Sebbene la pandemia sia piuttosto recente, da tempo ormai è stato metabolizzato come “evento storico”. Un evento che è già divenuto oggetto di esperimenti interessanti per quanto riguarda le potenzialità creative che inevitabilmente questo porta con sé. Soprattutto per quanto riguarda un aspetto preciso della pandemia ossia il cosiddetto “lockdown”.
Già quest’estate, con la serie tv Love In The Time Of Corona, si è potuto notare come tale provvedimento sia un soggetto ideale per storie ambientate dentro le quattro mura domestiche. Ma se la serie della piattaforma Freeform era, tutto sommato, un normale dramedy con una struttura e degli espedienti da soap classica basata interamente sui dialoghi tra vari personaggi in un ambiente domestico (ma anche con scene in esterni, soprattutto nel final season), questa serie prodotta da Netflix si spinge addirittura oltre.
Social Distance è una serie scritta, diretta e prodotta da Jenji Kohan, un personaggio che non ha certo bisogno di presentazioni (nel caso comunque: è la creatrice di Orange Is The New Black e GLOW), che ha girato l’intero show in pieno lockdown, servendosi di tutti gli strumenti ed espedienti tecnologici possibili (social, chat online, smartphone…) e avendo come soggetto principale il rapporto fra questi mezzi e le persone. Lo scopo principale della serie, infatti, è quello di testimoniare gli effetti della quarantena sulle persone, mostrando in particolare “the power of the human spirit in the face of uncertainty and isolation, and how technology was used to stay connected during quarantine”.
Il risultato è questa serie antologica ibrida (dal punto di vista registico) in cui tali tecnologie si mescolano per ricreare storie plausibili di persone che effettivamente stanno vivendo il periodo di quarantena, come sono poi gli effettivi interpreti dello show.
Tutto ciò che viene mostrato negli 8 episodi di cui si compone questa stagione, infatti, sono state effettivamente girate solo tramite video-conferenze e smartphone, e successivamente rimontati dalla Kohan (e presumibilmente dal suo staff) risultando così una serie completamente character-centrica in cui è il vissuto dei singoli protagonisti a farla da padrone per tutta la durata degli episodi, non a caso molto brevi (circa 20-30 minuti max ciascuno).
In questo primo episodio pilota, per esempio, viene affrontato il “caso” di Ike (l’ex-Luke Cage Mike Colter), un barbiere che, oltre a fare i conti con tutti i disagi che la quarantena comporta (isolamento sociale, il doversi re-inventare un mestiere dopo la chiusura delle attività estetiche…) deve combattere soprattutto con la depressione causata dalla recente separazione con la fidanzata storica Raquel (Shakira Barrera). Una depressione che porta con sé un ulteriore problema: l’alcolismo. Per affrontare questo problema Ike cerca il conforto di un gruppo di Alcolisti Anonimi che s’incontra regolarmente in una chat online. Questi, di volta in volta, cercano di aiutarlo consigliandogli come occupare il tempo per non pensare a Raquel.
L’episodio è interessante in quanto mostra sia i lati positivi che negativi del mondo dei social media contemporanei. Da un lato, infatti, la chat online in cui si ritrova Ike gli è effettivamente utile per mantenere un contatto con il mondo esterno (e in generale, tutte le chat di gruppo con gli altri suoi conoscenti), il che è molto realistico come ben sa chi ha sperimentato effettivamente il periodo del lockdown. Dall’altra parte però c’è anche il mondo del bullismo online, rappresentato dai commenti negativi che inevitabilmente smorzano i tentativi entusiastici di Ike di intrattenere i propri follower su Instagram (molto bella l’idea della pianta di felce in stile Wilson), ulteriore motivo della sua depressione.
Gli autori scelgono una posizione neutrale in merito, con un finale aperto in cui il giudizio finale sul rapporto fra tecnologia e individuo è lasciato allo spettatore. La cosa certa è che la puntata mostra in maniera molto realistica quella che è a tutti gli effetti la vita in lockdown e l’importanza dei mezzi tecnologici per salvaguardare l’unica forma di socialità ammessa in questa situazione. Social Distance centra dunque il proprio obiettivo e lo fa in maniera estremamente precisa e ricca di sfumature, con uno stile ibrido fra quello di una normale serie tv e una sorta di docu-fiction sperimentale. Una serie che è destinata a diventare una vera e propria testimonianza storica di un periodo vissuto decisamente in maniera particolare.
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Laureato presso l'Università di Bologna in "Cinema, televisione e produzioni multimediali". Nella vita scrive e recensisce riguardo ogni cosa che gli capita guidato dalle sue numerose personalità multiple tra cui un innocuo amico immaginario chiamato Tyler Durden!