGIATURA: Graziano Diana, Pietro Valsecchi INTERPRETI: Isabella Ragonese, Alessio Boni, Chiara Bono, Roberto Zibetti, Thomas Trabacchi DISTRIBUZIONE: Medusa Film DURATA: 91′ ORIGINE: Italia, 2021 DATA DI USCITA: 18/10/2021 anteprima al cinema; 05/11/2021 Netflix |