Come già detto nelle recensioni precedenti, lo scopo di Romulus non è raccontare il mito della fondazione di Roma così com’è, ma fornirne una rilettura più verosimile e più vicina al dato archeologico. Non deve stupire, dunque, che elementi del racconto delle origini così come tramandato da Livio e altri scrittori romani vengano rielaborati in maniera originale e straniante.
Basti pensare al ruolo del dio Marte. Nella storia che si studia a scuola, la divinità guerriera figura come padre dei gemelli Romolo e Remo, in quanto amante della vestale Rea Silvia: una chiara mossa dei Romani per “nobilitare” le proprie origini facendo del proprio fondatore un semidio, e per di più figlio di uno degli dei più importanti del pantheon italico (non va dimenticato che Marte era molto più legato alla terra, alla fertilità e all’agricoltura della sua controparte greca Ares). In Romulus, invece, è Ilia a diventare la prescelta del dio della guerra, per di più con il chiaro intento di vendicarsi di Yemos, il “Romolo” della situazione (o quantomeno il personaggio più vicino al Romolo del mito, per ora). La narrazione eccelle nel mostrare la vena mistica e religiosa del Lazio antico senza scadere nel fantasy: non è importante che Marte esista o meno, ma che Ilia, Amulius, sua moglie, tutti gli uomini e le donne di Alba Longa siano convinti che sia così. Il potere della suggestione mentale è migliaia di volte più potente dell’effettiva esistenza degli dei, e in questo la serie di Matteo Rovere sembra guardare agli esempi offerti dalla serialità internazionale e da prodotti come Vikings o Britannia, non solo per quanto riguarda la brutalità della resa storica.
Certo, una sacerdotessa che diventa una guerriera, o quantomeno una donna consacrata a Marte, potrebbe far storcere il naso a qualcuno; ma ancora una volta l’impressione è che si voglia riscrivere il mito classico, perché basta sfogliare l’Eneide per imbattersi in una regina amazzone come Camilla che guida i Volsci di Privernum nella guerra contro Enea e perisce per mano dell’etrusco Arunte. Inoltre, bisogna sempre considerare le esigenze del pubblico: una fetta consistente di spettatori ha bisogno di identificarsi in una protagonista femminile forte, decisa, padrona del proprio destino, che non sia una regina cospiratrice come Gala.
Altrettanto interessante è la gestione della simbologia legata al lupo. Lungi dall’essere una figura positiva, perché non c’è nessuna lupa che allatta orfani in questa storia, la bestia è associata all’enigmatica e terribile Rumia, forse una semplice leggenda, forse un personaggio reale che entrerà fisicamente nella storia più avanti e avrà un ruolo decisivo. Sta di fatto che per ora il mistero costruito intorno alla signora dei lupi aggiunge alla storia dei giovani nella foresta una sfumatura horror, forse un po’ sopra le righe e in parte estranea a una narrazione che vuole essere quanto più realistica e verosimile possibile, ma decisamente azzeccata per fare da cornice al processo di maturazione di Wiros, che in “Imperio” arriva addirittura a uccidere pur di sopravvivere. Anche Wiros è un personaggio enigmatico, non si capisce fino a che punto sia davvero ingenuo o forse più furbo di quanto lasci credere, né si intuisce ancora quale sarà il suo ruolo futuro, ma una cosa è certa: da lui bisogna aspettarsi grandi cose.
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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.